Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Il grande fratello Goldman Sachs – (pezzo da sistemare) – Marc Roche, Le Monde Magazine, Francia

Il grande fratello Goldman Sachs – (pezzo da sistemare) – Marc Roche, Le Monde Magazine, Francia. Contento di sé, della sua vita e del suo datore di lavoro. Nell’ottobre del 2008 Yoël Zaoui afermava senza problemi che tutto andava alla perfezione. Il clamore della crisi inanziaria sembrava lontano dalla fredda sala riunioni della Goldman Sachs International a Londra. All’epoca il manager francese era alla guida della banca d’afari statunitense in Europa. Oggi il piccolo principe di questa inanza spietata non è più sul suo piedistallo. All’inizio di aprile Zaoui si è dimesso dopo 24 anni di servizio fedele e leale. Nel 1998 aveva ottenuto lo status di socio prima di entrare nel management committee (comitato di gestione), il sancta sanctorum della banca d’afari. Laureato all’École des hautes études commerciales de Paris (Hec, una delle grandes écoles francesi specializzata in economia) e all’università di Stanford, Zaoui è stato il primo europeo a far parte del comitato di gestione della Goldman Sachs. Un anno fa, però, ne è stato estromesso e a marzo ha perso anche il suo posto nel consiglio d’amministrazione della iliale europea della banca. La Goldman Sachs inisce sempre per bruciare chi ha portato alle stelle. Spesso la storia sembra avere una certa ironia, e quella delle aziende non fa eccezione. Il 14 aprile 2012, mentre la banca annunciava che i suoi utili erano raddoppiati superando ogni più rosea previsione, è venuto fuori che negli ultimi diciotto mesi settanta soci su quattrocento avevano lasciato l’istituto. A prima vista l’emorragia di manager avrebbe dovuto rappresentare un duro colpo psicologico, ma non è stato così. Queste dimissioni fanno parte della straordinaria cultura aziendale della Goldman Sachs, secondo cui se i manager restano troppo a lungo al loro posto si adagiano sugli allori e fanno degli errori. E poi gli ex soci, che non hanno certo problemi inanziari dopo aver lavorato duro e beneiciato in media per otto anni di una posizione privilegiata, potranno inalmente realizzare le loro ambizioni personali. Il ricambio è assicurato dall’elevato numero di nuovi partner scelti ogni due anni dopo una selezione spietata. David Viniar, direttore inanziario della banca, ripete in continuazione che “si tratta di un’evoluzione naturale. La nostra panchina è piena di riserve per poter continuare gli afari”. Ma quali afari? La banca d’investimento statunitense somiglia a un supermercato dei soldi che ofre ogni genere di servizio inanziario: dall’emissione di azioni e obbligazioni alle operazioni di fusione e acquisizione, dagli scambi di monete e materie prime alla gestione patrimoniale. La Goldman Sachs non si rivolge ai privati, ma alle grandi aziende e ai governi. La banca, inoltre, non agisce solo per conto dei suoi clienti, ma efettua operazioni usando anche capitali propri. La Goldman Sachs è uscita bene dalla crisi del 2008 e in seguito ha continuato a mietere successi. Ma ora il mondo è cambiato. Da due anni la banca è costantemente sotto gli occhi dei mezzi d’informazione. La sua immagine si è notevolmente ofuscata, anche se continua a mantenere una posizione di leader nella inanza: dalla crisi dei mutui spazzatura ai conti pubblici greci truccati, dalle speculazioni contro i propri clienti alla tentacolare rete di inluenze politiche, Goldman Sachs non sa più come fronteggiare gli attacchi della stampa che mettono in crisi la sua reputazione. Teste cadute Nonostante questi problemi, nell’azienda resta intatta la devozione per il segreto. Gli ex colleghi di Zaoui sono rimasti a bocca aperta di fronte alla sua autocelebrazione all’indomani delle dimissioni. Si aspettavano che lasciasse il numero 133 di Fleet street in punta di piedi. In ogni caso il manager francese non ha rivelato niente su quello che succede davvero all’interno dello stato maggiore dell’azienda, i cui segreti sono protetti come quelli della curia romana. Sui punti più delicati Zaoui è stato molto generico, in particolare sulle lotte di potere interne, le più sanguinose dai tempi dei Borgia. La Goldman Sachs, infatti, non è mai stata un’azienda tranquilla: negli ultimi dieci anni sono cadute molte teste, tra cui quelle di cinque amministratori delegati. Anche se è quotata in borsa, la banca statunitense funziona un po’ come una loggia massonica. I igli e le iglie della Luce, convinti dell’importanza della loro missione, perseguono tutti lo stesso sogno con la bocca cucita: