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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

DAGOSPIA PRESENTA “APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 8° PUNTATA - L’ODIO DI TED TURNER, FONDATORE DELLA CNN, E LA SFIDA (MAI AVVENUTA) SUL RING - LO SQUALO DEVOTO E LE AMBIGUE ONOREFICENZE - PUR DI INGRAZIARSI IL GOVERNO CINESE, IMPEDISCE LA PUBBLICAZIONE DEL LIBRO DEL GOVERNATORE DI HONG KONG - PAROLA DI UN PREMIO PULITZER: “NESSUN PESCE CON UN MINIMO DI DIGNITÀ SI FAREBBE INCARTARE IN UNO DEI GIORNALI DI MURDOCH”…


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Nel 1997 la Abc Tv News gli dedica un programma: «Murdoch è un barone dei media e sul suo impero non tramonta mai il sole», dice Andrew Neil, ex-giornalista del «Sunday Times», «ciò che lo distingue però è che lui si comporta come un Re Sole». «Nel bene e nel male», gli risponde Murdoch, «la mia impresa è un riflesso del mio pensiero, del mio carattere e dei mei valori». A loro si aggiunge, nella stessa occasione, il commento dell’anchorman Ted Koppel: «Murdoch è, per il mondo della comunicazione, ciò che Rockefeller è stato per il mondo del petrolio e del gas».

Tra i rivali di Murdoch, uno che gli ha sempre manifestato, con parole di fuoco, la sua ferma avversita’, e’ Ted Turner, il fondatore della CNN. In piu’ occasioni Turner definisce Murdoch: " un personaggio viscido (slimy)" , "una persona molto pericolosa", uno che agisce "senza vergogna" e, piu’ recentemente, "un guerrafondaio". Secondo alcune cronache (www.money.telegraph.co.uk) il primo scontro frontale tra i due si verifica nel 1983.
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

In quell’anno, durante la regata Sidney-Hobart, uno yacht sponsorizzato da Murdoch sperona l’imbarcazione capitanata da Ted Turner e l’affonda. Sembra che in quest’occasione, per dirimere la contesa, l’allora 45enne Turner sfidò l’allora 52enne Murdoch ad un incontro di boxe. Secondo altre fonti invece (Reuters/Variety 15.6.97), la sfida ad un incontro di boxe da tenersi a Las Vegas, da filmare e proporre come evento in pay per view, sarebbe stata lanciata da Turner nel 1997, durante un’udienza al Tribunale di New York, in cui era in ballo una disputa riguardante i diritti tv e reti via cavo. I due pero’, nel 1997, sarebbero gia’ un po’ troppo anziani per boxare. In ogni caso Murdoch non ha mai raccolto il guanto.

Spesso di Murdoch si sono occupate eminenti Istituzioni e Organizzazioni internazionali, che gli hanno conferito premi e onorificenze. Nel 1997 la United Jewish Appeal Federation of New York (un gruppo che si autodefinisce «la maggiore organizzazione filantropica del mondo») si dilunga in elogi e riconoscimenti, e il 29 maggio in una sontuosa cena al Waldorf Astoria di New York, il suo amico Henry Kissinger gli consegna il Premio «Humanitarian of the Year». Murdoch nell’occasione si premura di affermare di avere sempre mantenuto «la fede sua e della News Corp. nell’integrità e nel valore del Sionismo».
RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA

Ancora più sorprendente, vista la fama di editore scandalistico che lo ha sempre accompagnato, è l’atteggiamento assunto dal Cardinale Roger Mahoney che l’11 gennaio del 1998 nomina Rupert e la sua cattolica moglie Anna «Cavaliere Comandante e Dama dell’Ordine di San Gregorio», come esempio «di influenza positiva sulla società e sulla cultura». In realtà l’onorificenza è dovuta al fatto che Murdoch ha da poco sottoscritto un accordo con un noto predicatore americano, Pat Robertson, che a ogni sua apparizione in Tv colleziona milioni di telespettatori.

L’occasione in cui Murdoch stimola veementi commenti sulla sua persona e sul suo operare, risale senza dubbio alla primavera 1998, quando impedisce la pubblicazione di un libro di memorie scritto dall’ultimo governatore di Hong Kong, Chris Patten, per ingraziarsi il Governo cinese (vedi capitolo su Asia Sat e Star Tv). Stavolta e’ in ballo il principio di libertà di stampa e di pensiero e l’opinione pubblica si interroga sulla applicazione di tale principio da parte del Re dei media.
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

Si scatenano i commentatori: Murdoch ha cessato di essere un membro della nostra società aperta. (Peter Hennessey, storico della politica). Quelli come Murdoch devono essere controllati dal Governo. (Fay Weldon, romanziere). L’economia e gli affari sono le uniche forze che trainano il mondo secondo Murdoch [...]. Quando fa queste cose crede di essere nel giusto. (Ray Greenslade, commentatore media).

Sarebbe molto facile nascondersi e dire che io sono solo interessato ai profitti e alle perdite», fa sapere Murdoch, «ma io sono interessato al mondo delle idee, a quello che succede, al modo in cui si possono cambiare le cose.

Commenta Terry Boardman nel suo saggio Patten and Murdoch Quarrel:

"Sappiamo bene a quale tipo di idee e valori è interessato Murdoch: condivide con molti americani un profondo disprezzo per i valori della Vecchia Europa [...] Nel suo «Sunday Times» i valori che vengono difesi sono quelli del «sogno americano»: ricchezza e libertà materialiste, espresse della comunità anglofona, ricca e potente, all’interno della quale si è sempre mosso, sono per lui, decenti e universali. Sono i valori del futuro occidentalizzato che i suoi media diffondono nel mondo con una tale efficacia che pervadono tutto [...]".
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Nel 1998 il suo amico Forbes, proprietario della rivista «Fortune», gli dedica un lunghissimo servizio teso a sostenere l’ingresso alla Borsa di New York del suo nuovo gioiello: il Fox Entertainment Group. Il candore dell’articolista, che peraltro rimane anonimo, è esemplare.

"Ecco chi è Rupert Murdoch: infrangere le regole, sfidare le convenzioni, intraprendere guerre con ogni mezzo necessario e, abitualmente, vincere. Per Murdoch il mondo degli affari è una giungla senza chiari confini e pericoli nascosti dietro ogni albero. Vuole diventare il Re Leone di questa giungla e la sua cruda fame di potere lo sostiene". Ma c’è dell’altro. «Murdoch ha la sconcertante abitudine di cambiare le regole di ogni partita in cui gioca.

In televisione, nello sport, sui giornali, in qualsiasi cosa faccia, attacca e si oppone alle tradizioni ignorando le critiche, e difende le sue scommesse così vigorosamente da scuotere l’establishment. Qualche volta sembrano follie. Più frequentemente che non, risultano vincenti. Non si ferma mai: qualsiasi posizione raggiunga se la rigioca immediatamente. [...] Non sembra preoccuparsi molto delle sue ricchezze. La notte del 1987 in cui i mercati finanziari crollarono era a cena con degli amici ai quali disse "Spero che qualcuno paghi il conto perché oggi ho perso 1 miliardo e 200 milioni di dollari".
Rupert MurdochRupert Murdoch

Verità? Leggenda? Non sappiamo, anche questo fa parte del puzzle.
I gestori di un sito web, www.fortunecity.com, lo detestavano particolarmente. Nella schermata d’apertura era descritto come «egomaniaco e bugiardo. Ha trascorso la sua adolescenza scommettendo sulle corse dei cavalli», e all’interno del sito si citano diversi suoi biografi e detrattori.

Thomas Kiernan, autore di Citizen Murdoch (New York, 1986), afferma che «Murdoch ha costruito un’intera carriera infrangendo regole di condotta tra gentiluomini. [...] Nel 1972 sosteneva il candidato del Labour Party, Gough Whitlam, quale Primo Ministro in Australia. Dopo le elezioni Murdoch gli chiese di essere nominato ambasciatore a Londra. [...] Nel 1975, invece di continuare a sostenere Whitlam, offrì appoggio al conservatore Malcolm Fraser [...].
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Niente appariva sul suo giornale, «The Australian», che non fosse in linea. [...] Fraser vinse e dopo le elezioni i giornalisti scesero in sciopero e bruciarono copie del giornale. Il problema non erano i soldi ma l’etica. [...] Più tardi Murdoch ottenne da Fraser una modifica alla legge che gli consentì di possedere televisioni».

«Considera il giornalismo come una branca dello show-business», scrive Alan Watkins, editorialista, «e crede che la gente compri un giornale non per essere istruita, né per sapere quello che succede nel mondo, ma per farsi due risate».

«Al New York Post», scrive Steve Dunleavy, «per rendere il giornale più conservatore, sostituì un quarto della redazione con i suoi reporter da foglio scandalistico». È questo il periodo in cui si conia una battuta sul suo conto che è circolata per anni, attribuita a un Premio Pulitzer: «Nessun pesce con un minimo di dignità si farebbe incartare in uno dei giornali di Murdoch».

Secondo Andrew Neil il «Times» venne comprato nel 1981 solo grazie a «relazioni politiche» e, secondo i redattori di www.fortunecity.com, nel 1985 l’acquisto della Fox in Usa si fece con l’appoggio della Federal Communications Commission (d’ora in poi Fcc) contro il volere del Congresso. Anche Ken Auletta sostiene questa tesi: «Murdoch e i suoi amici repubblicani che facevano le leggi premettero sulla Fcc in suo favore. Il Congresso addirittura minacciò di tagliare i fondi alla Fcc».

Murdoch sembra rispondere a tutto ciò che gli viene imputato nel sito «Time on line edition», che lo definisce «un libertario». «Che significa libertario? Il massimo della responsabilità individuale, la minima ingerenza dei Governi, le minime regole possibili. Non dico però che tutto ciò debba essere portato all’estremo». Meno male!
CinaCina

8/ Continua...

