STEFANO LEPRI, La Stampa 31/5/2012, 31 maggio 2012
L’IMPORTANZA DI FAR PULIZIA NELLE BANCHE
Mentre i sondaggi prolungano l’ansia sulle nuove elezioni greche, un giorno prevedendo un risultato, un giorno un altro, la crisi dell’euro torna ad aggravarsi a causa delle banche spagnole.
Si tratta di un caso significativo: mostra che non soffriamo solo per un deficit di democrazia nelle strutture europee, ma anche per carenze profonde nella politica nazionale dei Paesi.
Il presidente della Commissione europea José Barroso, finalmente risolvendosi, propone un impiego diretto dei fondi di salvataggio europei per soccorrere le banche spagnole. Da tempo gli esperti avevano segnalato che i postumi della immensa bolla immobiliare erano assai più pesanti di quanto volessero ammettere i governi e la stessa banca centrale di Madrid.
Tuttavia questo aiuto europeo finora il governo di Mariano Rajoy non l’ha chiesto, all’apparenza in nome dell’orgoglio nazionale, e il governo di Angela Merkel lo ha rigettato in nome della tutela del denaro dei contribuenti tedeschi. In realtà converrebbe ad entrambi, se fossero capaci di guardare oltre ai sondaggi di opinione del mese prossimo.
La cifra da impegnare sarebbe assai più piccola di quella che occorrerebbe per un vero e proprio piano di soccorso alla Spagna come quelli già concordati per Irlanda, Grecia e Portogallo. E dato che in ogni caso occorre modificare i trattati, si possono stabilire condizioni severe e trasparenti.
Intervenire sulle banche dell’area euro è prioritario, come da mesi ripetono esperti di ogni parte del mondo, il Fmi, l’Ocse, e chi più ne ha più ne metta. Una unione monetaria tra i suoi scopi essenziali ha quello di favorire i movimenti di capitale tra i Paesi membri, in modo da riequilibrare le differenze tra le loro economie (in Italia non fa danno che una Regione consumi più di quello che produce, se un’altra fa l’opposto).
In questa fase invece la debolezza degli Stati indebitati si riflette su quella delle banche che vi hanno sede, e viceversa; i mercati dei capitali ritornano nazionali, cosicché diventano ardui da sostenere anche squilibri non di grande portata (il deficit italiano nei conti con l’estero è modesto, quello spagnolo si sta riducendo in fretta). Il circolo vizioso va rotto; lo si può fare assai prima dei passi in avanti verso una politica economica comune, che pur sono necessari.
Far pulizia nelle banche è anche una questione di equità e di giustizia. L’Irlanda ha dovuto svenare i suoi cittadini dopo essersi assunta l’impegno colossale di porre rimedio da sola ai disastri delle proprie banche; una parte dell’onere poteva invece essere sostenuto dagli investitori esteri che le avevano finanziate. Può darsi sia troppo tardi per rendere corresponsabile chi aveva finanziato le casse di risparmio spagnole; ricordiamo che per una parte consistente si trattava di banche tedesche.
La piena «unione bancaria» ora proposta da Barroso avrebbe anche il vantaggio di ridurre l’influenza del potere bancario sul potere politico (purtroppo ancora forte, come si è visto nell’applicazione delle regole di Basilea 3). Un’unica autorità europea di vigilanza, un’unica garanzia dei depositi, un fondo comune di ricapitalizzazione non comportano affatto la creazione di nuovi colossi troppo grandi per fallire; si può invece sperare che siano abbastanza forti da imporsi ai colossi attuali.
Sono resistenze dei ceti dirigenti nazionali, non l’ammontare della spesa necessaria, a ostacolare queste misure. E alla Germania non dice nulla che gli investitori internazionali siano arrivati alla scelta assurda di prestarle soldi senza interesse? O si culla nell’illusione, come la Spagna del boom immobiliare?