Stefano Vergine, l’Espresso 07/06/2012, 7 giugno 2012
CON L’ORTO IN CASA
Beviamo un bicchiere d’acqua appena svegli. Già, ma che acqua? Facciamo la doccia in un bagno ben pulito. Con quale detersivo? Poi la colazione, il tragitto casa-lavoro, quello che indossiamo. Ogni volta, ogni nostro gesto, ogni nostro consumo ha una impronta ecologica. Lascia un segno sul pianeta. E i super esperti che detteranno da Rio de Janeiro la nuova road map per salvare la Terra partiranno proprio da qui. Perché la rivoluzione verde inizia nel frigorifero di casa, nel sacco della spazzatura, nella lavatrice. E la buona notizia è che è una rivoluzione con un vantaggio non indifferente: ci fa risparmiare da subito qualche quattrino. Il risultato non sarà l’utopia ecologista, ma scommettiamo che vivere eco fa bene a noi, non solo alla Terra.
Qui ci vuole una fontanella
Partiamo dall’acqua. Agli italiani quella del rubinetto non piace. Siamo primi in Europa per consumo di bottiglie di plastica, addirittura terzi al mondo dopo Arabia Saudita e Messico. "Una famiglia di tre persone che beve solo acqua in bottiglia spende in un anno almeno 280 euro", ha scritto Andrea Poggio nella sua guida "Con stile, cambio vita a Milano".
Ma il conto più salato riguarda l’ambiente. Ogni anno imbottigliamo 12 miliardi di litri di acqua. Il problema è che la plastica è un derivato del petrolio, dunque inquina. E per trasportare le bottiglie dall’azienda produttrice al supermercato finale serve parecchio carburante, se è vero che in media l’acqua percorre circa mille chilometri prima di essere bevuta. Insomma, secondo i calcoli di Azzero CO2, una società specializzata in risparmio energetico, le bottiglie made in Italy emettono 5 milioni di tonnellate di biossido di carbonio all’anno. È la stessa quantità prodotta da una centrale a carbone di medie dimensioni. Che fare? Le soluzioni sono due. Una, facilissima, è bere acqua del rubinetto. Le ricerche dicono che quella italiana è mediamente sicura, a volta anche più salutare di quella in bottiglia. Ma, è vero, non lo è ovunque: l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) nel 2009 riscontrò che nel 36,6 per cento dei campioni raccolti l’acqua era contaminata da pesticidi in quantità superiori ai limiti di legge. Chi non si fida del rubinetto ha un’altra via: le case dell’acqua, evoluzione delle antiche fontanelle dove un tempo si andavano a riempire i secchi. Oggi ci si mette in fila con le bottiglie, quasi sempre in vetro, garantendosi un triplo vantaggio: inquinare meno, bere sano, risparmiare soldi. Le casette sono dotate di un sistema di filtraggio che mantiene invariate le proprietà organolettiche dell’acqua, offerta sia con che senza le bollicine. Il tutto senza dover spendere un euro. Solo in alcuni casi la gassata si paga: cinque centesimi a bottiglia, almeno quattro volte meno rispetto al supermercato. Risultato? A gennaio di quest’anno, secondo Federutility, disseminate per lo Stivale c’erano 355 casette, un centinaio in più rispetto al semestre precedente. E ogni mese ne sorgono di nuove. Insomma, se le moderne fontanelle diventeranno una presenza fissa in ogni comune italiano, è probabile che le piazze torneranno ad essere più frequentate dei centri commerciali.
contadino sullo scaffale
I dati di Confagricoltura dicono che nel 2011, mentre la spesa alimentare degli italiani calava, una nicchia andava in controtendenza: quella della cosiddetta spesa alternativa. Il numero di persone che ha scelto di acquistare direttamente dai produttori, recandosi alla fonte o al mercato agricolo, è cresciuto del 53 per cento, raggiungendo quota 9 milioni di utenti. Ma il vero boom è quello dei gruppi d’acquisto solidale (gas) che in tre anni sono addirittura triplicati, arrivando a quota 800 su tutta la Penisola. Il sistema organizzativo dei gas è semplice. Invece di fare la spesa singolarmente, un gruppo di famiglie si unisce per ottenere prezzi migliori. Ci si mette d’accordo con i vicini di casa, i parenti, i colleghi di lavoro. E si fa la spesa insieme. Insomma, direbbero i tecnici, si sfrutta il principio delle economie di scala. A differenza di Groupon o società del genere, alla questione finanziaria i gas aggiungono esigenze morali: non inquinare, mangiare sano, rispettare i lavoratori, sostenere le produzioni locali. L’obiettivo è scavalcare la grande distribuzione. Così facendo si eliminano intermediari economici, si conosce la fonte del cibo, si abbatte l’inquinamento degli imballaggi e del trasporto della merce, si conoscono persone.