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 9° PUNTATA - QUANDO BLAIR CHIAMÒ PRODI PER PERMETTERE A MURDOCH DI COMPRARE LE TV DI BERLUSCONI - IL PRAGMATISMO VISIONARIO E LA “TEORIA DEI GIOCHI”: “C’È SEMPRE UN SECONDO LIVELLO AL DI SOTTO DEL NEGOZIATO PUBBLICO, CONOSCIUTO SOLO DA CHI STA NEL GIOCO, E POI C’È UN TERZO LIVELLO, ANCORA PIÙ SOTTO, CHE NESSUNO VEDE MAI” - IL NO ALL’EURO-REFERENDUM…

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L’occasione del suo settantesimo compleanno scatena un’ondata di messaggi che vengono raccolti dal sito www.mediaguardian.co.uk. Tra quelli pro: Ci voleva un australiano per rigirare il mondo sottosopra. (Lord Saatchi, guru della pubblicità)
Ho sempre ammirato in te la tua completa mancanza di pomposità e la tua determinazione quasi infantile nell’ottenere ciò che vuoi. (Gerry Robinson, ex-Presidente di Granada)

Amalo o odialo, non puoi evitare di ammirare i suoi successi che sono veramente immensi. (Frank Barlow, ex-Sky Tv e Pearson). Tra quelli contro:
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"È un peccato che tu possa celebrare un altro compleanno considerando la miseria che hai causato a tutte le donne che lavorano nell’industria del sesso e che hanno sofferto molestie sessuali... la tua idea è stata quella di mantenere viva l’immagine della donna intesa come un pezzo di carne senza cervello e di incoraggiare molti uomini ad essere più porci di quanto non fossero." (Julie Bindel, capo di Justice for Women)

"Buon compleanno, Rupert. Posso solo augurarti di essere trattato come tu hai trattato gli altri." (Ernie Greenwood, una dei partecipanti al picchetto di Wapping che venne travolta dalla Polizia a cavallo)

"Murdoch è la signora Thatcher dei media. Ha cambiato lo scenario irreversibilmente e non sempre per il meglio. Adesso ha troppo potere, ma sfortunatamente non può essere «trombato» e mandato a spasso, come la Thatcher." (Norman Baker, portavoce dei Liberal Democrats)

Ma quanto è il potere di Murdoch sugli uomini politici? Troppo, veramente troppo - anche in relazione all’Italia - se è vero quanto affermato nel programma radiofonico australiano The National Interest condotto da Terry Lane l’8 luglio del 2001. Nel corso di una lunga intervista a Neil Chenoweth (consultabile sul sito www.abc.net.au), Terry Lane chiede: «Immagino che uno dei più cospicui esempi dell’influenza politica di Murdoch sia quella che esercita su Tony Blair.
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Ci sono un paio di esempi che tu dai [nella biografia Virtual Murdoch pubblicata nel 2001 sia a Londra sia a Sydney, nda]: uno sarebbe quello in cui Blair è intervenuto sul Primo Ministro italiano per persuaderlo a superare le regole che avrebbero impedito ad uno straniero di comprare le Tv di Berlusconi».

«Sì, avviene in un momento particolare», risponde Chenoweth. Lo scrittore riassume il sostegno dato da Murdoch con i suoi giornali all’elezione di Blair e poi continua: «Un anno dopo (le elezioni inglesi, nda) Murdoch è alle prese con uno dei suoi interminabili negoziati. A Roma sta cercando il modo per comprare i media assets di Berlusconi. Vuole sapere se il Governo italiano protesterà nel caso in cui si faccia l’affare. Telefona a Tony Blair. Blair è molto impegnato nella stesura del suo primo programma finanziario, ma quando Prodi lo chiama il giorno dopo...».
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«Intendi il Primo Ministro italiano?», dice Terry Lane. «Certo. Tony Blair sa come muoversi e gira la domanda a Prodi. Il Primo Ministro italiano dice che si cerchera’ una soluzione e così Blair può comunicarlo a Murdoch». Anche Michael Leapman, nel sito www.motherjones.com, conferma che nel marzo 1998 Blair, su richiesta di Murdoch , chiese a Prodi un parere " da statista a statista". In quell’occasione, il Primo Ministro Italiano avrebbe risposto che , sebbene non fosse personalmente contrario, l’offerta avrebbe potuto destare resistenze nella coalizione di centrosinistra. Su questa controversa vicenda si pronunciò in seguito anche il portavoce di Blair, negando tutto ma, in risposta, secondo Leapman, scese in campo il Times che invece confermò l’intervento di Blair su Prodi.
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Dell’affare con Berlusconi, come si sa, non se ne fece niente, ma restano le affermazioni di Chenoweth, che, se corrispondono a verità, disegnano un inquietante scenario e confermano la capacità di ingerenza di Murdoch sulla Global Power Élite, giustappunto al di là delle popolaresche distinzioni tra destra e sinistra, tra maggioranza e opposizione.

Scrive ancora Chenoweth nel suo libro:
"Ciò che Murdoch offre, qui e ora è un pezzo di futuro. L’uomo, prima di altri, possiede una misteriosa e fantastica abilità di far accadere il futuro, in un modo che quasi nessuno nel mondo sa fare. È un futuro di idee e visioni che rendono Murdoch quasi irresistibile a chiunque abbia una scintilla di immaginazione... Questo è Murdoch nella sua forma più seduttiva".

Con il 2002, forte dei suoi 72 anni che gli consentono di essere collocato tra i Grandi Vecchi del pianeta, in uno scenario di Global Risk Economy, per Neil Chenoweth Murdoch diventa «virtuale», e per lui viene coniata la definizione Pragmatic Foresight (‘preveggenza pragmatica’, ‘pragmatismo visionario’), e in questo strano accostamento di parole si nasconde un’insidia da Terzo Millennio, un’insidia nuova e sconosciuta.
RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA

Non sappiamo ancora quanto Murdoch sia apocalittico o quanto sia Sheherazade. Secondo Chenoweth si tratta di uno «stile» che gli venne insegnato, durante la sua permanenza a Oxford, dal suo amico Robin Farquharson, Segretario della Voltaire Society, che lo introdusse alla game theory (http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_dei_giochi) e ai modelli matematici. Dal 1953 in poi Murdoch applicò la game theory a una serie di stratagemmi d’affari che hanno creato la sua aura di «giocatore/scommettitore». Fra gli altri, l’uso della game theory accomuna Murdoch a Timothy Belden, considerato il responsabile del crack Enron.

In sostanza, scrive Chenoweth, «c’è sempre un secondo livello al di sotto del negoziato pubblico, conosciuto solo da chi sta nel gioco (the insiders) e poi c’è un terzo livello, ancora più sotto, che nessuno vede mai». Se parlassimo dell’uomo che fa «il gioco delle tre carte alla fiera» sarebbe divertente, ma stiamo parlando del maggior proprietario di media del pianeta. E infatti la sua strategia lo rende, dice Chenoweth, «più di un banale, intelligente uomo d’affari e tattico della finanza.

La prospettiva conservatrice sulle tecnologie dell’informazione, che ha condizionato tutti gli affari delle telecomunicazioni nella metà degli anni Novanta, venne influenzata dal libro di George Orwell 1984 e subì la paura della sorveglianza totale della società [...]. Murdoch (invece) fonda le sue visioni sulle analisi di Peter Huber, del Manhattan Institute, il cui libro Orwell’s Revenge: the 1984 Palimpsest ridisegna lo scenario del Grande Fratello e la sua dimensione morale».
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E probabilmente è proprio sotto il profilo morale che un indispensabile giudizio su Murdoch andrebbe espresso. In parte quel giudizio è stato espresso, non dalla piazza o dai Parlamenti, ma attraverso una campagna stampa e Tv pagata dalle organizzazioni civili (vedi il capitolo su DirectTv), quindi, per la prima volta sul suo stesso terreno di gioco. Gli annunci sui giornali e i messaggi televisivi dicevano semplicemente: MURDOCH VUOLE DI PIÙ, MOLTO DI PIÙ. SE NON AGIAMO ADESSO SE LO PRENDERÀ.

Un ultimo tassello del grande mosaico Murdoch è costituito dalla sue dichiarazioni sull’Euro-Referendum: «Votate no!», diceva in quel frangente. «L’Europa è fatta da così tante culture e storie diverse che non si può ammucchiarle tutte insieme sotto un Governo di burocrati francesi che non risponde a nessuno [...]. L’idea di un’Europa con una sola politica estera, con una forza militare unita in una sola organizzazione, mi sembra cent’anni prematura. Se aspettiamo non vedo altro che benefici». Meditate!

9/ Continua...

APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 10° PUNTATA - COME INIZIÒ TUTTO: IL “MELBOURNE HERALD”, IL COLLEGE, “RUPERT IL ROSSO”, L’“ADELAIDE NEWS” - IL SENSAZIONALISMO, LE NOTIZIE POMPATE O DIRETTAMENTE INVENTATE, I GUADAGNI CHE SALGONO E LE PERPLESSITÀ DEI GIORNALISTI - I PRIMI GRANDI SUCCESSI: IL LANCIO DI “THE AUSTRALIAN” E DEL DOMENICALE “THE WEEK END AUSTRALIAN” - LA PRIMA TV: “CHANNEL 9” - “MR RUBBISH” CONQUISTA L’AUSTRALIA E PENSA ALL’INGHILTERRA…

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RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA

1 - LE ORIGINI...
Rupert Keith Murdoch, detto anche RKM, nasce a Melbourne (Australia) l’11 marzo 1931. Per gli astrologi occidentali è Pesci con la Luna in Sagittario. Per i cinesi è Pecora.
Figlio d’arte, Rupert respira da subito l’odore delle tipografie e della carta stampata. Fin da ragazzo frequenta l’«Herald», giornale inventato e posseduto da suo padre, tanto che sua madre Elisabeth lo ricorda preferire, alle normali occupazioni di adolescente, la lettura critica della stampa, con il relativo commento di tutti gli aspetti, dal contenuto degli articoli alla veste tipografica.

L’«Herald» era un giornale popolare che vendeva molto grazie al binomio informazione-spettacolo, sempre in bilico sul filo del buon gusto (papà Murdoch è d’altronde uno dei pionieri dei concorsi di bellezza femminili, e questo la dice lunga sul tipo di informazione da lui preferita), e Rupert impara tanto e presto.

