Alexis Madrigal, Internazionale 1/6/2012, 1 giugno 2012
Alla ricerca della mucca perfetta (pezzo da sistemare) – Alexis Madrigal, The Atlantic, Stati Uniti
Alla ricerca della mucca perfetta (pezzo da sistemare) – Alexis Madrigal, The Atlantic, Stati Uniti. Negli Stati Uniti ci sono più di otto milioni di mucche da latte Holstein ma c’è un unico toro che, in base a calcoli scientiici, è considerato il migliore del paese. Si chiama Badger- Bluf Fanny Freddie. Finora Badger-Bluf Fanny Freddie ha avuto 346 iglie registrate. Altre migliaia saranno aggiunte alla lista quando cominceranno a produrre latte. Niente male come carriera per un animale nato nel 2004. Naturalmente c’è un motivo se lo sperma di Badger-Bluf Fanny Freddie è diventato un bene molto ricercato nel “mercato in rapida evoluzione del seme bovino”, come lo deinisce un’azienda specializzata nella fecondazione artificiale. Nel gennaio del 2009, dopo aver esaminato il suo pedigree e analizzato più di 50mila marcatori del suo genoma, il dipartimento dell’agricoltura statunitense lo ha dichiarato il miglior toro del paese. Dopo tre anni e 346 iglie che producono latte – e dati – sembra proprio che avessero ragione. “Dal suo dna avevamo previsto che Freddie sarebbe stato il toro migliore, quando nessuna delle sue iglie aveva ancora cominciato a produrre latte”, mi ha scritto in un’email piena di orgoglio il genetista del dipartimento Paul VanRaden. “Ora è dimostrato”. Le previsioni basate sui dati quantitativi hanno modiicato profondamente le mucche da latte americane. La zootecnia– e l’allevamento dei bovini in particolare – le usa da decenni, già da prima che, negli anni ottanta, VanRaden cominciasse a calcolare l’impatto genetico dei tori più ricercati senza nemmeno disporre di un computer. Il settore dell’allevamento da latte è ideale per l’analisi quantitativa. I pedigree degli animali sono sempre stati registrati. La relativa facilità dell’inseminazione artiiciale ha permesso di raccogliere informazioni genetiche centralizzate su un piccolo numero di tori fin dagli anni sessanta. I tratti importanti che si vogliono ottimizzare sono relativamente pochi e facilmente misurabili: produzione, grasso e proteine nel latte, longevità, qualità delle mammelle. Una mucca produce latte per tre o quattro anni, e se gli allevatori devono investire migliaia di dollari in un animale, cercano di comprare lo sperma migliore disponibile sul mercato. Quindi si rivolgono alla genetica. Il mercato dei tori si basa essenzialmente su un dato statistico: l’indice di proitto della loro carriera produttiva. L’indice denota il potenziale valore aggiunto di un toro in base al suo profilo genetico. Normalmente è espresso in dollari perché è la stima di quanto il materiale genetico di un toro aumenterà la rendita che si può ricavare da una mucca. Si calcola con un’equazione molto complicata che considera tutti i fattori che incidono sull’allevamento da latte. Per esempio, all’indice di un toro che può portare una mucca a produrre 500 litri in più di latte nel corso della sua vita viene aggiunto un dollaro, mentre l’indice di un toro che può portare la stessa mucca a produrre mezzo chilo in più di proteine ottiene 3,41 dollari in più. Con l’aumento di un mese di vita produttiva ne guadagna altri 35. Badger-Bluf Fanny Freddie ha un indice di profitto di 792 dollari. Nessun altro toro da monta supera i 750 dollari e solo sette in tutti gli Stati Uniti superano i 700. In passato gli allevatori stabilivano il valore di un toro in base alla quantità di latte che faceva produrre alle mucche, ma oggi non è più così. Il toro numero tre negli Stati Uniti si chiama Ensenada Taboo Planet-Et. La sua capacità di far aumentare la produzione di latte è valutata +2323, cioè supera di 500 litri quella di Freddie. Probabilmente il latte della sua progenie conterrà anche più grasso e più proteine. Ma la durata della vita produttiva delle sue iglie è più breve e il loro tasso di gravidanza