arricchirsi per ediicare la città inanziaria ideale. Così mentre a Manhattan e nel West End londinese il successo delle banche è esibito perino nelle stazioni della metropolitana, la Goldman non si fa mai pubblicità. Il suo nome non igura neanche all’entrata della sede centrale o delle iliali estere. Il gruppo si limita a vantare il suo ruolo nelle grandi operazioni inanziare, a pubblicare i suoi risultati o gli studi degli analisti, ma non dice mai niente sulla base del suo lavoro: il trading (lo scambio di titoli in borsa). Di fatto sono le speculazioni sui titoli legati alle materie prime, sulle monete, le obbligazioni o le azioni a generare la maggior parte dei proitti. I vertici della Goldman Sachs preferiscono tacere, anche se questo inisce per incoraggiare la teoria del complotto, il classico scontro tra bene e male, come se esistesse il piano segreto di una potenza diabolica che vuole dominare il mondo, una teoria che ovviamente non ha nessun fondamento. Oggi quest’azienda orgogliosa del suo prestigio – vanitosa, dicono i suoi detrattori – sta conoscendo la sorte che finora era sempre riuscita a evitare: diventare una banca come tutte le altre. Una prospettiva che fa tremare la nobile casa fondata nel 1869 dall’immigrato tedesco Marcus Goldman. Ma la relativa decadenza di Goldman Sachs fa così clamore perché l’istituto cade dall’alto, da molto in alto. Colloqui per l’assunzione Saliamo su un trenino ideale – un po’ come nei tour organizzati negli studios di Hollywood – per percorrere questo universo fantasmagorico. Il viaggio comincia con il colloquio di lavoro. L’anno scorso in Europa la Goldman Sachs ha ricevuto 14mila domande di assunzione arrivate da ogni parte del mondo per trecento posti oferti nel suo programma biennale di “iniziazione” a New York. Per i migliori si tratta di un vero e proprio percorso di guerra. I candidati, laureati provenienti dagli indirizzi accademici più diversi, devono sostenere una ventina di colloqui in cui sono interrogati senza sosta su qualunque cosa. “Al contrario delle aziende rivali, la Goldman Sachs non assume mai team già formati per raforzarsi”, spiega l’esperto di inanza William Cohan. “La regola è l’assunzione individuale. La banca preferisce dei giovani pieni di energia e malleabili, e inculcargli il suo metodo di lavoro”. L’azienda, inoltre, diida di chi proviene da una famiglia ricca. Preferisce i giovani delle classi popolari o della media borghesia, che hanno voglia di conquistare un posto al sole. Vuole chi è motivato dalla fame, come diceva il leggendario Ivan Boesky, il trufatore di Wall street al centro di un grave scandalo di insider trading nel 1986. I nuovi arrivati devono sentirsi subito a loro agio con la cultura del posto. I selezionati – giovani in gamba anche se non molto esperti – non devono essere solo i più intelligenti. La banca privilegia anche la capacità di dirigere, la concentrazione nel lavoro e la passione per lo sport. Sono molto apprezzate discipline di squadra come il canottaggio, il rugby, la pallacanestro o il foot ball americano, perché uniscono il duro allenamento allo spirito di gruppo. Chi si candida per un posto alla Goldman Sachs deve avere caratteristiche precise: ambizione, preparazione, uno stile diretto e soprattutto la voglia di diventare molto ricco. I futuri Goldman boys and girls sono pronti a scattare dai blocchi di partenza e a correre con la ferma convinzione di guadagnare e il sangue freddo per riuscirci. Nomi Prins è stata assunta alla Goldman Sachs nel 2000 alla ine di sedici colloqui tenuti nel corso di nove mesi. All’inizio era stata destinata all’unità incaricata di creare dei prodotti inanziari molto soisticati: i derivati creditizi. Ricorda bene il suo primo giorno alla sede centrale di New York, un austero e anonimo ediicio di cemento. “La direzione del personale ti dà una montagna di libri sull’azienda e sulla sua cultura. Ti ripetono in continuazione che Goldman Sachs è eccezionale e che hai avuto una fortuna incredibile a lavorare in questo regno dell’eccellenza”. I nuovi arrivati provano un senso di vertigine davanti a questi professionisti che inseriscono in tutte le loro afermazioni la parola “migliore”. Ma un’altra sorpresa attendeva Nomi Prins, che in precedenza aveva lavorato in una banca dove c’erano molte primedonne: alla Goldman Sachs il lavoro di squadra è la regola. Mettersi in evidenza non è molto apprezzato, l’egocentrismo è bandito. Le star e i golden boys cocainomani sono visti come la peste. Quando si scrivono i rapporti, è obbligatorio essere sintetici, il “noi” è di rigore, mentre la