TONIA MASTROBUONI, La Stampa 1/6/2012, 1 giugno 2012
Atene, Madrid e Dublino, i focolai che possono incendiare l’euro - I focolai del grande incendio che potrebbe spazzare via l’euro sono almeno tre, al momento
Atene, Madrid e Dublino, i focolai che possono incendiare l’euro - I focolai del grande incendio che potrebbe spazzare via l’euro sono almeno tre, al momento. Il più grande è la Grecia. Ma la Spagna si sta seriamente candidando a scalzarla, in questa infelice gara a diventare il paese più pericoloso per la sopravvivenza della moneta unica. Grecia C’è ansia per le elezioni elleniche del 17 giugno, che si sono trasformate in un appuntamento cruciale soprattutto per il rischio di un impasse bis, dopo il disastroso esito di quelle del 6 maggio (quando nessun partito è riuscito a mettere insieme un governo). Da allora i greci hanno ritirato 3 miliardi di euro dai conti, secondo il Financial Times, e i partiti restano polarizzati su due fronti, pro e contro i sacrifici. Ma se le urne dovessero restituire di nuovo una situazione di stallo o se dovessero vincere i partiti antimemorandum, sfumerebbero le rate del mega salvataggio da 174 miliardi di euro concesso a marzo e che concede respiro ad Atene fino al 2020 (di cui 45 miliardi solo per salvare le malandate banche greche dal collasso). Senza quelle rate, come è riemerso da un documento governativo pubblicato domenica dal quotidiano To Vima, Atene non arriva a luglio. Dopo, il default e l’uscita dall’euro sarebbero pressoché inevitabili. Spagna L’altro paese avanzato sulla prima linea dei paesi più a rischio è la Spagna. Ieri dopo un incontro con il vicepremier, Soraya Saenz de Santamaria, il direttore del Fmi Christine Lagarde ha detto che non c’è stata nessuna richiesta di aiuti da parte di Madrid. E due giorni fa il ministro delle Finanze Luis De Guindos ha sostenuto che il 70% del sistema bancario spagnolo potrebbe reggere <senza nessun problema> uno stress test di solidità. Ma il mercato, evidentemente non la pensa così: sta spingendo da giorni i rendimenti sui titoli di Stato decennali spagnoli verso il 7% - soglia classica oltre la quale i Paesi si vedono costretti a chiedere aiuti alla Ue e al Fmi (è stato così per Grecia, Portogallo e Irlanda). La vicenda dell’istituto spagnolo Bankia con i suoi 23 miliardi di euro di ricapitalizzazione indispensabili per salvarla ed evitare rischi di contagio sul resto del fragilissimo sistema creditizio iberico è diventata paradossale. Il governo iberico di Mariano Rajoy, restìo a salvarla direttamente, sta facendo da settimane pressioni sulla Bce e la Ue perché vengano in aiuto all’istituto di credito. Madrid ha un problema sia sul versante del deficit – per la Unione europea deve scendere dall’8,9% dall’attuale al 3% entro il 2014 ed ha dunque margini scarsi per iniettare denaro nelle banche. Dall’altra, con una disoccupazione giovanile oltre il 50% un primato che condivide con la Grecia – Madrid si rifiuta di fare sacrifici troppo pesanti. Irlanda Anche se il presidente della Bce Mario Draghi l’ha elogiata più volte per i progressi nel risanare i conti, l’Irlanda è in difficoltà. Inoltre il Paese sta votando in questi giorni il referendum per il nuovo Patto di stabilità di impronta tedesca, e anche da questo esito dipenderà il futuro dell’euro. Una bocciatura rischierebbe di bloccare o rallentare il processo di ratifica del Fiscal compact improntato sul pareggio di bilancio costituzionale (il “sì” deve arrivare da almeno 12 paesi). Dal 2008, per salvare le banche travolte dalla crisi dalla bolla immobiliare, Dublino ha dato 64 miliardi alle banche, in parte nazionalizzandole, per evitare la bancarotta. Ma così ha il moltiplicato il debito ed è stata costretta a chiedere un piano di aiuti Fmi-Ue. Ora il debito resta al 120% del Pil ma dal 2008 l’ex “tigre celtica” ha messo insieme 24 miliardi per rispettare i piani di austerità, il 15% del Pil. Il viceministro delle Finanze, Bryan Hayes, ha detto ieri che «se l’Irlanda non diventa un problema al livello europeo, abbiamo più possibilità di ottenere ciò che ci preme per il debito delle banche». Ma Declan Ganley, un imprenditore che anima la campagna per il ”no” al nuovo Patto sostiene che l’Europa ascolta «solo quando i paesi si impuntano». Evidentemente, la Grecia ha fatto scuola.