più basso. Questi fattori, oltre ad alcuni tratti legati alle dimensioni previste delle sue iglie e alla qualità delle loro mammelle, abbassano le sue statistiche di produzione. Uno dei motivi per cui i criteri sono cambiati è che le mucche statunitensi producono già un’enorme quantità di latte rispetto alle loro progenitrici. Nel 1942, l’anno in cui nacque mio padre, una mucca da latte media produceva meno di 2,3 tonnellate di latte in tutta la vita. Oggi ne produce circa nove tonnellate e mezzo. Ma è anche vero che il numero di mucche da latte negli Stati Uniti è diminuito, passando dai 25 milioni intorno alla ine della seconda guerra mondiale ai circa nove milioni di oggi. Questo è senza dubbio positivo dal punto di vista ambientale, dato che meno mucche producono meno metano, che è un potente gas serra, e occupano meno terreni. Al tempo stesso, si è scoperto che il genoma delle mucche è molto più complesso di quanto si pensasse: con l’aumento della produzione di latte, la fertilità diminuisce. Bilanciare i tratti per ottimizzare il rendimento di una mandria è diventato un’arte. Ci preoccupiamo molto dell’uso di antibiotici e di ormoni per stimolare la crescita degli animali e la produzione di latte, ma in realtà l’aumento della produzione rispetto al passato è dovuto essenzialmente alle modiicazioni genetiche operate su questi animali. Dovunque sia cresciuto – in un pascolo idilliaco o in un allevamento intensivo – l’animale del 2012 non è più quello del 1940 o del 1980, e nemmeno del 2000. Un’équipe di scienziati del dipartimento dell’agricoltura statunitense e dell’università del Minnesota ha calcolato che negli ultimi quarant’anni il 22 per cento del genoma delle mucche Holstein è stato alterato dall’intervento umano. L’orto di Mendel Ma non è stata solo la possibilità di raccogliere più informazioni a permetterci di modiicare le mucche. L’intero mercato è cambiato. Da qualche decennio, il numero degli allevamenti è diminuito drasticamente e le dimensioni delle mandrie sono aumentate. I grandi allevamenti industriali di oggi mirano a eliminare le ineicienze del sistema per garantire maggiori proitti. Consultano esperti di genomica per sfruttare le economie di scala e usare sperma di toro più costoso. Che ci piaccia o meno, il risultato inale è chiaro: mentre migliaia di anni di allevamento qualitativo in fattorie a conduzione familiare avevano generato mucche che producevano poche migliaia di litri di latte nel corso della loro vita, sono bastati settant’anni di allevamento industriale studiato per soddisfare le esigenze delle aziende per quadruplicare i risultati ottenuti da tutte le generazioni precedenti. Oggi siamo all’apice di una nuova era in cui i dati della genomica cominciano ad accorciare il ciclo di miglioramento dei tratti, accelerando il percorso che porterà alla nascita della macchina da latte perfetta: la mucca Holstein. Non esistono esperimenti genetici più famosi di quelli condotti tra il 1856 e il 1863 dal monaco austriaco Gregor Mendel in due ettari di terreno di quella che oggi è la Repubblica Ceca. Mendel coltivò 29mila piante di pisello odoroso e scoprì le leggi fondamentali della genetica senza avere alcuna conoscenza della meccanica biochimica che ne è alla base. Mentre faceva i suoi esperimenti, fu pubblicata l’Origine delle specie di Charles Darwin, ma non abbiamo prove che ci siano stati contatti tra i due. L’idea del gene come unità irriducibile dell’eredità sarebbe emersa solo trent’anni dopo gli esperimenti di Mendel. Lo studio della genetica, e la parola stessa, avrebbero preso corpo con l’arrivo di William Bateson agli inizi del novecento. E la sua struttura, il dna, sarebbe stata scoperta da James Watson e Francis Crick, con l’aiuto imprescindibile di Rosalind Franklin, quando l’ultima pianta di pisello di Mendel era già morta da novant’anni. Mendel, in poche parole, era molto in anticipo sui tempi. Ecco in sostanza cosa fece. Prese alcune piante che