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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

STORIA DEL BIROBIDŽAN UNA TERRA PER EBREI SOVIETICI

Stalin, che pure passa per un antisemita e che viene accusato per la carcerazione e la deportazione di ebrei, tra cui la moglie di Molotov, Polina, aveva creato un embrione di Stato ebraico, il Birobidžan. Non so se sarebbe potuto essere accettabile per un problema di cui tuttora tarda a intravedersi la soluzione, ma anche Teodoro Herzl sulle prime era propenso a che si fondasse uno Stato ebraico anche fuori della terra promessa a Mosé, tanto è vero che aveva preso in considerazione l’Uganda. Come mai non è decollata
la creazione di uno Stato ebraico nel Birobidžan?
Alberto Cotechini
albertocotechini@tiscali.it
Caro Cotechini, sulla nascita di una regione ebraica nell’Estremo Oriente sovietico esistono i reportage di alcuni inviati speciali (Ettore Mo per il Corriere, Ugo Tramballi per Il Giornale) e più recentemente un interessante e utile studio di Alessandro Vitale (La regione ebraica in Russia. Birobidžan) pubblicato dall’editore Casagrande di Lugano nel 2005. L’idea non fu di Stalin, ma di quegli ambienti del regime a cui parve opportuno dimostrare che la patria del socialismo era perfettamente in grado di dare una risposta sovietica e marxista alla soluzione del problema ebraico. Vi erano ebrei che avevano abbandonato il grande spazio russo-polacco per emigrare verso Occidente; e vi erano quelli che stavano cercando di costruire una patria in Palestina. Perché non dimostrare che gli ebrei rimasti (più di un milione) avrebbero potuto realizzare il loro sogno là dove si stava tentando il primo grande esperimento comunista della storia umana? Agli ebrei non sarebbe stata data una «patria» (concetto borghese e potenzialmente reazionario), ma un territorio collocato lungo le rive del fiume Amur, ai confini con la Cina. La scelta presentava per il regime anche un vantaggio strategico: avrebbe permesso la creazione di un utile antemurale contro le ambizioni giapponesi nell’Estremo Oriente cinese e siberiano.
Al momento della decisione, nel 1927, questo grande territorio contava, secondo i rilevamenti sovietici, 1.192 abitanti: kazachi, coreani e membri della tribù siberiana dei tungusi. La creazione di una «unità nazionale ebraica» fu decisa nel marzo del 1928 e i primi coloni (poco più di un migliaio) partirono nei mesi seguenti. Il numero dei residenti crebbe, sia pure lentamente, e la punta più alta venne registrata nel 1932 quando i nuovi coloni furono 14.000. Ma un anno dopo i nuovi arrivati erano 3.005 e nel 1934 5.267. Fu annunciato che la Regione sarebbe diventata Repubblica non appena 100.000 ebrei avessero preso residenza nel territorio, e il numero degli immigrati salì nel 1935 a 8.344, di cui 820 non erano ebrei. Non ho i dati per gli anni successivi, ma il numero sarebbe forse considerevolmente aumentato se Stalin, agli inizi del 1953 quando denunciò l’esistenza di un complotto ebraico, avesse deciso d’imporre agli ebrei dell’Urss una scelta fra il Birobidžan e il gulag. Ma furono salvati dalla sua morte il 5 marzo di quell’anno.
Da allora il numero degli ebrei della regione autonoma è andato progressivamente declinando; erano 9.000 nel 1989, poco più di 2.000 nel 1996. La grande maggioranza è oggi composta da una variopinta popolazione asiatica, ma il Paese conserva tracce interessanti di cultura ebraica fra cui un grande candelabro a sette braccia che sorge in una piazza del capoluogo di fronte all’edificio in cui ha sede la Comunità Freyd (in yiddish: gioia).
Sergio Romano