Luca Telese, Il Fatto Quotidiano 1/6/2012, 1 giugno 2012
Eugenio Scalfari: senza Saviano la sinistra perde le elezioni C’è ben poco da dire. E sinceramente, per quanto mi sforzi, davvero non comprendo le ragioni della levata di scudi a cui assistiamo in queste ore, da parte di alcuni dirigenti del Pd: una lista patrocinata da Saviano, ma non solo da lui, sarebbe il valore aggiunto che può decidere queste elezioni”
Eugenio Scalfari: senza Saviano la sinistra perde le elezioni C’è ben poco da dire. E sinceramente, per quanto mi sforzi, davvero non comprendo le ragioni della levata di scudi a cui assistiamo in queste ore, da parte di alcuni dirigenti del Pd: una lista patrocinata da Saviano, ma non solo da lui, sarebbe il valore aggiunto che può decidere queste elezioni”. Eugenio Scalfari non sorride. È molto serio, forse anche preoccupato per una polemica che considera priva di fondamento, se non addirittura autoreferenziale e politicista. Sta di fatto che lui l’idea della “lista Saviano” l’ha avuta per primo, o raccontata per primo (il che non fa molta differenza) due mesi fa, quando aveva ipotizzato quello che in queste ore si sta realizzando. Ieri, sul Corriere, Maria Teresa Meli ha raccontato che Pier Luigi Bersani ha deciso di concedere l’apparentamento a questa lista. Il segretario democratico le ha definite illazioni. E Saviano ha smentito con molta nettezza l’ipotesi di una propria candidatura, ma non ha escluso l’idea di un ruolo di patrocinio a un progetto che prende corpo intorno a Libertà e Giustizia, e a una parte di volti vicini al Gruppo L’Espresso. Ecco perché il grande patriarca del giornalismo italiano continua a indicare la rotta che ritiene più giusta al popolo della sinistra. Direttore, è stata una profezia scalfariana o cosa? No, guardi, solo un semplice auspicio dettato dal buonsenso. Io quando vedo dirigenti del Pd, peraltro giovani, che si affrettano a mettere le mani avanti, resto interdetto. Mi spieghi cosa non la convince. Civati e Fassina dicono che così il Pd rischia di diventare una Bad Company. Guardi, la battuta è senza dubbio immaginifica, ma io non la capisco. I dirigenti del Pd vogliono vincere? Bene, dovrebbero essere contenti che professionisti, giornalisti, esponenti della società civile possano impegnarsi in una lista che allarga il campo del centrosinistra. Provo a prendere le parti del diavolo. Il loro ragionamento è: ma se queste persone hanno idee simili al Pd perché non si candidano con il Pd? Ripeto, per chi conosce la storia della sinistra italiana non c’è nulla di nuovo. Ai tempi di Togliatti c’era la consuetudine dei compagni di strada, vicini al partito, ma sciolti dai vincoli disciplinari degli iscritti. Poi venne la felice intuizione di Berlinguer che diede statuto e consistenza parlamentare alla figura degli indipendenti di sinistra, garantendo l’elezione a una pattuglia di intellettuali e professori di sicuro valore... Era il 1976. Negli anni arrivarono laici come Rodotá, economisti come Spaventa, cattolici del dissenso come Raniero La Valle... Però venivano eletti nelle liste e con il simbolo del Pci... Sono passati quarant’anni! Era prima della caduta del muro e c’era, se mi consenti il termine, quel popó di partito alle spalle. Sta dicendo che quello potrebbe tornare ad essere un modello di relazione con intellettuali esterni al Pd? Perché no? Nel 2011, posso aspettarmi dal Pd un tasso di elasticità non superiore, ma almeno pari a quello degli anni ‘70? Bersani fa bene ad aprire. Fammi un esempio. Dico un nome, non un nome a caso, di valore indiscusso, proprio come quello di Rodotà. Certo. Ebbene, un uomo come Rodotà, animato da indubbio spirito di servizio, sarebbe forse disponibile a candidarsi in una lista del tipo che abbiamo ipotizzato. Mi sento di escludere in maniera pressoché certa che potrebbe accettare di correre sotto il simbolo del Pd. Lei però ha dato anche un’altra spiegazione... È vero: io credo, per esempio, che in un paese come questo, una lista che affermi il valore della legalità sarebbe un punto di forza per la coalizione. E il ruolo del Pd? Il Pd è, e resta, il cardine della coalizione: affiancato, però, da una o più liste che nulla tolgono, casomai molto aggiungono al suo patrimonio di uomini e di idee. Quindi anche una lista patrocinata - per esempio - dalla Fiom, in questo quadro, potrebbe essere l’ala “sinistra”, e Saviano l’ala “destra”? Potrebbe in linea teorica, ma con un dubbio, e a patto di sottoscrivere una condizione preliminare. Partiamo dal dubbio. Per me in realtà è una certezza: un sindacato non è un partito. Il suo mestiere è occuparsi di contratti, non promuovere o influenzare formazioni politiche. Nemmeno di porre condizioni programmatiche o ultimatum. Nulla impedisce però che singoli dirigenti possano candidarsi o che il sindacato possa chiedere riforme che ritiene indispensabili. Oh certo: ma prima si devono dimettere dal sindacato. E poi scatta quella che considero la condizione preliminare. Quale? Il perno della politica del Pd, in questi mesi, è stato il sostegno al governo Monti. E allora? Si può fare parte di questa coalizione se si sostiene il governo Monti e il suo operato. Landini e i suoi sono pronti a sottoscrivere questa condizione? Hanno giá posto come condizione di rivedere la riforma previdenziale Fornero per i lavoratori usuranti e di restaurare l’articolo 18. Questo li pone fuori dalla coalizione riformista, e li mette al pari di Grillo, che chiede di cancellare le banche. C’è una pregiudiziale Monti, secondo lei, che deve essere applicata nel centrosinistra? Vede, il sindaco di Parma deve negoziare il debito con le banche, e il leader del suo movimento inneggia alla loro demolizione. Basterebbe questo per dimostrare che la demagogia, soprattutto in questo momento ha le gambe corte.