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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Il Panorama rabdomantico di Mulè Oggi debutta nelle edicole il nuovo Panorama di Giorgio Mulè. Nuovo perché non è il solito restyling nel quale, come nella celebre ammuina napoletana, gli argomenti a poppa vengono spostati a prua e quelli a prua ricompaiono a poppa

Il Panorama rabdomantico di Mulè Oggi debutta nelle edicole il nuovo Panorama di Giorgio Mulè. Nuovo perché non è il solito restyling nel quale, come nella celebre ammuina napoletana, gli argomenti a poppa vengono spostati a prua e quelli a prua ricompaiono a poppa. La manfrina, come da copione consolidato e ormai venuto a noia (salvo che ad alcuni editori e a certi inserzionisti), viene di solito completata dall’infiocchettamento del tutto, in modo che la nuova versione appaia, come dicono loro, smart. Oh, yes. Il nuovo Panorama di Mulè è invece, molto semplicemente, totalmente nuovo. Cioè completamente diverso dal Panorama che abbiamo letto fin dalle origini, compreso quello che sinora aveva fatto Mulè stesso. La scorsa settimana lo avevamo commentato sulla base di un numero zero che circolava in forma clandestina e sorvegliatissima ma che, ciò nonostante, eravamo riusciti a intercettare. Il nostro giudizio, già allora molto positivo, deve essere, adesso, rivisto in meglio. Il numero in edicola infatti è solo una pallida riproposizione del numero zero. Mulè, in queste due ultime settimane, deve averci lavorato a lungo, senza tabù, né preconcetti. Voleva fare un settimanale che sparigliasse. E c’è riuscito. Oltretutto è stato anche fortunato. Pur essendo andato in stampa prima dell’ultima e più devastante scossa di terremoto in Emilia, aveva fatto, in prima pagina, un richiamo anticipatore («Perché il terremoto si sposta sempre più a Nord») a dimostrazione che i temi, se si approfondiscono in modo originale, non invecchiano mai. Per un settimanale (che, lo dice la parola stessa, esce con una settimana di ritardo sugli altri media) l’importante non è seguire la cronaca. Esso deve essere capace di surfarla, utilizzando l’onda degli avvenimenti per andare oltre, più avanti. Rispetto al precedente numero zero, il Panorama che oggi debutta in edicola ha attenuato alcune asperità grafiche inglesi e introdotto delle sofficità grafiche mediterranee che lo rendono più friendly, amichevole, caldo e solare. Il panel dei commentatori, completamente rinnovato, non viene più usato come una clava sulla testa dei lettori ma è usato come il pepe sulle penne all’arrabbiata, poco e ben distribuito. Inoltre le firme sono autorevoli ma anche inconsuete: per spiegare la pensione unica europea, ad esempio, Mulè ha scovato un’italiana che insegna all’università Goethe di Francoforte. Fra le migliaia di economisti italiani che eccellono nel mondo, a scrivere sui media italiani sono, al massimo, una decina, sempre gli stessi, da sempre. Mulè ha sparigliato anche qui. Speriamo solo che tenga duro perché, alle firme duttili e intelligenti, ci si affeziona e così si finisce per ingessare il settimanale rendendolo prevedibile. Mulè poi chiede ai suoi giornalisti di scrivere poco. Sembra dire loro: «Che cosa hai da dire? Scodèllalo qui, e pedalare. Scordati del cappello e della conclusione. Un articolo deve essere tutta conclusione». Mulè deve aver sentito (e, in ogni modo, oggi mi pare la condivida) la lezione del leggendario direttore de la Notte, Nino Nutrizio, che ai suoi giornalisti o collaboratori diceva: «Quanto hai scritto? Beh, taglialo a metà che la metà di quel che resta la taglio io». Come si vede il buon giornalismo è sempre lo stesso. Solo che essendosene dimenticata la lezione, adesso le vecchie e collaudate regole le vanno a cercare altrove dei giovani ai quali è stata lasciata la briglia lunga e che, non solo credono che il giornalismo sia nato con loro ma, se li si sta a sentire con attenzione, si apprende anche che lo hanno inventato loro. Pezzi brevi, nervosi, ficcanti, essenziali, senza ciccia, si diceva. Ok. Ma un settimanale (che, al contrario del quotidiano, non è un prodotto usa e getta ma, anzi, sosta sui tavoli del soggiorno di casa, almeno lungo tutto il fine settimana) deve anche aprirsi, di tanto in tanto, ai pezzi lunghi, corposi ma anche scattanti e leggibili. Panorama ha dei giornalisti che Mulè ha già saputo utilizzare per questa loro capacità di raccontatori brillanti ma con del fiato. Non bozzettisti ma affrescatori. Per non andare lontano, ricordo lo strepitoso reportage dell’imbattibile Stefano Lorenzetto alla ricerca della mappatura del suo Dna. E va nella stessa direzione anche la corposa intervista di Costanza Rizzacasa d’Orsogna (che, nonostante il cognome imponente, non è una giornalista col birignao) al cuoco Gianfranco Vissani su temi politici. Evidentemente, è stata la mia conclusione dopo aver letto questa intervista illuminante, Vissani non si limita a cucinare i piatti per i potenti ma origlia anche i loro discorsi e discute con essi. Sta di fatto che, da quella intervista, sono usciti giudizi azzeccati e inconsueti sui big della politica italiana per costruire i quali al politologo Giovanni Sartori servirebbero un centinaio di suoi articoli di fondo (anche perché si ripete). Così, è stata decisamente sorprendente una recente grande intervista politica di Andrea Marcenaro, sinora noto come brillantissimo cazzaro (ma recita in questa parte nel teatro del Foglio con la sua famosa Andrea’s version) e che invece, qui, ha dimostrato fiuto, ritmo, capacità di costruzione di un’intervista lunga ma che si legge di un fiato. L’aver utilizzato un giornalista come Marcenaro per fargli fare cose per le quali non si sapeva fosse versato, è un’altra delle capacità rabdomantiche di Mulè che, essendosi sbarazzato del vecchio Panorama (che era diventato artrosico come tutte le vecchie glorie che sono piene di medaglie ma anche visibilmente ingobbite), è diventato imprevedibile come un misirizzi. Cioè è diventato se stesso. Un folletto di creatività. Del resto, basta guardarlo in faccia. Il rischio, adesso, è però quello di rimanere impigliato nella formula. È un rischio immanente. E che riguarda tutti. Il Panorama di Mulè è bello perché è diverso. Ma, per continuare a essere bello, deve continuare a essere diverso, deve cioè essere in grado di prendere le distanze anche da se stesso. Non deve piacersi e, men che meno, innamorarsi di se stesso. I lettori 2.0, i lettori di oggi, sono assetati di imprevedibilità. Anche se non lo sanno, amano i caleidoscopi che non sono mai uguali a loro stessi e si ricombinano in continuazione con figure sempre nuove. Da chi è stato in grado di asfaltare quel Duomo di nome Panorama ci si attende la medesima iconoclastìa anche in futuro. Sperém ben.