Studia dapprima in Australia, all’esclusiva Geelong Grammar School e poi, nel 1950, viene spedito in Inghilterra, al Worcester College di Oxford. Fra gli studi e le corse dei cavalli trova anche il tempo di frequentare la redazione del «Daily Express», un quotidiano popolare di rispettabile tiratura diretto da Lord Beaverbrook, vecchio amico del padre, che Murdoch cita sempre come uno dei suoi maestri. Ricorderà in seguito il Gran Mogol: «Al "Daily" doveva esserci ogni giorno un titolo a tutta pagina. Non contava che fosse una notizia importante. Il lettore doveva sentire che lo era».
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Rupert ascolta, apprende, memorizza, ma è inquieto e insoddisfatto. Sogni di grandezza si presentano confusi nella sua mente. Il disagio inoltre è accresciuto dall’atteggiamento un po’ razzista dei suoi coetanei nei confronti degli aussie, un appellativo non sempre bonario che gli inglesi usano per definire gli australiani. Comincia così a comportarsi in modo provocatorio, si da’ arie da sovversivo: compra un busto di Lenin e lo mette in bella mostra nella sua stanza al college tanto da meritarsi il soprannome di «Rupert il Rosso».

Sembra una ragazzata, ma poteva diventare un gioco pericoloso. Nei primi anni Cinquanta, in piena Guerra Fredda, i college britannici pullulano di uomini dei servizi segreti sovietici che reclutano adepti: passare per un comunista può procurare molte noie, anche se per Murdoch si tratta semplicemente di uno sberleffo all’establishment parruccone dei supponenti «cugini».

Nel 1953 Rupert deve tornare precipitosamente in Australia: sir Keith Murdoch è passato a miglior vita. Infarto cardiaco. L’uomo era stato una manna per gli editori e gli azionisti della Herald & Weekly Times (Hwt), viene meno proprio nel momento in cui stava per consolidare la sua posizione. Avrebbe voluto lasciare ai figli una cospicua eredità, ma il giovane Rupert deve accontentarsi di spartire con sua sorella le poche azioni del «Melbourne Herald» e la proprietà di un minuscolo giornale di provincia, l’«Adelaide News».
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Tra le carte paterne un testamento, a mo’ di oracolo, recitava: «Spero che mio figlio Rupert possa avere l’opportunità di dedicarsi totalmente, fin dalla sua giovinezza, alla causa dell’informazione, affinché ricopra un giorno importanti responsabilità in questo campo». In realtà va detto che, nonostante le quote della Hwt apparissero esigue e tra i giornali fosse rimasto solo il quotidiano di Adelaide, grazie al patrimonio di famiglia il ventiduenne Rupert non si trovò certo spiantato.

Non appena entrato in possesso dell’«Adelaide News», Murdoch si trova in guerra con altre testate. Subisce esplicite minacce: «O ce lo vendi o ti mettiamo fuori dagli affari». «Ho fatto allora una cosa che stabilì una volta per tutte lo stile della mia società», ricorderà Murdoch in seguito: «ho rotto ogni regola dell’establishment e ho pubblicato l’offerta fattami, sulla prima pagina del giornale, sotto un titolo che recitava: VOGLIONO IL MONOPOLIO. E ho incluso anche la fotografia della lettera confidenziale che avevano inviato a mia madre». Murdoch non verrà mai più invitato nei club esclusivi di Adelaide, ma il giornale è salvo.
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2 - LA BASE AUSTRALIANA...
Nel 1953, a 22 anni, arriva per il giovane Murdoch il momento di rimboccarsi le maniche e dimostrare al mondo e alla famiglia quello che sa fare. Se è l’intuito, misteriosa alchimia di cromosomi, a fare la differenza fra uno squalo di razza e un diligente barracuda, allora Rupert è stato toccato da una grazia (e a sostegno di questa ipotesi sembra esserci, per chi ci crede, la congiunzione Giove-Plutone nel suo quadro astrale).

Il suo primo passo è quello di occupare il posto di suo padre all’«Herald», e contemporaneamente trasformare l’«Adelaide News» in un’agenzia di stampa per sperimentare le sue idee in fatto di notizie e scelte editoriali. Da subito inonda i giornali australiani con servizi caratterizzati da un forte sensazionalismo, infarciti di scandali e di storie nere; gonfia piccole notizie o addirittura le inventa. Gli addetti ai lavori rimangono perplessi, ma sono costretti a riconoscere che la strada imboccata dal giovane Murdoch fa impennare le vendite e porta lauti profitti, anche perché l’irriverente editore sa ridurre al minimo i costi di gestione con ristrutturazioni selvagge - che tuttavia seminano il panico fra i suoi dipendenti e collaboratori.

Mettendo insieme i profitti delle sue imprese e il non trascurabile capitale di famiglia, Murdoch alla fine degli anni Cinquanta estende il raggio d’azione della sua avventura e si lancia alla conquista dell’East Australia. Lì ci sono ricchi insediamenti industriali e c’è Sydney, il cuore economico e finanziario del continente. L’Australia sta allora cominciando a pianificare l’impiego delle sue immense risorse: esporta grano, burro, carne, lana e gode dello sfruttamento di miniere dalle quali cava piombo, zinco, bauxite e lignite.
Rupert MurdochRupert Murdoch

Milioni di immigrati approdano alle sue pingui rive, e le città si frantumano in una miriade di sobborghi residenziali e di ghetti dove dimora il popolo minuto. Mentre i decimati aborigeni vengono costretti a integrarsi a fatica nel nuovo sistema di vita, Murdoch arriva nel mondo degli affari australiani come un ciclone, e sorprende la sonnacchiosa editoria giornalistica con audaci colpi di mano. Rileva piccoli giornali moribondi quali il «Sunday Times» e il «New Ideas Magazine» e, con una tecnica che non abbandonerà mai più, li rivitalizza col proprio dinamismo imprenditoriale per poi darli in garanzia e ottenere prestiti per nuovi investimenti.

Il sensazionalismo fa alzare le vendite, con la conseguenza immediata di aumentare gli introiti pubblicitari e stimolare la distribuzione, cosa non facile in Australia per un editore spinto da ambizioni nazionali, data la vasta estensione del territorio. Le città stesse rappresentano scogli da superare perché occupano spazi immensi, non paragonabili a quelli dei nostri agglomerati urbani.

Oltre a un marketing aggressivo e alla pubblicità «concorrenziale» (cioè spazi venduti a prezzi più bassi della concorrenza), la carta vincente di Murdoch è la sua totale fiducia nelle nuove tecnologie tipografiche che gli consentono di realizzare, con almeno quindici anni di anticipo sui suoi competitors, un colpo di tutto rispetto: il lancio di un quotidiano nazionale di informazione, «The Australian»: un foglio che arriva puntuale, all’ora di pranzo, sulla tavola di ogni buon australiano, da Perth a Brisbane, da Hobart a Darwin.
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

E il suo supplemento domenicale, «The Week End Australian», è un affare d’oro.
Nel frattempo Murdoch ha esteso le attività anche alla Nuova Zelanda e ha ottenuto, in patria, una licenza televisiva nazionale, per una stazione chiamata Channel 9. Non è la prima volta che il nostro aspirante tycoon si interessa concretamente al mezzo televisivo: qualche anno prima aveva già ottenuto due licenze regionali per la Southern Television e aveva tentato di acquisire il network nazionale Channel 10, incontrando però il veto del Primo Ministro, Robert Gordon Menzies. Stavolta ce la fa e comincia ad alimentare Channel 9 con programmi di importazione dagli Usa. In ogni caso la sua attenzione è ancora quasi interamente assorbita dall’adorata carta stampata.

Nei primi anni Sessanta riesce a ottenere dal gruppo Fairfax, dopo pressioni di ogni genere, un quotidiano e un settimanale, rispettivamente il «Sydney Daily» e il «Sunday Mirror». In un secondo tempo mette le mani sullo scandalistico «Truth» e lo rende ancor più fibrillante, applicando in modo selvaggio la regola appresa a Londra da Lord Beaverbrook: titoli a caratteri cubitali in prima pagina, del tipo: PROSTITUTA PRESBITERIANA SGOZZATA DA UN OPERAIO CATTOLICO.
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

Certo non si può dire che Murdoch indulga a considerazioni che possano nuocere al buon andamento del business. La gente compra? Tutto bene. Nel 1967, anno del suo secondo matrimonio (con Anna Troy), la sua catena di giornali, la Ipc, è già valutata 100 miliardi di vecchie lire. E sempre in quell’anno consolida una finanziaria che diventerà il suo «forziere»: la Cruden Investment. Per il trentaseienne Murdoch, che in patria può già fregiarsi del titolo di «Mr. Rubbish» (‘mister spazzatura’), è il momento di esclamare, parafrasando il balzachiano de Rastignac: «E ora Londra, a noi due!».

10/ Continua...

APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 11° PUNTATA - 1968: UN CANGURO ALLA CONQUISTA DI LONDRA - L’INIZIO (E LA FINE?): IL “FURTO” DEL “NEWS OF THE WORLD” E IL PRIMO SCONTRO FRA “I DUELLANTI” RUPERT MURDOCH E ROBERT MAXWELL - IL SALVATAGGIO E L’ACQUISIZIONE DEL “SUN” GRAZIE ALL’AMICIZIA CON I CONSERVATORI - LA RICETTA VINCENTE: TETTE, CULI, VECCHI SCANDALI, NOTIZIE INVENTATE – LO SGUARDO VERSO GLI USA…

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UN AUSSIE NELLA CITY
Quando Murdoch sbarca a Fleet Street, la strada degli affari, roccaforte delle élite britanniche, è il mitico 1968. «Cade una pioggia d’argento sugli sporchi selciati di Londra»: dalle radio dei taxi esce la musica dei Beatles, ma la cosa non lo riguarda molto.
A gennaio il Primo Ministro, Harold Wilson, ha annunciato un esteso programma di tagli alle spese e lo sgombero di tutte le basi militari a Est di Suez, per tre anni. In sostanza la Gran Bretagna aveva abdicato al ruolo di potenza mondiale di serie A.