quando si autoimpollinavano producevano iori viola o bianchi e le incrociò controllando attentamente come si riproducevano. Ci si potrebbe aspettare che incrociando una pianta dai iori viola con una dai iori bianchi si ottenga una pianta con i iori lilla, un misto tra i due colori. Mendel scoprì invece che continuavano a nascere iori viola o bianchi. Non solo: a volte l’incrocio tra due iori viola ne dava uno bianco. Nella prima generazione di incroci, il rapporto tra i due colori era più o meno di tre a uno a favore del viola. Ma come era possibile che due iori viola ne dessero uno bianco? E perché quel rapporto costante? Mendel fece un salto logico e ipotizzò che ognuna delle piante aveva due copie del programma (cioè del materiale genetico) che determinava il colore dei iori, una dominante e una recessiva. Se le arrivavano due copie del programma dominante (il viola), i iori naturalmente sarebbero stati viola. Se gliene arrivava una per tipo, il dominante avrebbe ancora prevalso. Ma se le arrivavano due copie del programma recessivo, i iori sarebbero stati bianchi. Il monaco aveva visto giusto. Per i tratti controllati da un unico gene, le cose funzionano proprio così. L’intuizione di Mendel è diventata uno dei dogmi fondamentali della genetica. In seguito però si è scoperto che la sua teoria non spiega del tutto le cose che ci interessano di più. “Mendel studiò pochi tratti controllati da un unico gene, perciò il calcolo delle probabilità era più facile”, dice VanRaden. “Gli allevatori usano modelli basati sul presupposto che la maggior parte dei tratti sia inluenzata da migliaia di geni che esercitano efetti microscopici. Alcuni efetti sono facilmente riscontrabili, ma la maggior parte delle variazioni genetiche è dovuta a una serie di piccoli efetti”. Per quanto riguarda le mucche da latte – e gli esseri umani – la questione non è semplice come potrebbe far pensare il paradigma del gene dominante o recessivo di Mendel. Il monaco aveva scelto un organismo molto semplice da studiare e questo gli permise di costruire il modello genetico più semplice possibile e di analizzarlo. Poteva ibridare le piante con facilità, osservare i tratti principali, e dato che i tratti erano controllati da un solo gene i calcoli rientravano nelle capacità della mente umana. I piselli odorosi erano perfetti per studiare la genetica elementare. Si potrebbe dire che gli allevatori statunitensi e i genetisti che collaborano con loro siano i Mendel della genomica. E che la mucca da latte sia la pianta di piselli di questa nuova entusiasmante era della biologia. Qualche tempo fa, i Proceedings of the national academy of sciences (Pnas) hanno pubblicato il genoma dei due tori migliori di tutti i tempi: una pietra miliare nella genomica dei bovini da latte, che rivela quanto sia diventato fondamentale questo studio per il loro allevamento. Non è un caso che la Illumina, un’azienda all’avanguardia in questo settore, abbia un unico mercato: quello zootecnico. Produce un chip che analizza 50mila marcatori del genoma bovino per vedere quali sono gli attributi che controllano le funzioni più importanti dal punto di vista economico. Regole statistiche Anche se Mendel lavorava solo sulle piante, le sue scoperte sono applicabili a tutti gli esseri viventi. La stessa cosa si potrebbe dire delle regole statistiche che stanno scoprendo gli scienziati del latte sul rapporto tra i dati genomici e le caratteristiche isiche che generano. Le regole statistiche che, per esempio, riflettono il modo in cui la combinazione tra decine o centinaia di geni contribuisce a rendere più probabile che una mucca contragga una mastite, potrebbero essere formalmente simili a quelle che negli esseri umani determinano la tendenza alla schizofrenia o a vivere più a lungo. Ricercatori come Peter Visscher dell’università del Queensland stanno applicando le scoperte della scienza animale al nostro soggetto preferito, l’uomo. Vi piacerebbe vivere più a