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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

Da Venere al burlesque come cambia l´oscenità – «Nella Danae, che già inviai a Sua maestà, la figura era rappresentata tutta dal davanti

Da Venere al burlesque come cambia l´oscenità – «Nella Danae, che già inviai a Sua maestà, la figura era rappresentata tutta dal davanti. In questo nuovo dipinto ho voluto variare la visione e mostrarle la contraria parte», perché «risulti più gradevole alla vista». Con queste righe Tiziano preannunziava a Filippo II, sulla metà del Cinquecento, l´invio del quadro, Venere e Adone. È un tentativo di spiegare al castigatissimo monarca di Spagna che cosa lo abbia convinto a mutare la prospettiva assegnata ai nudi: non più frontale, ma orientata su ciò che mezzo millennio più tardi si sarebbe chiamato «il lato B». Trovo la lettera all´inizio della Storia dell´oscenità, scritta dal saggista e narratore uruguaiano Hugo Martínez de León (Odoya, traduzione di Ariase Barretta, pagg. 240, euro 16). È una ricerca impegnativa. Certo, la prosa adoperata apparirà a tratti maliziosa, ma qualche inclinazione verso un linguaggio "andante" è il minimo prevedibile. Colpisce invece la passione culturale che il volume testimonia. Prima ancora che un trattato, è un "manifesto" a favore della libertà di esporre o rappresentare il sesso – coi pennelli, e via via tramite teatro, stampa, macchina fotografica, cinecamera, telecamera – e contro chiunque tenti di ostacolarla. Si confuta il secolare allarme dei legati pontifici, dei perbenisti e di ogni altra «forza della virtù». Ne vien fuori un conflitto fra crociata e crociata: una "codina", l´altra trasgressiva. Non occorre chiedere da che parte si schieri Martínez de León. Finiscono al macero quelli che troppo a lungo si sono chiamati «i limiti del pudore», fra l´esultanza dell´autore (e, per lunghi tratti, del lettore). Apprendiamo subito che a Tiziano – almeno con Filippo II e la Danae, contro la quale la persecuzione scatterà in seguito, fino a farla considerare un «pericolo pubblico» – era andata discretamente. Non andò affatto bene a Michelangelo. Un suo discepolo, Daniele da Volterra – passato poi alla storia come "Braghettone" – si impegnò a ricoprire con castigati perizomi i nudi della Sistina, i quali suscitarono l´indignazione, fra gli altri, del licenzioso ma imprevedibile Pietro Aretino. Un destino perfino più severo sarebbe toccato, cento anni dopo, al Giudizio di Paride di Rubens, per iniziativa di prelati e porporati. L´artista si rifiutò di modificare l´opera giudicata troppo naturalista. Sostenne che, che se aveva trattato quel tema, con le nudità che implicava, era per dimostrare «il valore e il coraggio» della sua pittura. Nel 1700 sempre un re di Spagna, Carlo III, si distinse a sua volta per rigore censorio, elencando le opere più «lascive» della collezione regale per mandarle al rogo. Proposito sventato in extremis, quando quei dipinti-scandalo vennero relegati in un edificio deserto ai margini dell´Alcazar. Fece epoca, tanto per dirne un´altra, l´attacco dell´Inquisizione a Goya. Nel 1815 l´autore delle due Maja, vestida e desnuda, finì in Tribunale. Veniamo a tempi più vicini. Dalle pagine di Martínez emergono di rado, artisti sublimi, ma ad affacciarsi in massa sono danzatrici e soubrettes, le cui fattezze intime si offrono alla «voracità voyeuristica del maschio». Beati loro. Ma gli ecclesiastici – sorretti dalle consuete pattuglie di borghesi sessuofobi – non paiono d´accordo. La censura non demorde. Dall´operetta al can can, dal burlesque (un termine di recente risuscitato) al café-chantant, fino ai palcoscenici di striptease, straripa il catalogo di dissolutezze esibite dall´autore, e represse dai moralisti. Le notti si popolano di simili «temerità». Eccone i primi ingredienti ed effetti: «tacchi alti, frustini e camicette con volant creano, grazie alla sensazione di movimento, un´euforia di straordinaria trasgressione». Oscenità? Certe cose dipende da come si guardano. Sono comunque stati d´animo o di corpo capaci d´impressionare un letterato insigne, Heinrich Heine, che scrive: «Il can-can è una danza che si esegue solo in posti indecenti. La donna che balla, o il signore per il quale balla, sono spesso accompagnati fuori da un poliziotto». Non si capisce bene se un tale esito indigni Heine o lo entusiasmi. L´autore non dimentica alcun locale, cognome o indumento che rifletta la mitologia divistico-sessuale legata alla Belle Époque. A gremire le pagine sono lo Chat Noir, le Folies Bergère, il Crazy Horse, il Condor Club. Vi si celebrano donne da leggenda: Isadora Duncan, Louise Weber (detta La Goulue, cioè la ghiotta, l´ingorda), che fece da modella a Tolouse-Lautrec. Rita Renoir, Sally Rand, Bettie Page, Candy Barr, Joséphine Baker fanno scuola a certi «sex symbol seminali» del cinema, come Tedha Bara o Pola Negri fino alla Monroe, passando per Rita Hayworth, titolare di «polpose labbra che implorano di essere baciate», e per Hedy Lamarr, espositrice del primo nudo integrale, una pratica che trovò poco più tardi da noi un´emula volenterosa in Clara Calamai. Non meno memorabile, a suo modo, Jane Russell, la più lesta a indossare il reggiseno a balconcino, «prendendo di petto» le leve maschili. Oggetto di varie dissertazioni è il pelo pubico, la cui ostentazione, sulla scia di benemeriti pionieri, segnò una svolta decisiva negli annali dell´oscenità (il primo a mostrarlo in primo piano in un dipinto fu Gustave Courbet ne L´origine del mondo, 1866). È forse il caso di consigliare agli appassionati di documentarsi. Sul finire mi pare che il libro inclini a una certa malinconia, approdando a un capitolo, l´oscenità nel terzo Millennio, che, direi, somiglia poco all´autore e non rientra a pennello nella sua sceneggiatura. Le donne si sono evolute. Certi eventi – il femminismo, la pillola, per dire – ne hanno cambiato l´animo. Le doti della pur ammirevole Margaret Thatcher venivano così celebrate dai suoi colleghi di governo: «ecco il miglior uomo politico di cui disponiamo». A farla breve, tutto sembra nuovo. Ma chissà se è un bene. La domanda aleggia sul trattato composto da Martínez de León. La scrittrice Sharon Goulds, che egli cita, sembra confermare l´accennato disagio: «Le donne che mostrano doti di comando sono solitamente considerate maschili». E gli uomini focosi che dominano negli annali dell´oscenità, che cosa possono fare, adesso: accontentarsi di docili cretine? Poveracci, in fondo.