Nella City si respira dunque aria di grandi cambiamenti e nella valigia Murdoch porta con sé, oltre ai piani di battaglia, almeno una convinzione: «Sono un aussie al cospetto di un mondo esclusivo e arrogante». Rupert sa bene che quel mondo è in declino e che nei periodi di decadenza regna la confusione. Se un uomo è abile e privo di scrupoli, quello è il suo momento favorevole.
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

Allora affila la spada e si concentra sul suo primo obiettivo: il «News of the World», (proprio così: tutto ha inizio a Londra con il giornale che lo sta conducendo alla disfatta!). Il settimanale popolare è in agonia e viene messo all’asta dai suoi editori. Murdoch ha sempre affermato, nel corso delle sue rarissime interviste, di aver saputo solo casualmente della vendita del «News», durante una conversazione telefonica. Da alcune cronache risulta invece che il giovane uomo d’affari australiano è chiamato a contrastare, per conto della famiglia Carr, che controlla il settimanale, un tentativo di ‘acquisto ostile’ da parte di quello che diventerà uno dei suoi maggiori concorrenti, Robert Maxwell.

È la prima volta che gli interessi dei due futuri tycoons si incrociano. Ed è subito scontro aperto. Nel corso del tempo la loro rivalità crescerà al punto che spesso verranno definiti «I duellanti», termine preso in prestito dall’omonimo film di Ridley Scott. Non tutto va liscio, ma Rupert conclude ugualmente la sua missione e la congegna in modo tale da diventare gradualmente "il proprietario" della rivista, con grande disappunto della famiglia Carr.
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

Ma «anche questa è fatta, e verrà dimenticata». Quel giovanotto australiano di 37 anni sa come non farsi prendere sottogamba. Affida le trattative alla banca Rothschild e riesce a spuntarla. Si aggiudica il «News of the World» con una transazione che lascia tutti di stucco. Egli stesso la definirà in seguito «il più grande furto dai tempi della rapina al treno Glasgow-Londra».

Mr. Murdoch si mette subito al lavoro. L’atmosfera che lo circonda non è ancora schiettamente ostile. La ristrutturazione del nuovo giornale, culminata un anno dopo col licenziamento del direttore, porta la tiratura a 800.000 copie. Non occorre sottolineare il fatto che il contenuto e il taglio delle notizie hanno lo stesso "rubbish-style" di quelle che lo hanno portato in vetta all’editoria australiana. Quattro mesi dopo l’acquisto del «News» mette a segno un altro colpo che verrà ricordato per molto tempo negli annali di Fleet Street: l’acquisto del quotidiano «The Sun».

Il giornale, tradizionalmente laburista, sta colando a picco in un mare di debiti, e Murdoch riesce ad acquistarlo, sborsando una modica somma e per di più aggirando il Fair Trading Act (la legge sui monopoli che, in teoria, vieta l’acquisto di un giornale da parte di una società concorrente capace di una tiratura superiore alle 500.000 copie, cioè il caso del «News of the World»). L’uomo sostiene che il suo salvataggio benefico ha lo scopo di impedire la chiusura di una testata popolare e nazionale.
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Vende allora una parte del «News» e riesce a evitare le sanzioni della commissione sui monopoli, ovviamente non solo grazie alla sua ostentata «magnanimità», quanto soprattutto all’appoggio di alcuni potenti conservatori, al fianco dei quali si è subito schierato.

È trascorso un anno dal suo arrivo e già l’attendismo di Fleet Street sfocia in un’aperta antipatia. Murdoch, sfidando l’ipocrita pruderie dell’establishment britannico, ha inaugurato nel «Sun» un’originale terza pagina, in cui spicca, in ogni numero, la foto di una pin-up coi seni al vento. Tette, culi, scandali, cronache sportive e sangue portano il «Sun» immediatamente al milione di copie. Ma ci sono altri scoop in serbo per l’esercito dei famelici lettori di «notizie spazzatura».

Il «News of the World» riapre una ferita vecchia di sei anni, che si era appena rimarginata: lo scandalo Profumo. John Dennis Profumo era stato costretto a dare le dimissioni da Ministro della Difesa in seguito alle indiscrezioni su una sua relazione con Christine Keller, call girl per vip e cortigiana di diplomatici sovietici, in servizio a Londra. Il «News» pubblica ampi stralci in esclusiva delle memorie di miss Keller comprate per quattro soldi e subito si riaccende, morboso, l’interesse attorno al povero Profumo che, con molta discrezione e riservatezza, sta cercando nel frattempo di rifarsi una vita con la moglie.
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Il Press Council, l’associazione guardiana fin dal 1953 della deontologia professionale, vota un’energica mozione di condanna contro la pubblicazione, ma in realtà non ha la facoltà di imporre il ritiro delle copie in edicola o promuovere azioni giudiziarie, e così tutto finisce in una bolla di sapone. I due giornali scandalistici di Murdoch incapperanno molte altre volte nelle reprimende dell’organo di vigilanza.

Seguiranno, infatti, negli anni: accuse di razzismo, calunnie (contro il Ministro della Giustizia), mendacio (una falsa intervista alla vedova di un eroe delle Falkland/Malvinas) ed estremismo per eccessive prese di posizione anti-irlandesi. Persino la Regina sarà costretta ad appellarsi al Council per tentare di vietare la pubblicazione delle rivelazioni piccanti e confidenziali di un ex-domestico di Buckingham Palace. Piccoli episodi, tutti questi, che si iscrivono nel più ampio scenario di una guerra fra i rotocalchi scatenatasi negli anni Settanta in Inghilterra per la supremazia delle tirature, e che vede sempre schierati, l’un contro l’altro armati, Rupert Murdoch e Robert Maxwell.
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Il «Sun» e il «News of the World» assicurano a Murdoch una certa liquidità. Il volume d’affari e i prestiti gli permettono di affrontare altre dure battaglie. RKM mette anche un piedino nelle attività televisive della capitale inglese assicurandosi una larga partecipazione nella London Weekend Television, ma gli bolle il sangue: è giunto il momento di tentare l’avventura nel mercato più grande e più difficile del pianeta: gli Usa. Comincia con piccoli arrembaggi nel periodo compreso tra il 1973 e il 1977 (vedi Il sogno americano del bucaniere).

Wall Street, New York e tutto il resto lo affascinano, ma non gli fanno certo dimenticare l’antico asse degli affari Londra-Sydney: nello stesso periodo Murdoch si consolida infatti in Australia con interessi in vari settori, anche se quello dell’editoria televisiva e giornalistica rimane «il punto d’appoggio per sollevare il mondo». Nel 1978 debutta nella produzione cinematografica, insieme a un produttore australiano, Robert Stigwood, con il quale realizza Gallipoli, film sulle gesta degli australiani nella Prima Guerra Mondiale. Nel 1979 vende le sue azioni della London Weekend Television e compra in patria due società che controllano Channel 10. In questo modo infrange la legge australiana che impedisce di avere interessi in due diverse Tv (Murdoch è infatti già proprietario di Channel 9), ma riesce a far cambiare le regole dal secondo Governo del liberale Malcolm Fraser, grazie a quelli che vengono definiti «gli emendamenti Murdoch».
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11/ Continua...

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 12° PUNTATA - DURANTE LO SCANDALO WATERGATE, MURDOCH SCEGLIE LA RICCA PERIFERIA TEXANA E COMPRA DUE GIORNALI - PARTE L’ASSALTO ALLA “GRANDE MELA”: “NEW YORK POST” E “VILLAGE VOICE” - L’IMPERO SI ALLARGA NEGLI STATES, MA CON MENO SUCCESSO DEL SOLITO - LA SCARSA STIMA NEI CONFRONTI DEI GIORNALISTI AMERICANI: “NEGLI USA NON IL MEDIUM MA IL TEDIUM È IL MESSAGGIO”…

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IL SOGNO AMERICANO DEL BUCANIERE
La prova generale dello sbarco nel grande mercato Usa era già stata fatta tempo prima. Come già accennato, Murdoch arriva negli Stati Uniti nel 1973. Una data più lontana di quanto non facciano sospettare le polemiche che lo hanno accompagnato in seguito. E’ un anno importante per gli angloamericani. La Gran Bretagna entra nella CEE in attesa di un referendum che confermi tale scelta; mentre gli Stati Uniti sono in grande fermento: Nixon, dilaniato dallo scandalo Watergate, sta per lasciare la poltrona a Gerald Ford.
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L’allora quarantaduenne Murdoch si presenta negli Usa con discrezione, comprando un paio di giornali alla periferia dei grandi giochi. Periferia sì, ma in un’area ricchissima: il Texas della famiglia Bush. Nelle sue abili mani finiscono il «San Antonio Express» e il suo gemello pomeridiano, il «San Antonio News», per una ventina di milioni di dollari. Un anno dopo Murdoch lancia «The Star», un tabloid settimanale, venduto alle casse dei supermercati, specializzato in pettegolezzi hollywoodiani. Un tipo di giornale che solo uno come lui può pensare di lanciare e far fruttare. Murdoch guarda però alla Grande Mela e nel 1976 si sposta nell’East Coast all’arrembaggio del «New York Post».

Lo compra da Dorothy Schiff per 32 milioni di dollari. Ma il «Post», a causa della concorrenza di più prestigiose testate newyorkesi, è in forte perdita e nemmeno i metodi hard di Murdoch riescono a trarne profitti. In ogni caso, per non smentire la sua fama, licenzia in tronco 122 giornalisti e li sostituisce con redattori australiani.
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Nel frattempo, sempre a New York, il suo amico Clay Felker lo invita a partecipare all’acquisto del «Village Voice», del «New West» e del «New York Magazine»: Murdoch entra nell’affare, poi fa fuori Clay e tiene le tre testate tutte per sé. La gente si interroga sulla futura gestione del «Village Voice», il foglio inquieto degli intellettuali radical ma, caso strano, Murdoch lo lascia abbastanza libero di mantenere la sua politica culturale e accetta persino di essere preso di mira di tanto in tanto.
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Concluse queste operazioni fa una lunga, inspiegabile pausa e per cinque anni non investe nemmeno un dollaro. Sono gli anni di Jimmy Carter e degli accordi di Camp David. Probabilmente consolida, annusa l’aria, stabilisce relazioni, aspetta l’occasione buona e intanto si dà da fare tra Londra e Sydney, come abbiamo visto.