lungo? Allora speriamo di scoprire il gruppo di geni che determina la longevità. Il problema è che da una parte ci sono i dati genomici e dall’altra quelli fenotipici, vale a dire come vanno efettivamente le cose. Quello che serve, allora, è un sistema per tradurre le informazioni da un sistema all’altro. Ed è su queste trasformazioni che gli zootecnici lavorano da una decina d’anni. E hanno scoperto che il loro è il campo ideale per cercare le regole statistiche. Avevano i database dello sperma di tori del passato e del presente. Avevano i dati di produzione vecchi e quelli più recenti. In sostanza, non era così diicile creare le regole per trasformare i dati genomici in previsioni. “Per ognuno dei tori da monta della lista, abbiamo 50mila marcatori genetici. Per molti ne abbiamo 700mila”, spiega VanRaden del dipartimento dell’agricoltura. “Ogni mese nascono 12mila nuovi vitelli, ci arrivano le letture del dna e noi mandiamo le previsioni. Conosciamo il dna di 200mila animali. Per questo è stato così facile. Avevamo i dati fenotipici e quelli del dna di tutti i tori”. Disponevano di tutte queste informazioni perché da decenni gli scienziati raccolgono dati sui bovini per capire quali tori possono generare una prole migliore. Di solito, quando un toro con un pedigree promettente raggiungeva la maturità sessuale, il suo sperma veniva usato per ingravidare una cinquantina di mucche. Le iglie nate da quell’inseminazione cominciavano a produrre latte qualche anno dopo. E i dati raccolti da quelle mucche venivano usati per “certiicare” il valore del toro. Un tempo questo si chiamava “test della progenie” e gli allevatori non erano tenuti a conoscere l’esatto profilo genetico dell’animale. Scienziati e allevatori dicevano semplicemente: non sappiamo quale costellazione di geni rende questo toro così prezioso, ma sappiamo quanto latte produrranno le sue iglie. E avevano imparato a usare quei dati per capire quali erano i tori migliori. Di conseguenza, alcuni diventavano molto ricercati. Il toro numero due del secolo scorso, Pawnee Farm Arlinda Chief, ebbe più di 16mila iglie, 500mila nipoti e due milioni di pronipoti. Secondo i ricercatori del dipartimento dell’agricoltura, ha determinato il 14 per cento del materiale genetico di tutte le Holstein di oggi. “In passato combinavamo i dati della performance – per esempio la produzione di latte e di proteine – con le informazioni del pedigree, e li inserivamo in un modello computerizzato piuttosto complesso”, ha detto a un gruppo di allevatori Curt Van Tassel, un altro scienziato del dipartimento dell’agricoltura. “Alla ine ottenevamo la probabile capacità di trasmettere quei tratti e tutti gli altri probabili valori genetici. Adesso stiamo cercando di modiicare quel modello introducendo anche i dati genomici”. Esistono molti modi diversi di ridurre 50mila marcatori genetici a una decina di tratti che inluiscono sulla performance, soprattutto se si vogliono considerare anche i fattori ambientali. Perciò gli allevatori hanno creato e stanno veriicando modelli statistici che tengano conto di tutte queste cose e siano in grado di suggerirgli quali tori devono scegliere. La speranza non è tanto che i dati genomici possano funzionare meglio delle informazioni concrete ricavate dalla progenie, ma piuttosto che le stime si avvicinino abbastanza alla realtà da far risparmiare tre o quattro anni a generazione. Se non bisogna aspettare che le iglie comincino a produrre latte per conoscere il valore di un toro, il ciclo di miglioramento si accorcia. Oggi gli allevatori possono scegliere tra “tori genomici” che sono stati valutati semplicemente sulla base dei loro geni e “tori certiicati”, per i quali sono disponibili dati reali. Molti stanno cominciando a inserire nel regime di allevamento tori più giovani con dati genomici promettenti. Per i primi tori scelti solo per il loro proilo genetico si stanno già raccogliendo i dati di produzione. Finora sembra che le stime