Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 01 Venerdì calendario

Sotto tiro le finte partite Iva– Le modifiche contenute nella riforma del mercato del lavoro per le gestione delle partite Iva, non costituiscono l’unico strumento per la corretta qualificazione dei rapporti di lavoro, ma completano un quadro giuridico che tuttavia è già sufficiente ad accertare i falsi rapporti di lavoro autonomo

Sotto tiro le finte partite Iva– Le modifiche contenute nella riforma del mercato del lavoro per le gestione delle partite Iva, non costituiscono l’unico strumento per la corretta qualificazione dei rapporti di lavoro, ma completano un quadro giuridico che tuttavia è già sufficiente ad accertare i falsi rapporti di lavoro autonomo. Questo quanto emerso durante il Forum Lavoro 2012, che si è tenuto a Roma mercoledì 30 giugno e organizzato dal Sole 24 Ore e dal Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, in cui è stato esaminato il contenuto del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro. Proprio l’articolo 9 del decreto introduce rilevanti novità per i titolari di partita Iva. Norma che si è resa necessaria per sconfiggere alcuni fenomeni anomali che si registrano in diversi settori della nostra economia. Ad esempio, come ha spiegato Paolo Pennesi - direttore generale per l’attività ispettiva del ministero del Lavoro - nel settore edile ci sono 1.039.000 lavoratori autonomi a fronte di circa 850 mila lavoratori dipendenti. Unico settore in cui i lavoratori autonomi sono più dei dipendenti. Su questi presupposti l’articolo 9 prevede che le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini Iva sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due di questi presupposti : - che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore a otto mesi nell’arco dell’anno solare; che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più del 80% dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare; che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente. Se con riferimento alla durata del contratto e alla individuazione della sede fissa, non si dovrebbero registrare particolari difficoltà nell’accertamento, qualche dubbio rimane invece, sulla posizione reddituale del lavoratore autonomo. Infatti, il committente non ha uno specifico diritto di accertamento in tal senso e lo stesso lavoratore potrebbe rifiutarsi di fornire queste informazioni anche eccependo esigenze di riservatezza. Ma anche qualora il lavoratore dovesse fornire queste informazioni il problema non sarebbe risolto visto che il fatturato è conosciuto dal lavoratore solo a fine anno. Con le modifiche apportate al Senato, questi parametri non si applicano qualora la collaborazione non sia sostanzialmente di tipo esecutivo o ripetitivo, ovvero sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 18.667 euro (circa 1.500 euro mensili). Va ricordato che le norme contenute nel disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, non sono le uniche a disposizione degli organi ispettivi per accertare la corretta qualificazione dei rapporti di lavoro. Già il codice civile, negli articoli 2094 e 2222, contiene le definizione di lavoro subordinato e di lavoro autonomo. Questo significa che anche qualora un artigiano edile titolare di partita Iva dovesse sfuggire dai parametri sopra indicati, potrebbe comunque essere considerato un lavoratore subordinato qualora l’attività accertata fosse stata svolta con le caratteristiche della subordinazione; vale a dire con un’ingerenza rilevante del datore di lavoro in ordine alle modalità di svolgimento del suo lavoro.