prima persona singolare può essere usata solo per spiegare un errore o fare un mea culpa, cosa che non succede spesso. Anche ai gradi più elevati della gerarchia si preferisce il gioco di squadra. “Da noi non c’è posto per chi dà la precedenza agli interessi personali su quelli dell’azienda o dei clienti”, dice uno dei manager ai vertici della banca. Se alla Goldman Sachs, quindi, non esistono celebrità, ci sono invece molte persone a cui si chiede di andare via. Una volta all’anno tutti i dipendenti sono giudicati “a 360 gradi”. E anche chi viene valutato è obbligato a giudicare la sua prestazione, una specie di autocritica semipubblica con una venatura di stalinismo. Come negli studi statistici, i dipendenti sono divisi in quartili in base alle loro prestazioni. Solo chi rientra nel primo quartile – Q1 nel gergo della banca – può sperare di raggiungere lo status di socio. I perdenti sono licenziati senza nessuno scrupolo o comunque vanno via di spontanea volontà. Ogni anno, dopo Natale, la Goldman Sachs sostituisce sistematicamente il 5 per cento dei dipendenti che hanno le prestazioni peggiori. Un’altra caratteristica della banca è che, al contrario della concorrenza, di solito intrappolata in organigrammi molto complessi, ha una struttura piuttosto orizzontale, che facilita le decisioni basate sul consenso. Lo spirito aziendale è sostanzialmente egualitario. L’espressione back oice – che indica la gestione dell’organizzazione e dei procedimenti amministrativi – è vietata e si preferisce parlare di “federazione”. Gli uici dei capi sono accanto a quelli dei dipendenti e la loro porta è sempre aperta. Questa mentalità è legata al modo in cui la banca ha funzionato ino al suo ingresso in borsa nel 1999. All’epoca il capitale era diviso tra i soci manager (partner), che erano responsabili con i loro beni personali delle eventuali perdite ma erano anche i primi a partecipare agli eventuali proitti. Dopo l’ingresso in borsa il modello del partenariato è stato mantenuto, non per nostalgia ma per tenere uniti i vertici e creare una specie di élite “consanguinea” alla guida della banca. Un altro punto di forza è l’informazione: la condivisione della conoscenza è obbligatoria. Sull’esempio delle spie tanto care a John Le Carré, i banchieri della Goldman Sachs carpiscono sistematicamente dai loro clienti – anche se in modo del tutto legale – informazioni utili ai colleghi di altri settori e quindi all’intera azienda (che di conseguenza può pagare premi più alti). Dopo un pranzo o una cena d’afari, le notizie più preziose sono comunicate alla banca con un’email o un tweet. Più di qualunque altra grande istituzione inanziaria, la Goldman Sachs incarna la cultura statunitense del lavoro spinta all’estremo. I suoi banchieri sono sempre sul chi vive. Mangiano, dormono e fanno l’amore con il cellulare a portata di mano. L’iPhone o il BlackBerry non sono mai spenti, anche in occasione di cene intime o familiari. Il dipendente deve costantemente ascoltare sulla sua segreteria gli incessanti messaggi di motivazione della direzione. “Molto presto scopri di essere in un posto dove vige un’onnipresente legge della giungla”, dice Nomi Prins ricordando il suo ambiente di lavoro darwiniano. “Di fatto ho preso il posto di qualcuno che mi aveva fatto il colloquio di lavoro. Una persona che di certo non immaginava di assumere chi l’avrebbe sostituita. L’obiettivo è incoraggiare l’aggressività ed esasperare le tensioni”. Kill or die, uccidi o sei morto. “Essere alla testa di un dipartimento della Goldman Sachs è orribile, perché bisogna continuamente sorvegliare i propri collaboratori per individuare i meno motivati”. La concorrenza spietata, l’assoluta iducia in se stessi, il sentimento d’impunità e le lunghe ore di lavoro creano un ambiente poco propizio alla vera amicizia. Il lavoro di Dio Questo culto per la vittoria a ogni costo, quest’universo di maschi alfa, di lupi dominanti che guidano il branco, dov’è lecito tutto tranne l’insuccesso, questo teatro della inanza dove sia gli spettatori sia gli attori non sono interessati ai buoni sentimenti, tutto questo crea una cultura piena di disprezzo per gli altri. I crociati della Goldman Sachs sono un esercito di banchieri soldato, come in passato c’erano i monaci soldato: seri, austeri, “puliti” ino alla punta delle unghie ma sempre vincitori. Nell’abbigliamento non è autorizzata nessuna eccentricità. Il papillon è il massimo dell’audacia consentita. “Sono solo un banchiere che fa il lavoro di Dio”. Anche se si trattava di una battuta, le parole dell’amministratore delegato della Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, dette in pieno dibattito sulla moralità della inanza e sulla presunta avidità dei banchieri, confermano questa arroganza da primi della classe. La Goldman non è solo una macchina per fare proitti, è anche uno stile di vita. Il sistema isola i professionisti dalla realtà. Una serie di assistenti si occupa, giorno e notte, di organizzare l’agenda degli impegni e risolvere i piccoli e i grandi problemi organizzativi. I manager più importanti non prendono mai la metropolitana, ma il taxi, le auto a noleggio, gli elicotteri e i jet privati, anche se si tratta di un piccolo tragitto. Quando si parla della Goldman Sachs è più che appropriato l’accostamento al Grande fratello del romanzo 1984 di George Orwell. La polizia del pensiero, la neolingua, la priorità del collettivo sulle ragioni personali sono tutti elementi che si ritrovano in questa banca. I dipendenti sono sorvegliati in tutte le loro azioni. Un ex manager ha raccontato che tutti sono incoraggiati a mangiare alla mensa aziendale, dove è più facile controllare l’equilibrio dietetico dei pasti. Se un dipendente va troppo spesso in uno degli innumerevoli bar di Wall street o di Fleet street, un dietologo gli ofre un aiuto per ritrovare la retta via. La banca inoltre non scherza con le infedeltà, sia in uicio sia all’esterno. Avere una vita sessuale troppo disinibita è considerato un fatto negativo. È vivamente raccomandata una vita sentimentale stabile, perché un banchiere con una vita di coppia felice e uno stile di vita equilibrato lavora meglio. Gli afari hanno la precedenza su tutto. La vita di famiglia è fagocitata dal lavoro, con la sua serie di videoconferenze, trasferte e riunioni nel ine settimana. I igli sembrano essere stati concepiti tra un contratto inanziario e l’altro. I padri che mancano alla nascita di un iglio sono moltissimi. E quando sono presenti, la situazione non è molto migliore: la moglie di un manager ha raccontato che suo marito, incurante delle proteste degli infermieri, ha assistito alla nascita del loro terzo iglio attaccato al telefono perché doveva chiudere un contratto. Cene di compleanno e feste di famiglia sono costantemente annullate all’ultimo minuto. Un dipendente si è visto dimezzare il premio di ine anno dopo aver riiutato di prendere l’aereo per Mosca per non mancare al suo anniversario di matrimonio. La moglie aveva minacciato di lasciarlo. Un’eredità del puritanesimo che impregna la cultura inanziaria statunitense è che le conquiste si fanno in coppia. Un goldmaniano deve essere sposato per avere serie possibilità di arrivare al vertice. La banca è citata come esempio per il suo impegno a favore dei diritti delle donne. Ma in realtà la vita delle donne manager non è tutta rose e iori. Il marito di una socia è spesso costretto a restare a casa a badare ai igli. Come si spiega allora la scelta di questa vita infernale? Di fatto i dirigenti concludono una sorta di contratto faustiano con il loro datore di lavoro: sacrificare dieci o vent’anni della loro vita nella speranza di diventare milionari. Il denaro è la chiave del sistema Goldman Sachs. Bethany McLean, giornalista inanziaria di Vanity Fair, ha lavorato come analista alla Goldman Sachs tra il 1992 e il 1995. “La frase fondamentale è ‘devi essere un bravo agente’”, dice McLean. “In altre parole, bisogna essere bravi a fare proitti per alimentare i premi di ine anno”. La retribuzione annua di un manager della Goldman Sachs può arrivare a cinque milioni di dollari, ma chi si occupa delle operazioni in borsa può guadagnare anche il doppio. Il risultato è che la banca ha dei dipendenti ricchissimi. “Un patrimonio peraltro sottovalutato, perché queste persone sono dei maestri nel dissimulare”, dice Philip Beresford, l’autore della classiica del Sunday Times sui più grandi patrimoni in Gran Bretagna. Il denaro e la vita senza problemi oferti alla moglie e ai igli compensano le assenze costanti del capofamiglia. Per il manager, inoltre, è rassicurante sapere che in caso di licenziamento lo stile di vita dei suoi familiari subirà pochi cambiamenti. “È il miglior lavoro del mondo. Sono circondato da alcune persone tra le più intelligenti che ci siano. Sono in contatto con clienti formidabili per aiutarli a risolvere dei problemi importanti”, ha dichiarato il 25 aprile Blankfein. A torto o a ragione, la Goldman Sachs si sente un’azienda straordinaria obbligata provvisoriamente a rientrare nel gruppo dei normali, ma che continua a disporre dell’arma migliore per spiccare di nuovo il volo: una cultura d’impresa unica al mondo.