Michela Gattermayer, Vanity Fair n. 22 6/6/2012, 6 giugno 2012
Non ha molta voglia, Giorgio Armani, di fare questa intervista. Avrebbe solo voglia di far sapere che torna a sfilare in Cina dopo dieci anni di assenza – assenza dalle passerelle, perché per il resto da quelle parti è presentissimo, con 289 punti vendita e numeri di successo – e infatti, appena si apre l’ascensore di casa sua e lo troviamo ad aspettarci, lui subito mette le mani avanti: ha molta fretta, e poco tempo da dedicarci
Non ha molta voglia, Giorgio Armani, di fare questa intervista. Avrebbe solo voglia di far sapere che torna a sfilare in Cina dopo dieci anni di assenza – assenza dalle passerelle, perché per il resto da quelle parti è presentissimo, con 289 punti vendita e numeri di successo – e infatti, appena si apre l’ascensore di casa sua e lo troviamo ad aspettarci, lui subito mette le mani avanti: ha molta fretta, e poco tempo da dedicarci. In quattro noi – io per l’intervista, la stylist, il fotografo con l’assistente –, in quattro loro: lui, due persone dell’ufficio stampa e l’uomo ombra di Giorgio, che lo segue ovunque per tutelare l’immagine Armani – tutta rigore e pulizia – da qualsiasi disturbo, compresi noi giornalisti. All’inizio c’è un po’ di timore reverenziale. Ma come entriamo in salotto, magia: tutto diventa più rilassato, persino divertente. Giorgio Armani si avvicina a un’enorme scimmia finta, nascosta da grandissime piante tropicali. Ed è qui che iniziamo a scattare le foto. È sicuro di voler posare così? «Certo: la gente non se lo aspetta. Armani è il rigore, la linea diritta, la pulizia. E invece io mi metto qua, nascosto nella giungla». Con uno scimmione. Ma da dove arriva? «Credo faccia parte di un set cinematografico. Me lo hanno regalato le mie nipoti. Mi piace perché ha gli occhioni buoni. Si chiama Uri, da orango». Va bene, allora scattiamo. «Devo sorridere? Forse è meglio, altrimenti la gente mi prende troppo sul serio. Speriamo piuttosto che gli animalisti non si arrabbino». Ma no, si vede benissimo che è finto. E poi lei ha due gatti. «La micia, Mairy, non si fa prendere. Il gatto nero si chiama Angel. Possiamo fare una foto anche con lui». Sarà uno scoop: mi risulta che ci abbiano provato in tanti, a fotografarla con Angel. A proposito, perché si fa sempre ritrarre con il mento appoggiato sulla mano sinistra? «Perché è il mio atteggiamento: sto così anche quando lavoro, è un fatto congenito, quasi una questione di sicurezza. E poi il sinistro è il mio lato migliore». In quella posa sembra Il pensatore di Rodin. A che cosa sta pensando in questo momento? «Alle vacanze che stanno per arrivare». Prima, però, lei va in Cina: che cosa si aspetta di trovare, dopo dieci anni di assenza? «Mi aspetto di vedere di persona il cambiamento che c’è stato. Ho aperto il mio primo negozio in Cina nel 1998, in tempi non sospetti, e da allora il Paese è cresciuto tantissimo. È in continua trasformazione, trasmette energia: il futuro che si materializza alla velocità della luce. Per me che vengo dall’Europa, dove tutto è più lento, è sorprendente la coesistenza di tradizione e modernità, e il fatto che il cambiamento non solo sia radicale, ma anche rapido. È incredibile vedere come, in poco tempo, interi quartieri delle città cambino al punto da faticare a riconoscerli». Perché questa sfilata? «Perché la Cina rappresenta oggi uno dei nostri mercati principali, uno dei più ricettivi. Mi sembrava doveroso tornarci». La sua moda parla un linguaggio internazionale. Ha pensato specificamente a vestiti per signore cinesi? «Le linee pulite e sofisticate dei miei abiti sono spesso ispirate all’eleganza orientale – riletta attraverso il mio occhio di occidentale, naturalmente – e questo ha reso il dialogo con la Cina del tutto naturale». Che cosa pensa dello strapotere dei cinesi sui mercati globali? «Evito di demonizzare, come troppi tendono a fare: si tratta solo di constatare un dato di fatto. Del resto l’Occidente ha contribuito largamente a questa situazione quando ha cominciato a delocalizzare. Certo, il potere della Cina è oggi impressionante. Penso però che ci siano peculiarità nazionali che ci distingueranno sempre. Non bisogna avere paura, perché il vero progresso passa attraverso il dialogo e la condivisione dei saperi». Quindi non teme l’onda orientale. «Sarebbe come aver paura del progresso, o del presente stesso. La paura è un sentimento paralizzante, e io sono un uomo pratico. È guardando al futuro che si progredisce, e cercando una risposta adeguata alle esigenze che cambiano». Giorgio Armani produce in Cina? «Tutti produciamo qualcosa in Cina. Di nuovo, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: anche in Cina ci sono situazioni produttive d’eccellenza, e sono quelle che io scelgo e uso». Tornando in Italia: che cosa pensa del governo dei tecnici? «Si sta impegnando al massimo per risolvere i problemi che affliggono il Paese, e che rischiano di metterlo in ginocchio». Dunque anche lei crede che in Europa siamo l’ultima ruota del