Si risveglia nel teatro Usa nel 1982 quando il suo amico Reagan e’ alla Casa Bianca gia’ da un paio d’anni, e acquisisce l’«Herald American», che ribattezza «Boston Herald». Un anno dopo acquista il «Chicago Sun-Times» per 100 milioni di dollari. La linea editoriale adottata da Murdoch per i suoi giornali americani è, tranne qualche eccezione, quella che già conosciamo: sensazionalismo, titoli brevi, sport, bingo, la fanno da padroni. I risultati però sono scarsi. Il «Post» non riesce proprio a decollare, ma Murdoch non se ne libera perché vuole mantenere una presenza a New York. Le relazioni con Wall Street e lo scalpitante mercato nascente Nasdaq gli premono troppo.
Rupert MurdochRupert Murdoch

Decide di vendere il giornale di Boston alla catena Hearst. Una delle ragioni di questa mossa va ricercata nella spietata concorrenza sul mercato degli introiti pubblicitari, dove i giornali dei grandi gruppi editoriali Usa riescono il più delle volte a sopravvivere solo grazie alle sinergie con i loro media integrati.

Soltanto nel 1983 Murdoch riesce a spegnere la luce rossa del passivo negli Stati Uniti. In quell’anno i profitti del tycoon australiano raggiungono ufficialmente la modesta cifra di 13 milioni di dollari, ma ciò non gli impedisce di riprendere lo shopping e aggiungere alle sue proprieta’ il «Chicago Sun Times». Nel frattempo si è inimicato le redazioni di tutti i giornali d’America con azzardate dichiarazioni sulle capacità professionali dei giornalisti yankees: «Negli Usa non il medium ma il tedium è il messaggio», afferma parafrasando McLuhan. Dalle sue redazioni si dimettono sbattendo la porta le firme più prestigiose e i premi Pulitzer, insofferenti ai dettami del padrone.
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Anche i colleghi editori ce l’hanno con Murdoch, da quando, nel 1978, durante uno sciopero per l’aumento dell’occupazione, si defilò dall’associazione imprenditoriale di categoria per concludere contratti separati coi sindacati e tornare a stampare prima degli altri. Gliela fecero pagare nel 1981 quando Murdoch tentò di comprare il «Daily News»: la Tribune Company proprietaria della testata si rifiutò di trattare con lui e fece titolare dal suo giornale, tanto bramato da Rupert: LASCIA PERDERE, MURDOCH.

L’AMERICA È UN PASSO TROPPO LUNGO?, titola l’«Economist» nel maggio del 1984, disegnando un canguro Murdoch col marsupio appesantito da troppi giornali e incapace di saltare. In quel momento è reduce da una vistosa perdita dovuta a una operazione nella televisione via satellite - poi recuperata abilmente nel mercato finanziario - ma soprattutto è impegolato in una durissima battaglia: il tentativo di scalata della Warner Communications.

Ormai la sua credibilità è avvolta da una spessa nebbia fatta di voci, informazioni diffuse dai suoi giornali, smentite degli altri editori. Le sue fortune sembrano alternarsi fra contrastanti versioni che parlano tanto di débâcle quanto di irresistibili espansioni. In realtà Murdoch, più o meno consapevolmente, si è sottratto al giudizio della Storia e ha affidato la sua immagine alla Cronaca degli Affari che si realizza da un giorno all’altro. "Chi prende il piatto ha ragione", questa è la sua legge.


12/ Continua...

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 13° PUNTATA - I PRIMI FALLIMENTI NEGLI USA A CAUSA DELLA TV VIA CAVO: LE ANTENNE DELLA SKYBANK E E LA MANCATA ACQUISIZIONE DELLA SHOWTIME - LA BATTAGLIA DEL “GORILLA” PER L’ACQUISIZIONE DELLA WARNER: OFFRE 1 MILIARDO DI DOLLARI (UN BLUFF?) E PORTA LO SCONTRO SUI GIORNALI, MA ALLA FINE DEVE DEMORDERE - CHI FINANZIA L’ESPANSIONE DELL’IMPERO MURDOCH? LE BANCHE…

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TV: UN’IMPERVIA SCALATA...
Rupert Murdoch comincia a interessarsi di Tv negli Stati Uniti nei primi anni Ottanta, quando l’avvento della televisione via satellite e l’ulteriore espansione di quella via cavo offrirono agli outsiders una chance per comparire sulla scena e offrire nuovi canali. In Europa ha già comprato il 68% di Satellite Television, un’emittente che trasmette alle Tv via cavo in lingua inglese.

Ma negli Usa la concorrenza è più intensa e spietata: qui sono nate le reti tv via cavo che raggiungono, nel 1983, circa il 38% dell’audience americana. Murdoch però crede di intravedere un vuoto: molte abitazioni sono situate in posizioni difficilmente raggiungibili dai cable operators e, dopo una ricerca di mercato, si convince che gli abitanti di queste zone potrebbero essere disposti a pagare per ricevere programmi dai satelliti tramite antenne paraboliche sistemate sui tetti.
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La Skybank, un’impresa alla quale Murdoch si è nel frattempo consociato per realizzare il suo progetto, ha affittato dalla Sbs (Satellite Business System) cinque satelliti, pagando 75 milioni di dollari per sei anni. Dopo aver saldato la prima rata però la Skybank si ritira poiché non riesce a trovare abbastanza programmi da mandare in onda, e non è in grado di seguire un mercato, come quello delle antenne di ricezione, che dal punto di vista della tecnologia è in continuo aggiornamento.

Il fallimento della Skybank e la mancata acquisizione della Showtime - una grossa televisione a pagamento in difficoltà - precipitano Murdoch in un cupo pessimismo: competere con la Tv via cavo è molto difficile. Egli stesso dichiara che la Tv diretta via satellite diventerà, con l’andar del tempo, solo un’espansione delle reti via cavo e che «le persone che la pensano diversamente perderanno i loro soldi». Eppure Murdoch, nonostante le fosche previsioni, non demorde.
RUPERT MURDOCHRUPERT MURDOCH

Sa perfettamente che la guerra nel mercato globale ha nella Tv, più che nella carta stampata, la sua arma migliore. Il suo rivale Maxwell non sta forse comprando reti televisive? E persino quel folkloristico personaggio che risponde al nome di Ted Turner può diventare un avversario pericoloso, visto il suo gioco a tutto campo. Per non parlare poi dei piccoli e grandi tycoon europei, che si aggirano famelici nel Vecchio Continente. Certo, nessuno può dire dove arriverà lo sviluppo televisivo planetario e chi ne reggerà le fila, ma Murdoch capisce che non può restare a guardare.

Deve cominciare subito a lavorare per ottenere, se non una pole position, almeno un buon piazzamento, in previsione di una partenza vantaggiosa. In questa prospettiva va visto il tentativo di assumere il controllo della Warner Communications, sezione della nota major hollywoodiana, specializzata anche nella produzione televisiva, musicale e di videocassette. L’obiettivo di Murdoch è evidente: mettere le mani sul content, l’archivio titoli della compagnia (valutato 900 milioni di dollari) per foraggiare le sue successive imprese nel campo delle trasmissioni televisive.
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L’importante traguardo dà il via a una cruenta battaglia che vede schierati Rupert Murdoch contro Stephen Ross, il Presidente della Warner. Alla fine del 1983 l’australiano riesce ad acquistare sul mercato il 7% della Warner per 130 milioni di dollari, finanziati per un terzo da un prestito bancario svizzero. Ma la quota non gli basta: egli mira al controllo della compagnia e alla library e fa un’offerta per il 49,9% dichiarandosi pronto a sborsare un miliardo di dollari tondo tondo. Inoltre si mostra subito combattivo e deciso a destabilizzare la gestione Ross.

L’offerta del «gorilla» - così viene definito Murdoch in quei giorni dagli editori avversari - si verifica in un momento di difficoltà della Warner, che a causa della Atari, sua consociata, ha perso in quell’anno circa mezzo miliardo di dollari. Spaventato dalle intenzioni e dall’atteggiamento bellicoso di Murdoch, Ross corre ai ripari: stipula un accordo con un’importante compagnia, la Chris-Craft Industries, cedendole un 20% delle sue azioni in cambio di un 42,5% della Bhc, la sezione televisiva della Chris-Craft.

Questo accordo, oltre a mettere in mani fidate una cospicua quota azionaria, rende assai più difficile la scalata di Murdoch che si troverebbe in conflitto con le leggi federali: negli Stati Uniti, infatti, uno straniero non può possedere stazioni televisive, e una company non può avere televisione e giornali nella stessa città (e la Bhc ha una stazione a San Antonio, dove Murdoch possiede già due giornali).
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Sentendosi beffato, il tycoon ricorre allora alla Fcc per bloccare l’accordo, svelando alcuni interessi poco leciti della Warner Communications nella joint venture con Bhc, e sferra attacchi nei confronti di alcuni manager della Warner, accusandoli, dalle pagine dei suoi giornali, di essere «ladri». La Warner, dal canto suo, alimenta come può l’ostilità nei confronti del «disprezzato straniero editore di giornali scandalistici».
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Al culmine di questa poco dignitosa battaglia, Murdoch è costretto a cedere, non senza un lauto «risarcimento» sborsato dalla Warner per riprendersi il suo 7%. Il cammino per entrare nei feudi dell’industria audiovisuale americana sembra ancora più lungo.
Nel corso di questa guerra, e per la verità anche nelle successive, la domanda che più intriga gli esperti è: sarebbe stato in grado il «gorilla straniero» di sborsare tutti quei quattrini per la Warner? In altri termini: è solvibile o no questo ineffabile Murdoch? Diamo un’occhiata alle sue casseforti.

Negli anni Ottanta le operazioni finanziarie di Murdoch nei tre continenti fanno capo alla News Corporation, controllata dalla Cruden Investment, la finanziaria di famiglia. Dalla News Corp. dipendono tutte le altre società, come la News International, la News America e la News Limited, che operano rispettivamente in Europa, negli Usa e in Australia. La News Corp., in particolare, paga bassi dividendi pur avendo buoni profitti (derivati in massima parte dai giornali inglesi - il «Sun» soprattutto - e da quelli australiani), profitti che se ne vanno quasi tutti per pagare gli interessi sul debito a lungo termine contratto con le banche e che copre in quel periodo un buon 80% del capitale totale di Murdoch.