In teoria, se da fenomeno minoritario i gas prendessero il posto dei supermercati, le città del futuro avrebbero bisogno di meno spazio per i camion e più per campi da coltivare e allevare. Anche perché, in parallelo, c’è un altro fenomeno in netta espansione. È quello degli orti in città. Che piacciono molto agli italiani. Lo ha fotografato il secondo rapporto sull’hobby farming redatto da Nomisma. Secondo la società di ricerca, nella Penisola ci sono 2,7 milioni di abitanti che si dedicano a questa attività, oltre il 5 per cento della popolazione maggiorenne. Sono per lo più pensionati che coltivano l’orticello di casa, ma da qualche tempo stanno aumentano i casi di terreni demaniali inutilizzati e riconvertiti all’agricoltura dal Comune cittadino. È il caso di tanti paesini di provincia ma anche di grandi città come Torino, dove in alcuni vecchi quartieri dormitorio sono stati creati spazi per coltivare, oppure Napoli, dove in qualche caso oltre a insalata, cavoli e finocchi si coltiva anche la vite e gli alberi da frutta. Perché tornare alla terra? Per consumare prodotti più sani e genuini, dice la ricerca di Nomisma. Per soddisfare il desiderio di una vita più verde senza perdere le comodità moderne, anche le grandi aziende si stanno adattando. Il gruppo Husqvarna, maggiore produttore mondiale di articoli motorizzati per le attività all’aperto, sta lanciando per esempio sul mercato italiano il primo robot per tagliare il prato. La macchina sminuzza l’erba e la deposita sul fondo utilizzandola come fertilizzante naturale.
Spesa alla spina
Pure i commercianti di professione stanno correndo ai ripari per soddisfare le nuove richieste del mercato. I prodotti biologici sono ormai una realtà consolidata: la nuova tendenza si chiama spesa alla spina. Consiste nel vendere prodotti senza confezione. Seguendo l’esempio di alcuni negozi, grandi catene commerciali come Auchan, Coop, Crai, Smau e Carrefour hanno installato distributori automatici da cui l’utente attinge per riempire il recipiente portato da casa. I primi esperimenti sono iniziati con i detersivi, seguiti da latte, vino, pasta e riso. Potenzialmente si potrebbe fare per centinaia di prodotti, e infatti cercando bene si trovano negozi sparpagliati per la Penisola che vendono alla spina legumi, frutta secca, caramelle, caffè, spezie varie, cioccolata, persino il cibo per gatti e cani. Anche in questo caso il vantaggio vale per l’ambiente e il portafoglio.
Per rendersi conto del primo aspetto basta pensare a quanti imballaggi, spesso di materiali diversi tra loro e quindi più complicati da riciclare, avvolgono i nostri prodotti. Un normale detersivo si trova all’interno di una bottiglia di plastica impreziosita da un’etichetta di carta che, per essere smaltita al meglio, dovrebbe essere staccata, magari usando il vapore per non lasciare tracce sulla bottiglia, e gettata separatamente dal resto della confezione. Di esempi del genere in ogni casa ce ne sono parecchi. Il latte, ad esempio, inscatolato nel tetrapak e chiuso da un tappo in plastica. Il riso messo sottovuoto nella busta di plastica, a sua volta infilata in una scatola di cartone. Peggio ancora, i salumi o la verdura confezionata in vaschette: perché quello che ci appare come una semplice confezione di plastica, in realtà spesso è un insieme di strati di diverso tipo, ognuno pensato per una diversa funzione, ma al contempo molto difficili da riciclare. Spiega Gianluca Bertazzoli di Corepla, il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica: "Se escludiamo i Paesi scandinavi e la Germania, in Europa non possiamo lamentarci. Nel 2011 abbiamo aumentato del 7 per cento la raccolta e del 9 per cento il riciclo di plastica. Certo, ci sono ancora parecchi imballaggi non pensati per essere riciclati, ma il consumatore ormai è attento a questi aspetti e le aziende stanno capendo che è importante investire in un imballaggio sostenibile".
Secondo l’Ispra ogni anno produciamo 12 mila tonnellate di imballaggi da spesa, equivalenti a un cassonetto da 210 chilogrammi per ogni italiano. E solo la metà di tutto questo viene effettivamente riciclato. Si dirà che in tempi di crisi economica l’ambiente può passare in secondo piano rispetto al portafoglio. Ma secondo una ricerca pubblicata un anno fa da Federconsumatori, comprando alla spina si risparmiano pure dei soldi: 840 euro all’anno, per la precisione. Il detersivo per fare il bucato, per esempio, costa mediamente 1,35 euro al litro, contro i 2,06 dello stesso prodotto confezionato. Significa spendere circa il 30 per cento in meno. Va così anche per pasta, riso e ammorbidenti. Per il latte, il prodotto preferito tra quelli alla spina, il risparmio arriva fino al 50 per cento