carro. «Assolutamente no. Questo è ancora un Paese ricco di risorse creative, industriali e culturali: sono certo che riuscirà a superare la crisi». Lei come lo sta vivendo, questo momento difficile? «Con consapevolezza e voglia di fare. Ho costruito negli anni un’azienda elastica e flessibile, capace di resistere agli urti delle congiunture, di reagire adeguandosi ai cambiamenti. Questo mi consente di affrontare la crisi ad armi pari». Qual è il politico meglio vestito? E il peggio vestito? «I politici in genere non sono esempi di stile. Del resto l’eccessiva eleganza e ricercatezza insospettirebbe gli elettori: è forse per questo che optano per il basso profilo, quindi li metterei tutti insieme in “purgatorio”». Pratica sport? «Un po’ di palestra tutte le mattine. Per tenermi in forma». È veramente appassionato di basket? «Sì, mi piace, e sono un grande tifoso della mia squadra (EA7 Emporio Armani, ndr): vado alle partite ogni volta che posso». Doping, scommesse: che cosa pensa degli scandali che hanno travolto il mondo dello sport? «Che lo snaturano nella sua vera essenza: l’impegno del mettersi alla prova, il sacrificio del mettercela tutta. È questo lo sport che mi piace, non quello superumano delle performance senz’anima. Un record ottenuto attraverso il doping, che record è?». Giorgio Armani guarda la televisione? «Sì, certo, là sul divano. Documentari, film che vale la pena vedere, qualche talk show di attualità, come Ballarò: poco altro. Guardo la tivù anche dal punto di vista estetico. Una volta era tutto bianco con la Mina davanti. Bè, c’era Mina, il che aiutava. Poi c’è stato un momento in cui la televisione era molto cheap. Adesso hanno eliminato le cose finte, giocano con le luci: molto meglio». Anche nella moda c’è stata un’evoluzione: come è cambiata, negli anni, la mitica giacca Armani? «È diventata, se possibile, ancora più morbida, sempre più vicina a una seconda pelle. Grazie anche alla ricerca sui materiali, è diventata una giacca che si fa tutt’uno con chi la indossa». Qual è il suo stilista preferito? «Forse Coco Chanel, per aver creato una rottura nel costume e nei modi». Veste sempre Armani o a volte si «tradisce»? «Sono una persona fedele». Che cosa non indosserebbe mai? «Qualcosa in cui non mi senta a mio agio, che mi faccia sentire diverso da come sono». Che cosa indosserebbe sempre? «La maglietta blu». Chi è, o è stata, la donna più bella del mondo? E l’uomo? Chi vorrebbe vestire? «Non credo nelle classifiche, e poi ogni momento storico ha i suoi bellissimi e le sue bellissime: credo nella bellezza come armonia, come espressione di qualità interiori». La bellissima di questo momento storico? «Angelina Jolie. Può essere una donna di un certo tipo, ma anche il suo contrario. Ci sono foto dove non ha trucco ed è stupenda». Le donne più eleganti? «Più che di eleganza, parlerei di personalità. Allora dico le francesi: in certe strade di Parigi, in certi bar, vedi ragazze che hanno qualcosa in più. Una semplicità importante. Hanno l’allure». Che cosa ama, e che cosa odia della moda? «Amo il fatto che sia il più immediato e fedele specchio dei tempi. Non amo il cambiamento fine a se stesso, e il bizzarro solo per il gusto del bizzarro». Un accessorio che una donna non dovrebbe mai indossare? «A Sankt Moritz mettono quei cappelloni di maglia con i pompon: tremendi». E un uomo? «Deve evitare i colori. Lo so, rinnego quello che ho fatto per tanti anni, ma attenzione: erano abiti che cadevano addosso come una camiciona, una cosa un po’ sport. Invece il formale, a colori, è terribile. Vedo gli speaker in Tv con gli abitini grigi di grisaglietta, ma l’uomo, anche giovane, è più bello con l’abito scuro. E con la barba, il fenomeno del momento, che dà qualcosa in più anche a un ragazzo non bello: l’uomo con la barba è sexy». E una donna quando è sexy? «Quando non pensa di doverlo essere». Servirebbe un nuovo galateo della moda? «Il mondo è cambiato dai tempi in cui si indossava un abito preciso per ogni occasione. Un galateo è sempre utile, ma le vecchie regole andrebbero ripensate, ammorbidite». Qualche consiglio per un giovane stilista? «Nell’ordine: guardare il mondo fuori dall’atelier, capirne i bisogni, avere un’idea davvero originale e lavorare tenacemente su quella. Impegno e originalità, alla lunga, pagano sempre». Se Giorgio Armani avesse vent’anni oggi, che cosa farebbe? «Rifarebbe tutto da capo, con la stessa tenacia». Proprio tutto? «Forse ho dato una risposta banale. No, probabilmente non rifarei questo mestiere, anche se mi è piaciuto moltissimo, mi ha permesso di sopravvivere e mi è servito ad avere coscienza di me stesso. Ma ci sono tanti altri lavori che avrei voluto fare. Il regista cinematografico, per esempio. O scrivere. Ho cercato più volte di incominciare un diario, ma mi veniva da ridere». Ma lo sa che lei è molto simpatico? «Grazie. Normalmente mi dicono che sono molto bello. È la prima volta che mi dicono che sono simpatico». Forse avrei dovuto dire ironico. «Ecco, ironico, sì. Sarà l’età». Michela Gattermayer