Eh sì, sono proprio le banche gli esosi supporter finanziari che permettono a Rupert la sua espansione. Nel rutilante bailamme del «grande gioco», infatti, fra debiti e profitti, interessi e acquisizioni, Murdoch appare come un uomo con un leone al guinzaglio, al quale bisogna dar da mangiare tanto e spesso per non essere mangiati. Uno, insomma, che non può permettersi passi falsi. L’intera scena si chiarirà meglio durante la crisi del 1990-1991.
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13/Continua..

APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 14° PUNTATA - DOPO LA DELUSIONE DELLA WARNER, IL COLPACCIO NEGLI STATES: L’ACQUISTO DELLA 20TH CENTURY FOX - LA “CASUALE” ACQUISIZIONE DI METROMEDIA - I SOLITI PROBLEMI CON LE LEGGI FEDERALI E L’AMICIZIA PREZIOSA CON REAGAN: MURDOCH DIVENTA AMERICANO MA DEVE RINUNCIARE AI GIORNALI DI NEW YORK E CHICAGO E ALLE TV AUSTRALIANE - LE BANCHE LO GRAZIANO SUI DEBITI…

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ALLORA COMPRO LA FOX...
PRIMAVERA 1985 - Dopo essersi leccato le ferite subite nella fallita scalata alla Warner; serrato in un pendolarismo quasi senza tregua fra l’ingrata Inghilterra (dove è in corso il braccio di ferro con le Unions) e l’ostile America; allietato unicamente dalle rarissime soste in Australia (terra che lo accoglie sempre e comunque come un eroe nazionale); Murdoch torna di nuovo alla ribalta con un vero e proprio colpaccio.

Annuncia, non senza nascondere una certa soddisfazione, di aver acquistato da Marvin Davis, il petroliere di Denver, il 50% della gloriosa casa cinematografica 20th Century Fox per 250 milioni di dollari. È una cifra, tutto sommato, abbastanza contenuta se pensiamo agli 1,2 miliardi di dollari sborsati in quello stesso anno da Ted Turner per l’acquisto della Mgm. La Fox sta attraversando un periodo disastroso. Il suo ultimo successo al botteghino risale a Guerre stellari di George Lucas, e da allora non ha fatto che collezionare un flop dietro l’altro.
Century Fox TelevisionCentury Fox Television

Per Murdoch si tratta di un postumo coronamento del suo sogno, ma soprattutto di una tappa obbligata per costituire negli Usa una compagnia di entertainment in grado di competere sia con la costellazione delle reti Tv locali sia con i colossi nazionali quali Nbc, Cbs e Abc. Ciò che non gli era riuscito con la Warner gli riesce ora con la Fox: finalmente può accedere a una delle stanze del tesoro, una cineteca di 2500 film più le produzioni televisive di successo come Fame, Mash e molte altre.
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L’accordo inoltre non è costato grande sofferenza. Fra Murdoch e Davis si è trattato, almeno apparentemente, di un amore a prima vista. E infatti, quando in seguito, voci maligne di Wall Street riferiscono che sono già ai ferri corti, in realtà i due stanno acquistando insieme la Metromedia, una compagnia che raggruppa sette fra le più importanti stazioni televisive indipendenti americane. Si alzano le puntate. Costo dell’affare: 2 miliardi di dollari del 1985.

Sono trascorse soltanto sei settimane dall’entrata alla Fox del Gran Mogol. In una conferenza stampa Murdoch dichiara, com’è nel suo stile, che si è trattato di mera casualità. Di ritorno da un viaggio in Cina, dove si era recato per trattare l’installazione di un Centro Comunicazioni a Pechino (40 milioni di dollari la spesa prevista), fa una puntatina agli studi della Fox, tanto per vedere come sono fatti. Destino vuole che negli uffici si trovi in quel momento anche John W. Kluge, proprietario della Metromedia. I due fanno conoscenza, parlano un poco e poi «il resto venne da sé», parole di Murdoch.

Noi siamo più propensi a credere che dietro questa operazione ci sia invece lo zampino e l’intuito geniale di Barry Diller, una sorta di redivivo Irving Thalberg, strappato da Davis alla Paramount a suon di miliardi. Diller è fra i manager più pagati d’America e incaricato prima di risollevare le tristi sorti della Fox e ora anche di creare le basi per la costruzione del quarto network Usa di respiro nazionale: Fox Television. Perché, in definitiva, è questo uno degli obiettivi di Murdoch.
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Ora possiede programmi e anche reti Tv per trasmetterli: Metromedia raggiunge nel suo complesso 14,5 milioni di abitazioni, vale a dire il 18% dell’audience americana. Non solo: l’integrazione Fox/Metromedia consente di realizzare un potenziale di penetrazione enorme. Le Tv americane sono affamate di programmi e almeno un centinaio di stazioni locali sono potenziali clienti di Murdoch.

Infine c’è una giustificazione ulteriore: Murdoch ha ora la possibilità di rifornire di programmi la sua Sky Channel, la Tv via satellite che emette da Londra sull’Europa del Nord, il che stimola l’appetito degli inserzionisti pubblicitari sempre in caccia di consumatori spendaccioni nei bacini occidentali.
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A una delle corse più importanti di fine secolo Murdoch si presenta ora al nastro di partenza finalmente in pole position, anche se nei suoi box la situazione è tesa. Innanzitutto, con l’operazione Metromedia, il «bucaniere» si scontra con le leggi federali che regolano il possesso dei mass media, in particolare quelle riguardanti gli stranieri e le norme antitrust. Dopo alcuni incontri con la Commissione Federale delle Comunicazioni (Fcc), Murdoch si rende conto di poter contare su deroghe e trattamenti di favore, ma solo per un certo lasso di tempo entro il quale deve regolare la sua posizione.
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In ogni caso alla Casa Bianca c’è il suo amico Ronald Reagan (1981-1989) e ciò conta. Una mossa seria però bisogna farla e così, nel settembre del 1985, con una breve cerimonia presso la Corte Distrettuale di New York, Rupert Murdoch diventa cittadino americano: «Sono d’altronde undici anni che pago le tasse in questo Paese», commenta, non senza una certa acredine. Ora non gli rimane che affrontare il secondo scoglio, il più doloroso: la vendita dei giornali che escono nelle stesse città in cui sono situate le stazioni Metromedia: New York e Chicago.

Fortunatamente per questo c’è ancora tempo e i compratori abbondano. Con la cittadinanza americana però diventa uno «straniero in patria». In Australia infatti nel 1981 era stata approvata una legge, passata sotto il nome di «emendamento Murdoch», analoga a quella americana. È costretto allora a vendere le reti Tv di Sydney e Melbourne, ma grazie alle sue potenti amicizie politiche riesce a rallentare tutta la procedura. L’ex-aussie non è ancora soddisfatto però.
Ronald ReaganRonald Reagan

Nell’autunno dello stesso anno Marvin Davis si ritira dalla Fox e Murdoch rileva il suo 50% per 325 milioni di dollari, diventando padrone assoluto della casa cinematografica. L’intera operazione gli è dunque costata complessivamente 575 milioni di dollari, quasi 1000 miliardi di vecchie lire (al cambio del 1985). Se Shakespeare avesse chiesto a Rupert Murdoch di quale sostanza sono fatti i sogni, forse avrebbe ottenuto questa risposta: «Dei sogni so solo che si nutrono di verde... il colore dei dollari».

Murdoch ha sognato un’espansione frenetica e l’ha avuta. La posta in gioco è alta e certamente aumenterà nei prossimi dieci anni. Talvolta si ha l’impressione che il suo stesso sogno vada alla deriva, governato da eventi e coincidenze incontrollabili. Il tycoon non ha rimpianti, ma ora è solo e fuori dal Commonwealth.

L’operazione Fox-Metromedia gli ha conferito fama e potenza in Usa, ma basteranno? In uscita ci sono adesso 1,5 miliardi di dollari da investire. È vero che sulla carta le entrate della News Corporation potrebbero aumentare del 50% e gli utili di gestione del 20%, ma nel frattempo i debiti della compagnia sono raddoppiati. Ecco a cosa si riferiva il rivale Maxwell quando in una conferenza stampa a Cannes affermò: «Io non me la sentirei di vivere i sogni di Murdoch».

Come dorme Rupert fra le braccia della sua seconda moglie Anna, non ci è dato sapere. Sì, certo, sappiamo che l’uomo non ha tempo per leggere poesie seduto com’è al centro del Monopoli dei mass media. Ecco dunque perché quella testarda battaglia coi poligrafici inglesi. La già citata battaglia di Fort Murdoch, assume un significato rappresentato anche da un numero preciso: 70 milioni di dollari all’anno risparmiati. Hanno un senso allora le «vendite a ogni costo» dei suoi tabloid, le finte scalate alle società per poi ritirarsi con dei lucrosi benservito come nel caso della Warner e della St. Regis. Eppure non basta.
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Non basta mai. Abbiamo già detto come tutte le operazioni finanziarie di Murdoch siano state possibili grazie alle banche. Nel 1984 il suo debito è modesto: 400 milioni di dollari. L’anno successivo raddoppia. Per pagare la Metromedia e poi l’altro 50% della Fox, Murdoch negozia allora un prestito con la Citycorp di 670 milioni di dollari. È il rafforzamento di un asse sul quale poggeranno molte imprese del futuro.

La banca però gli impone la condizione dell’inadempienza, qualora il debito della compagnia superi del 10% il valore dell’assett totale. Per limitare gli interessi passivi Murdoch cerca di convincere gli azionisti della Metromedia a cedere le loro azioni in cambio di azioni privilegiate di una nuova compagnia che sta creando, la Fox Television. Ciò non toglie che comunque gli occorrano prestiti per altre centinaia di milioni di dollari. Ma le banche si fidano di lui - o meglio si fidano della solidità della News Corporation - e, in ogni caso, Murdoch si è dichiarato disposto, se le necessità lo richiedessero a vendere il suo 8,5% della gloriosa agenzia Reuters e il 50% della Ansett, una compagnia aerea australiana privata.

