Francesco Alberti, Corriere della Sera 1/6/2012, 1 giugno 2012
DAL NOSTRO INVIATO
MIRANDOLA (Modena) — Il 21 maggio, dopo la scossa da 5.9, quelli della «Bbg srl», specializzata in meccaniche di precisione, si scusavano nella loro homepage con clienti e fornitori: «La nostra azienda ha subito danni che non sono stati ancora classificati dalla Protezione civile, aggiorneremo le news il prima possibile». Tre giorni dopo, l’emergenza era finita: «Siamo lieti di comunicare che la nostra azienda potrà riprendere la normale attività da lunedì 28 maggio 2012». Alle 9 di martedì 29 maggio, la seconda frustata sismica ha ucciso Enea Grilli, Eddy Borghi e Vincenzo Iacono. Che, appunto, «avevano ripreso la normale attività». C’è un’inchiesta della Procura di Modena sui tanti capannoni crollati sulla testa dei lavoratori. Non c’è solo da accertare se queste «cattedrali del lavoro» (quasi 30 mila tra il Modenese e il Ferrarese) sono state costruite secondo le norme antisismiche: c’è anche da capire la tempistica e le modalità dei controlli effettuati tra la prima scossa del 20 maggio e la seconda del 29. C’è da chiedersi se in certi casi la voglia di rialzarsi subito non si sia trasformata in eccessiva fretta.
Il sindaco di Medolla, Filippo Molinari, non senza una punta polemica, parla di «troppe verifiche fai da te». Imprese che, anziché rivolgersi ai Comuni e seguire il percorso istituzionale, hanno affidato gli accertamenti «a tecnici di propria fiducia».
Niente di illegale, la legge prevede l’autocertificazione, ma è evidente che, con terremoti di questa intensità, il «fai da te» dà adito a interrogativi. Anche la «Haemotronic», azienda biomedicale divenuta un cimitero per 4 operai, «si è affidata a tecnici di propria fiducia» ha sottolineato Molinari. Lo conferma lo stesso titolare, Mattia Ravizza: «Avevamo riaperto lunedì 28 maggio dopo una perizia effettuata da un ingegnere privato: il sisma del 20 aveva fatto cadere solo qualche controsoffitto, gli stessi dipendenti avevano chiesto di tornare, avevamo l’agibilità».
Nel senso che l’ingegnere incaricato della verifica strutturale aveva attestato «sotto la propria responsabilità civile e penale» che il fabbricato era utilizzabile. «Una procedura consentita, certo, ma che dal punto di vista istituzionale viene considerata come una perizia di parte» spiega la responsabile dell’urbanistica a Finale, Mila Neri. Rivolgersi al Comune prevede invece tempi più lunghi: «Si invia una squadra di tecnici, ingegneri e architetti, quindi viene compilata una scheda di rilevazione e si attribuisce all’edificio un sorta di pagella che va dalla lettera "A" (agibile) alla lettera "F" (massima gravità): il tutto viene poi esaminato dal Centro coordinamento di soccorso e solo a quel punto il Comune emana l’ordinanza». Altra questione: la tenuta sismica di questi capannoni. Fino al 2003 le normative erano piuttosto blande dato che l’Emilia Romagna ha sempre occupato gli ultimi posti nella graduatoria delle aree a rischio. «I primi fabbricati industriali costruiti secondo criteri antisismici risalgono al 2005» afferma il direttore degli Industriali di Modena, Giovanni Messori. Dai primi del 2009 c’è stato un inasprimento legislativo. In pratica: se prima era sufficiente appoggiare le travi sui pilastri, da quel momento è divenuto obbligatorio prevedere un sistema di «bloccaggio». Dalle prime stime, almeno l’80% dei capannoni non rispondono ai nuovi requisiti.
Non è un mistero, come riconosce anche il presidente dell’Ordine degli ingegneri di Modena, Augusto Gambuzzi: «Dopo la scossa del 20 maggio, sono stati effettuati controlli visivi sui capannoni per quanto riguarda la geometria della struttura, le colonne e le capriate». Possibili negligenze? «Direi di no. Negli anni sono stati fatti controlli e collaudi. Il problema è che questi fabbricati non sono stati costruiti per reggere terremoti di questa intensità, non parliamo poi di due scosse così forti...». Sbotta il sindaco di Mirandola, Maino Benatti: «È ovvio, sono pochi anni che questa zona è inserita in area sismica. Mi fanno infuriare questi soloni che adesso pontificano. Fino all’altro ieri ci hanno detto che qui eravamo al riparo da terremoti forti». Non tutti la pensano così. Flavio Lodi, ex assessore a Cavezzo, ricorda che quando queste terre, dopo il sisma che colpì Reggio Emilia nel 2003, vennero inserite nella «fascia 2», con l’obbligo quindi di mettere a norma diversi immobili, «in Comune fummo sommersi dalle proteste di imprenditori e cittadini: la verità è che molti preferirono far finta di niente, con il risultato che gli edifici sui quali allora intervenimmo, oggi sono ancora in piedi».
Francesco Alberti