basate sul genoma fossero un po’ troppo alte, ma più precise di quelle ottenute solo con i metodi tradizionali. Questa eccezionale raccolta di dati e i successi degli allevatori hanno spinto altri scienziati a interessarsi alle loro scoperte. Leonid Kruglyak, un professore di genomica di Princeton, mi ha detto che “buona parte delle tecniche statistiche e della metodologia” che collegano fenotipo e genotipo sono state scoperte dagli allevatori. In un certo senso, hanno decifrato il codice. Se conosci le regole di codiicazione, non è diicile inserire le informazioni e ricavare il codice. Ma se parti dal codice il problema diventa molto più diicile da risolvere. Ed è a questo che stanno lavorando i genetisti del latte. Le loro scoperte potrebbero andare oltre i conini della medicina e aiutarci a capire meglio anche l’evoluzione umana. Per esempio, dice Kruglyak, i genetisti vorrebbero capire il motivo della ridotta variabilità genetica tra gli esseri umani. “Nella popolazione umana si riscontra una variante su mille”, dice. “Tra gli scimpanzé, anche se oggi il loro numero è molto ridotto, la diversità genetica è decisamente più alta”. Com’è possibile? Gli studiosi ipotizzano che a un certo punto della nostra evoluzione ci sia stata una strozzatura, un momento in cui gli esseri umani imparentati sia con la popolazione dell’epoca sia con gli scimpanzé – e quindi con un patrimonio genetico simile – erano pochissimi. Il che signiica che il nostro pool genetico si è ridotto in un periodo piuttosto recente della preistoria. E non abbiamo mai recuperato la diversità che avremmo potuto avere. Sembra che BadgerBluf Fanny Freddie sia il massimo che si possa ottenere da un toro Holstein. È il primo della lista da quando i suoi marcatori genetici sono apparsi nel database del ministero dell’agricoltura statunitense e la sua performance reale ha confermato le previsioni genomiche. Ma non è certo il toro migliore che la scienza possa immaginare. Creatura incorporea John Cole, un altro scienziato del dipartimento che si occupa del miglioramento delle razze animali, ha costruito il proilo del toro perfetto scegliendo le sequenze genetiche migliori che siano mai state osservate e combinandole tra loro. Così ha scoperto che il toro perfetto avrebbe un valore di 7.515 dollari, molto superiore a quello di qualsiasi esemplare esistente oggi. In altre parole, non ci siamo neanche avvicinati a creare la macchina da latte perfetta. Il problema è che i genomi non si possono costruire ritagliando e mettendo insieme le parti migliori. “Quando si potenzia troppo un tratto, si rischia di sbilanciarne altri”, dice VanRaden. Per quanti strumenti tecnologici soisticati si possano avere, l’allevamento è un processo biologico complesso. Dopo aver allevato bovini da latte per decenni, gli operatori del settore si sono accorti che la capacità di produzione e quella di riproduzione erano inversamente proporzionali. Più latte si cercava di ottenere, meno vitelli nascevano. Anche se siamo lontani dall’aver raggiunto il limite ipotetico del valore di un toro, sappiamo per certo che la natura non si lascia manipolare così facilmente senza produrre qualche effetto deleterio. Gli allevamenti saranno anche industrializzati, ma le loro macchine sono ancora fatte di carne e ossa. Fatta eccezione per BadgerBluf Fanny Freddie e i suoi compagni. Freddie è una creatura incorporea. Un animale più importante per i dati che permette di raccogliere che per la carne e i muscoli di cui è fatto. Anche se è citato in migliaia di pagine web e decine di articoli della stampa specializzata, nessuno dice mai dove è nato o dove vive. A tutti gli efetti, è solo materiale genetico che si presenta nella comoda forma di spermatozoi. Le sue migliaia di figlie non lo conosceranno mai e a nessuno interessa dove si trova isicamente. Molto presto sarà sostituito. Perché il toro perfetto è soggetto alle pressioni del sistema economico quanto l’ultima versione dell’iPhone.