Antonio Quaglio, Il Sole 24 Ore 31/5/2012, 31 maggio 2012
Le Opa «non gemelle» del 2005 – Condanna per Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, allontanati da Unipol dopo l’Opa Bnl; assoluzione per Carlo Cimbri, tuttora capo-azienda a Bologna
Le Opa «non gemelle» del 2005 – Condanna per Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti, allontanati da Unipol dopo l’Opa Bnl; assoluzione per Carlo Cimbri, tuttora capo-azienda a Bologna. Assoluzione in parallelo per l’ex Governatore Antonio Fazio, cui è stato con tutta evidenza riconosciuto un ruolo strettamente istituzionale; per Francesco Gaetano Caltagirone (azionista stabile della Bnl molti mesi prima dell’Opa Bbva) e per altri grandi soci affacciatisi in Via Veneto. In attesa delle motivazioni, alla prova dei fatti illuminati dalla sentenza della seconda sezione d’Appello di Milano, i due grandi scontri bancari del 2005 appaiono nettamente distinti: il piano Unipol su Bnl contro il Bilbao sempre meno "gemello" dell’Opa della Popolare Italiana su AntonVeneta contro Abn Amro. E questo emerge, a maggior ragione, due giorni dopo che la quinta sezione della stessa Corte d’Appello di Milano ha ribadito la colpevolezza di Fazio, Consorte e Sacchetti nell’affaire AntonVeneta, pur riducendone le pene: formalmente, comunque, per lo stesso aggregato di capi d’imputazione. Era stato Luigi Abete - presidente di Bnl allora e ora, dopo l’acquisizione da parte di BnpParibas - ad augurarsi nei giorni scorsi che proprio la seconda sentenza Unipol potesse avviare una rilettura. «Non tutti erano "furbetti"», ha sottolineato Abete. Dal dispositivo di ieri le figure di Consorte e Sacchetti (i cui comportamenti, è stato ribadito, hanno avuto significatività penale) escono in effetti nettamente distinte dal profilo strettamente imprenditoriale attribuito dai magistrati a Caltagirone e dalla linearità di vigilante rilevata per lo stesso Fazio. Era sicuramente unica la preoccupazione che mosse il Governatore della Banca d’Italia a contrastare un tentativo contemporaneo di de-italianizzazione di due poli creditizi di prima fascia Su AntonVeneta, tuttavia, la partita fu da subito opaca sul mercato: una "controscalata" organizzata in fretta e furia contro Abn Amro da una banca già controversa, come la Bpi di Gianpiero Fiorani, reduce da una campagna acquisizioni poco sostenibile. Fu dunque soprattutto su AntonVeneta che si concentrò il pressing polemico di mercati e autorità Ue. E stato su questo fronte che la resistenza di Fazio - hanno confermato le ricostruzioni processuali - si spinse oltre i limiti del lecito, costandogli una rimozione traumatica da Bankitalia. Un passaggio peraltro in via di revisione storica: i successivi crack bancari globali hanno messo in ben più seria discussione tutti i sistemi di vigilanza di Usa e Ue e rivalutato la forza relativa del made in Italy creditizio che Fazio difendeva. Sulla public company Bnl, d’altra parte, numerosi investitori - come lo stesso Caltagirone - avevano deciso di entrare senza pressioni indebite di Via Nazionale. E in Bnl erano presenti altri nomi del grande capitalismo nazionale, come le Generali e il gruppo Della Valle. Tutti - acquirenti e venditori, nei vari schieramenti - avevano l’obiettivo di tutelare l’integrità del loro investimento in una partita di mercato. Sette anni dopo la privatizzazione, Via Veneto era d’altronde a un bivio e la direttrice strategica non si presentava univoca: i rumor parlarono a lungo di una possibile aggregazione con Mps. Lo stesso "testa a testa" fra l’Opa del Bbva e quella Unipol (inizialmente autorizzata da Consob, Isvap e Antitrust e fermata dalla Banca d’Italia solo dopo l’uscita di scena di Fazio) si tradusse in un confronto fra due progetti industriali: l’assorbimento di Bnl in un colosso europeo (come poi del resto avvenne, ma in Bnp); oppure la nascita di un aggregato bancassicurativo che allargasse il mercato interno, concentrato sui due "campioni nazionali" milanesi e sulle Generali. Le cose - per Bnl come per AntonVeneta - sono andate diversamente. Un’«occasione perduta» è stato detto anche ieri: certamente per il piano Unipol. Antonio Quaglio