Ferdinando Cotugno, Vanity Fair n. 22 6/6/2012, 6 giugno 2012
Andrea Pirlo gioca in difesa. Non sul campo, ovviamente: lì il centrocampista della Juventus e della Nazionale è sempre rivolto all’attacco, guida la squadra, come un burattinaio fa muovere il pallone e i compagni; dopo essere stato l’uomo decisivo del ventottesimo scudetto dei bianconeri (o trentesimo, a seconda delle scuole di pensiero: Pirlo è tra gli agnostici) – uno scudetto arrivato senza mai perdere, come successo solo altre due volte nella storia del campionato italiano –, sarà, dal 10 giugno, fra i titolari della Nazionale di Cesare Prandelli agli Europei in Polonia e Ucraina
Andrea Pirlo gioca in difesa. Non sul campo, ovviamente: lì il centrocampista della Juventus e della Nazionale è sempre rivolto all’attacco, guida la squadra, come un burattinaio fa muovere il pallone e i compagni; dopo essere stato l’uomo decisivo del ventottesimo scudetto dei bianconeri (o trentesimo, a seconda delle scuole di pensiero: Pirlo è tra gli agnostici) – uno scudetto arrivato senza mai perdere, come successo solo altre due volte nella storia del campionato italiano –, sarà, dal 10 giugno, fra i titolari della Nazionale di Cesare Prandelli agli Europei in Polonia e Ucraina. Fuori dal campo, invece, Pirlo è un difensivista vecchia scuola. Parla poco e piano, misura le parole, non scopre mai il fianco e dà l’idea che le conversazioni siano solo un’inutile seccatura tra una partita e l’altra. O un tentativo di scardinare la sua normalità. Non ha nessun vezzo da calciatore contemporaneo («Non mi pettino, non mi asciugo i capelli, mi rado due volte a settimana» è la sua idea di cura del look) e l’unica concessione all’estetica è un tatuaggio tra le scapole (il nome del primo figlio, Niccolò, 9 anni, in caratteri giapponesi, e l’iniziale della figlia, Angela, 5). Per il resto, si è sposato a 22 anni con Debora. Di lui non si ricordano scorribande mondane. E i gol che non accetta di subire sono quelli contro la privacy sua e della sua famiglia. Per questo motivo, quando lo incontriamo è di cattivo umore. L’ha rabbuiato un fresco articolo su di lui, apparso sull’Espresso, che ha tirato fuori la sua (presunta) ascendenza sinti – i sinti sono i «cugini» dei rom – e i suoi investimenti nel siderurgico. Chiariamo: lei è un sinti o no? «Non è vero. Sono anni che questa storia circola, e non sono mai riuscito a capire chi l’abbia messa in giro. Io, come tutta la mia famiglia, sono di Brescia. L’articolo conteneva falsità: non so perché sia stato scritto, ma procederò per vie legali». Non ci sarebbe niente di male. «Lo so, però non è una cosa vera». La storia degli investimenti industriali, invece, lo è? «Sì, ma sono affari miei. Sono cose che abbiamo da tanti anni, con la mia famiglia. E, soprattutto, sono cose che non devono essere scritte». Perché? «Perché può sembrare che abbiamo troppi soldi, che ho guadagnato troppo, e a me non piace quando si parla di soldi. Non parlo mai di soldi. Se ho guadagnato tanto, è perché me lo meritavo. La gente non deve essere invidiosa». Soffre molto l’invidia? «L’Italia ha un problema di invidia, soprattutto quando si parla di soldi, e in particolare nei confronti di noi calciatori. Sembra sempre che tutto sia regalato. Però preferisco lasciar perdere questo discorso». Parliamo di calcio, allora: immaginava un’annata così? «Ero convinto di poter fare una grande stagione, ma non pensavo così incredibile, senza neppure una sconfitta. Dopo dieci anni al Milan, non è stato facile cambiare: ho valutato tante cose, e ho scelto la squadra che mi sembrava avere le maggiori motivazioni». Quanto ancora potrà giocare a questi livelli? «Forse 4, 5 anni. Io mi sento bene, mi diverto ancora. Poi mi piacerebbe fare qualche campionato in America. Non sono tipo da “vacanza” a Dubai o in Cina, cercherei un’esperienza di vita interessante, per me, per i miei figli». Che padre è per loro? «Sono un papà normale, presente, tranquillo. Mi piace giocare con loro, passeggiare, portarli in pizzeria. Voglio che abbiano una vita normale, anche se hanno un padre famoso. Devono studiare e lavorare, come tutti». E come marito? «Non mi piace parlare del mio privato, non ho mai cercato questo tipo di attenzioni. E guardi che se in Italia decidi di non apparire, se non vai troppo in giro a farti fotografare, se non rilasci troppe interviste, la tua privacy è al sicuro». Ci dice almeno da quanto state insieme? «Da 15 anni, da quando eravamo ragazzini. Siamo sposati da dieci». Di lei si sa pochissimo: che cosa fa? «La mamma. E la moglie». Si parla spesso di omosessualità nel calcio. Lei ha mai avuto compagni di squadra gay? «Ne abbiamo parlato, a volte, tra compagni, nello spogliatoio. Tutto è possibile, e per me non sarebbe certo un problema, ma non mi è mai sembrato di averne incontrati». Un compagno le chiede se è il caso di fare coming out: lei che cosa risponde? «Non lo so. Non è mai uscito niente del genere, sarebbe il primo. E forse sarebbe un problema. Non siamo pronti, in Italia e nel mondo del calcio. Si darebbe tantissimo risalto alla cosa, e non so che ne sarebbe della carriera di questo calciatore». Per lei un calciatore non dovrebbe prendere posizioni pubbliche? «Un calciatore deve essere riservato. Ogni cosa che dice può essere strumentalizzata, perciò meglio restarne fuori, pensare alle proprie cose, e al lavoro». Quindi, in vista dell’Europeo, non le interessa il possibile boicottaggio all’Ucraina per solidarietà verso l’ex premier Tymoshenko, che denuncia maltrattamenti in carcere? «Ripeto: noi calciatori non possiamo far niente. Queste sono cose politiche, noi dobbiamo solo pensare a giocare». È ottimista per la Nazionale? «Possiamo andare lontano. Certo, serve una combinazione di forma fisica e fortuna. Però abbiamo un allenatore bravo e giocatori forti». Come Cassano e Balotelli: ha dei consigli per loro? «No, nessun consiglio. Ci saranno pressioni su di noi, ma anche poche distrazioni: saremo sempre in ritiro». Parlando di pressioni, che idea si è fatto sulla rissa, a bordo campo della Fiorentina, tra l’ex allenatore Delio Rossi e il suo giocatore Ljajic? Rossi, per quell’episodio, è stato esonerato. «Non ci potevo credere. Penso siano cose che capitano, anche se è meglio che succedano negli spogliatoi. E poi Rossi in vent’anni di carriera si era sempre comportato bene: è stato un raptus». Quindi il problema è aver avuto quella reazione davanti a tutti? «Se fosse accaduto nello spogliatoio, non sarebbe successo niente». Per chi ha vinto tutto come lei, che cosa c’è ancora da sognare? «Voglio continuare a vincere. E poi, quando smetto, mi piacerebbe fermarmi per un paio d’anni. Girare l’Italia e il mondo con la mia famiglia. Non ho rimpianti, ho seguito il mio sogno, ma per giocare mi sono perso un pezzo di vita. E penso che me lo riprenderò». Ferdinando Cotugno