14/Continua...


“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 15° PUNTATA - IL BUCANIERE MURDOCH SCHIERA NELL’ETERE USA LA FLOTTA DI FOX CONTRO I TRE GRANDI NETWORK NAZIONALI E FA RAZZIA DI STARS: “VENDIAMO AGLI INSERZIONISTI LA FUTURA GENERAZIONE DI CONSUMATORI” – INIZIA LA COLLABORAZIONE CON L’AMICO BARRY DILLER, IL RE DELLE SERIE TV (DA “HAPPY DAYS” AI “SIMPSON” PASSANDO PER L’ “ED SULLIVAN SHOW”) E DELLO SHOW BUSINESS…

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Rupert MurdochRupert Murdoch

FOX TELEVISION: IL NETWORK AGOGNATO...
Negli USA (prima di Murdoch) si diceva: "in America ci sono due partiti politici, due leghe di baseball e tre network Tv nazionali". Molti avevano provato a smentire la sua ultima affermazione, ma nessuno c’era mai riuscito. Lo stesso Murdoch dopo il primo entusiasmo provocato dall’affare Metromedia/Fox che lo porta a parlare di ‘quarto network’, si rende ben presto conto che non si tratta di una partita di golf né di un viaggio in mongolfiera.
La vacanza gaya con Barry Diller sul Facebook di Bryan FoxfronterLa vacanza gaya con Barry Diller sul Facebook di Bryan Foxfronter

L’euforia passa e RKM preferisce aspettare un paio d’anni prima di ripresentarsi in pubblico con la sua nuova creatura e sferrare l’attacco alla teoria dei tre network. Nel frattempo ha venduto il «Chicago Sun Times», ha decisamente messo un piede a Hong Kong dove ha acquisito il «South China Morning Post» e, come abbiamo visto, ha vinto la battaglia di Wapping.

PRIMAVERA 1987 - Rupert schiera la flotta nell’etere Usa. L’ammiraglia si chiama Fox Broadcasting Tv. Oltre alle stazioni Metromedia, la compagnia raggruppa un centinaio di affiliate e consociate disseminate in tutto il territorio nazionale nelle più importanti città. Nonostante la forza del circuito messo in piedi, quella di Murdoch sembra ancora la guerra di Davide ben tre Golia, che possono schierare in campo ognuno quasi il doppio della sua forza. L’intenzione del bucaniere è quella di investire nel network 150 milioni di dollari in due anni.

Sa che per almeno tre anni i bilanci della compagnia segneranno rosso e che i dati d’ascolto saranno miserabili. Si affida quindi a una gestione al risparmio e a una programmazione accattivante. "Sperimentale" dicono i suoi competitors. Le spese dei network sono nell’ordine dei miliardi di dollari, ma le facce che si vedono sui loro schermi sono sempre le stesse. La Fox Tv invece punta su uno staff di una settantina di persone, tutti giovani e pieni di entusiasmo.
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Murdoch lancia al proposito un appello: «La gente di talento può venire qui: noi l’accoglieremo a braccia aperte e l’aiuteremo ad avere successo». E intanto fa razzia di stars della Produzione: Davis Goldberg (Family Ties), Stephen Connel (A-Team), Gene Reynolds (Lou Grant) e molti altri. Dice in quei giorni: «Ho la sensazione che siamo riusciti a individuare un pubblico diverso e vicino alla nostra mentalità. Noi diamo alla gente quello che vuole e offriamo agli inserzionisti spazi pubblicitari su scala nazionale a prezzi concorrenziali». Inoltre, come precisò Jon Nesvig a «Business Week»: «Noi vendiamo [agli inserzionisti, nda] la futura generazione di consumatori».
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Come si vede le sue dichiarazioni d’intenti non sono molto diverse da quelle che faceva per i suoi giornali. E se è vero che i suoi spot pubblicitari costano all’inizio la metà del prezzo corrente, il suo palinsesto si avvicina pericolosamente al profilo di una Tv-tabloid, in cui giocano molto le notizie-spettacolo, gli scandali, il sensazionalismo. Insomma, tutto l’armamentario già sperimentato. Con la Fox Tv in pista, Murdoch sembra riacquistare il suo ottimismo. Guarda al futuro dei satelliti e a quella che si comincia a definire la «global television».

L’AMICO AMERICANO
Il pilota della sua nuova macchina da guerra si chiama Barry Diller. Senza di lui, tutti ne convengono, il 4° network non sarebbe mai nato. Diller, durante il periodo in cui Murdoch doveva sistemare le questioni di cittadinanza, ha accettato anche di fare il prestanome, figurando per la Fcc (che comunque chiudeva un occhio) come il socio americano che possedeva il 76%, mentre il socio australiano si limitava al 24% delle azioni con diritto di voto. Essendo il 25%, il massimo consentito per uno straniero, tutto appariva OK.
RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA

Californiano doc, Barry cresce nella Beverly Hills degli anni Cinquanta e Sessanta, dove suo padre compra e vende case per i divi del cinema. L’uomo, che nel 1987 ha 45 anni, conosce tutti, e tutti lo conoscono. Da giovanissimo fa l’impiegato all’agenzia William Morris, uno dei più famosi centri mondiali di reclutamento e collocazione talenti dello show business. Successivamente tenta di acquisire il dottorato, ma gli studi e l’ambiente accademico non fanno per lui, tant’è che si ritira sia dalla Standford che dalla UCLA e, nel 1967, approda come assistente ai programmi alla Abc Television.
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Lì comincia a sgomitare con successo e ottiene l’incarico per sviluppare un nuovo genere televisivo: i Tv movies. Radici sarà il suo primo piccolo trionfo. È alla Abc che Diller prende l’abitudine, ampiamente condivisa in seguito da Murdoch, di convocare estenuanti riunioni a porte chiuse, durante le quali pone i suoi collaboratori l’uno contro l’altro finché non viene fuori un’idea brillante. Fra gli altri, in questo periodo, si ritrova nella sua squadra anche Michael D. Eisner, il futuro boss della Walt Disney & Co.

Diller è uno di quelli che hanno fatto la fortuna della Abc e, in particolare, è quello che per primo individua la free spending audience, cioè quel gruppo di telespettatori in continua crescita, composto da yuppies, il cui credo è «guadagnare e spendere». È a loro che, agli inizi degli anni Settanta, Diller si rivolge dalle frequenze della Abc con Happy Days. È a loro che pensa quando, alla Fox, metterà in cantiere due straordinari successi: I Simpson e Ed Sullivan Show.

Nel 1974 Diller ed Eisner si spostano alla Paramount e triplicano, in sei anni, i profitti della vecchia major, grazie a film quali La febbre del sabato sera, Grease, I predatori dell’Arca Perduta e grazie a Tv show come Mork & Mindy. Diller è un cavallo di razza: lo show e il Tv-business sono casa sua, e Murdoch non poteva scegliere meglio.
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Fra l’altro, nei cassetti di Diller, esistono fin dal 1977 progetti per un 4° network Tv negli Usa: lo voleva fare con la Paramount sfruttando soprattutto l’interminabile serie Star Trek, e aveva anche cominciato a siglare accordi con le Tv affiliate per creare il circuito di distribuzione. Ma la pubblicità non era arrivata e la Paramount aveva chiuso il portafoglio. Diller se n’era andato sbattendo la porta e il destino gli aveva fatto incontrare RKM. Murdoch gli garantisce 3 milioni di dollari l’anno, più il 25% su ogni profitto. Una partita stimolante.
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15/Continua...

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 16° PUNTATA - LO SQUALO ADDENTA UN PESCE TROPPO GROSSO: LO SCONTRO CON EDWARD KENNEDY LO COSTRINGE A RINUNCIARE AL “NEW YORK POST” - MURDOCH NON SI Dà PER VINTO E COMPRA “TV GUIDE”, LA RIVISTA UTILIZZATA DA TUTTI I GRANDI NETWORK - LA FOX DIVENTA UN LABORATORIO PER LE NUOVE IDEE TELEVISIVE - L’INIZIALE PERDITA E IL FORTUNATO SCIOPERO DI 5 MESI DEI PRODUTTORI DI HOLLYWOOD: COMINCIA L’ESCALATION DELLA FOX…

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ATTENTI A QUEI DUE...
Nel 1986 Murdoch e Diller pedalano in tandem alla Fox. Pronti a tutto. La coppia si divide il teatro delle operazioni. Sui fronti politico, giuridico e reperimento risorse si muove Murdoch, mentre Diller cura l’infrastruttura operativa e i programmi. Nel corso dei primi anni Murdoch evita abilmente le lamentele della Fcc (sezione Financial Interest and Syndication) e riesce a ottenere lo status di network, sebbene la Fox non trasmetta il numero minimo di ore al giorno richiesto dalle norme.
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Poi ottiene una licenza temporanea, nonostante la ferma opposizione degli altri tre network nazionali. Qualche guaio più serio lo incontra tra l’87 e l’88, quando si trova contro Edward Kennedy, fratello degli assassinati John e Robert, nonchè Senatore del Massachussets. Nella capitale del suo Stato, Boston, il Senatore democratico viene costantemente attaccato dal giornale di Murdoch.

A un certo punto perde la pazienza e chiede la revoca delle licenze Tv di Murdoch, sia a New York sia a Boston, in ottemperanza alla norma che non consente di possedere televisione e giornali nella stessa città. Murdoch svicola mettendo la sua emittente Wfxt di Boston nelle mani di amici fidati, ma è comunque costretto a vendere il «New York Post» e il fatto gli brucia, perché perde una voce forte nella capitale degli affari Usa.
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Con il ricavato compra però «Tv Guide» e rafforza moltissimo la sua posizione nell’area di informazione che interessa anche gli altri network. Tutti i broadcaster usano infatti «Tv Guide» (un enorme «Sorrisi e Canzoni Tv») per informare i propri telespettatori sui programmi. Ora il loro referente è un dipendente di Murdoch. Che guaio!

Dal 1986 al 1990 la strategia Murdoch-Diller per lanciare il Fox network è abbastanza semplice, ma molto efficace. Le reti nazionali americane raggiungono la loro audience attraverso un gran numero di emittenti che ripetono i loro programmi sull’immenso territorio. Una parte di tali emittenti sono ‘possedute’, una parte ‘affiliate’. Alcune comprano solo il prime time e/o altre fasce orarie con la formula della syndication, altre sono «indipendenti». Già alla fine del 1986 Murdoch e Diller hanno sottoscritto contratti per fornitura di programmi con 96 indipendenti.

Per i piccoli proprietari di queste Tv l’idea di un nuovo network è molto allettante. Piuttosto che pagare diritti esosi per vecchi film e secondi passaggi di serie tv, scelgono Fox che offre programmi gratis. Ma ... questa è la trovata (che comunque avrà bisogno di anni per funzionare): in cambio devono cedere 8 degli 11 spot pubblicitari da 30 secondi che è consentito loro trasmettere ogni ora.
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La Fox diventa presto un laboratorio per chiunque abbia nuove idee televisive. Da Diller fanno la fila estrosi autori e vecchi produttori tv stanchi di essere censurati. Tra questi James Brooks, creatore di Taxi, che inventerà per Fox The Tracey Ullman Show. Arrivano anche il creatore di A-Team Stephen Cannel, e quello della sit-com Amen, Ed Weinberger. Si mettono tutti al lavoro e viene lanciato uno show in fascia notturna con Joan Rivers, ma a un anno dal debutto, nel 1987 lo share medio raggiunto non supera il 2% sul totale di 91 milioni di case.

A giugno del 1988, forse anche a causa della produzione di uno show per il sabato sera, si calcolano perdite per 95 milioni di dollari. Il problema è che Fox, invece di competere con i network, si sta limitando a copiare la famosa network quality, fornendo dei programmi cloni quali Mr. President, Karen’s Song e La sporca dozzina. Diller in quel periodo riceve lettere d’insulti dalle stazioni affiliate. «Avevano ragione», confesserà in seguito a «Business Week». La gara era molto, molto dura.
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A metà del 1988, nonostante gli insuccessi, Fox Tv copre il 90% della nazione. E inaspettata arriva l’ora della risalita. È un evento esterno che dà il la al nuovo corso. Gli scrittori di Hollywood entrano in sciopero e smettono di dar seguito ai nuovi episodi di tutte le serie, miniserie, tv movies, soap operas, etc... per i grandi network. E’ un miracolo, uno dei tanti colpi di fortuna che costellano la vita e la leggenda di Rupert Murdoch.

La Writers Guild Association, alla quale aderiscono gran parte degli autori di Hollywood (la stessa che nel 2003 scenderà in piazza contro di lui, per contrastare la deregulation di Michael Powell) per ben cinque mesi ostacola i grandi network, costringendoli a utilizzare terzi e quarti passaggi di programmi e impedendo addirittura la ripresa delle programmazioni autunnali. A questo punto, come per incanto, nelle case d’America serie quali Married... with children, 21 Jump Street e altri show della Fox, prima ignorati, ora diventano «da non perdere».
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E i ratings salgono da qualche unità alle due cifre. Diller salta sull’occasione come una tigre, sostiene America’s most wanted e Cops che, in qualche modo, cambiano il gusto degli spettatori, e soprattutto inietta nella programmazione delle affiliate i reality-shows, trasmissioni molto crude che utilizzano news e pochi attori. Si passa dai 350.000 dollari, di costo medio della mezz’ora Fox, a 200.000 dollari.

Il 16 luglio 1989 è una data storica per la Fox Tv: la sua programmazione domenicale, nelle classifiche, figura al terzo posto dopo Nbc e Cbs. La Abc è battuta per la prima volta. Ed è solo l’inizio. In questa occasione si scopre infatti che la programmazione estiva, abitualmente tralasciata dai network, è l’ideale per lanciare nuovi successi.

Alla fine del 1989 Fox passa in attivo: un modesto +400.000 dollari, ma un segnale molto importante. « Il resto», dicono gli analisti, «è solo una storia di percentuali di ascolto e di pubblicità». In effetti gli inserzionisti pubblicitari erano stanchi di avere a che fare con i network: «la solita zuppa». Abc, Nbc e Cbs continuavano a perdere audience a favore delle Tv via cavo e, dall’estate dell’89, anche della Fox.
Rupert MurdochRupert Murdoch

Ciò nonostante alzavano i prezzi dei loro spazi pubblicitari. Molti compratori di spazi pubblicitari aspettavano un’alternativa, e l’avevano trovata. La Fox infatti, che disponeva degli spazi delle affiliate, amava fare sconti e inoltre aveva un altro importante vantaggio: aveva catturato il 50% degli spettatori compresi tra i 12 e 34 anni grazie alla irriverente e stralunata serie I Simpson, creata da Matt Groening. Quindi era l’ideale per raggiungere la free-spending audience, quella che sarebbe diventata presto la Nike & Microsoft Generation.

Nel corso di questi primi anni anche la Paramount e la Universal tentarono di frenare l’escalation della Fox. Nel loro ruolo di fornitori di film e show, che Diller ricollocava poi nelle affiliate, cercarono più volte di entrare nel business, e addirittura minacciarono di lanciare un ‘quinto network’, ma Diller a sua volta minacciò le emittenti che riforniva di metterle fuori dal circuito e, in molti modi, impedì loro di sottrarsi agli impegni.
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In conclusione, in tre anni e mezzo la Fox è passata da un solo show, quello di Joan Rivers, a una programmazione che copre tre sere a settimana (sabato, domenica e lunedì), e i progetti prevedono un ulteriore ampliamento che la condurrà a sette giorni di programmazione nell’autunno del 1991 (a quel punto avrà superato la barriera delle quindici ore e, come gli altri, sarà soggetta a regole contro le posizioni dominanti).
Nel 1990 Murdoch aveva dunque vinto i primi round negli Stati Uniti ed era uscito dal passivo. A giugno annunciò 320 milioni di dollari di fatturato e 35 milioni di profitti che prevedeva di raddoppiare per la fine dell’anno. In realtà la crisi alla fine del 1990 lo costringerà a rivedere tutti i conti nei diversi teatri delle sue attività.
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16/ Continua...

“APOCALYPSE MURDOCH” DI GLAUCO BENIGNI, 17° PUNTATA - DALL’INTUIZIONE DI UN GIORNALISTA INGLESE, PIOVE DAL CIELO SU MURDOCH IL BUSINESS DELLA TV SATELLITARE: NASCE “SKY CHANNEL” - LO SQUALO CONTINUA A PERDERE SOLDI, MA SIA LUI SIA I FINANZIATORI CREDONO IN UN PROGETTO LA CUI RICCHEZZA È LA PUBBLICITÀ SU SCALA GLOBALE: SI VA VERSO LA GLOBALIZZAZIONE DEI MEDIA - LA “SKY TELEVISION” PARTE FRA LE CRITICHE…

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RUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZARUPERT MURDOCH CON IL SUN A TRENTATRE ANNI DI DISTANZA


1 - GENESI DI SKY TV...
Siamo nel cuore della Vecchia Europa dove la Storia è di casa e macina nei decenni le Glorie, i Fasti, le Rovine e le Speranze. Fermiamo la moviola del tempo sul giorno in cui Brian Haynes, un giornalista della Tv inglese, intervistò Ted Turner per un documentario sulle attività del tycoon di Atlanta. Quel giorno Haynes ebbe una specie di rivelazione, come S. Paolo sulla via di Damasco: Turner aveva creato una superstazione che, impiegando il satellite, trasmetteva i suoi programmi ai vari sistemi via cavo negli Usa.

Nulla vietava, pensò il giornalista, che una cosa del genere si potesse fare anche in Europa. Era sicuro che gli inserzionisti, sempre desiderosi di allargare i loro mercati, ma intrappolati dalle diverse restrizioni sulla pubblicità, specialmente in Gran Bretagna, sarebbero stati entusiasti di superare i limiti nazionali. Haynes riuscì a convincere alcuni banchieri inglesi e l’editore Thomson a entrare nell’impresa, con un primo investimento di 4 milioni di sterline.
RUPERT E WENDI DENG MURDOCHRUPERT E WENDI DENG MURDOCH

Nell’ottobre 1981 i soci fondarono a Londra la Satellite Television Plc, che iniziò a trasmettere nell’aprile dell’anno successivo usando un canale del satellite sperimentale OTS-2. Erano brevi trasmissioni notturne di due ore, tutto entertainment. I primi Paesi a collegarsi furono la Norvegia, la Finlandia e la Svizzera. Ma la cosa stentava a decollare e l’anno successivo i finanziatori, dopo aver dato il benservito al povero Haynes, si rivolsero a Murdoch che da tempo meditava di entrare nel business televisivo paneuropeo.

L’ineffabile RKM aprì subito il portafoglio di chissa’ chi : tirò fuori 5 milioni di sterline, acquistò il 65% della compagnia e per cancellare il passato, ribattezzò la rete «Sky Channel». Questi, in breve, i fatti che portarono Murdoch a bordo dei satelliti in Europa.
Col suo fiuto intuisce da subito, sebbene non occorresse essere un genio per capirlo, che quello era il momento giusto per iniziare a creare la Tv del futuro.

Nel 1984, proprietario del primo network paneuropeo, si guarda un po’ intorno, chiama come suo aiutante di campo l’esperto Patrick Cox (attualmente Presidente del Parlamento Europeo), e affitta un canale sul satellite ECS-1. Le ore di trasmissione salgono prima a cinque e poi a otto. Nello stesso anno Sky viene autorizzata a trasmettere in Inghilterra, Germania Ovest e Austria, seguiranno Belgio, Olanda, Francia, Spagna e Svezia.
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Ma che tipo di programmi vedono gli spettatori di questi Paesi? All’inizio l’abbonato si gode quei bei serial appiccicosi come miele di provenienza americana (e neanche troppo recenti), poi col tempo Sky comincia a privilegiare l’ascoltatore giovane (quello che più delle massaie sta attaccato all’elettrodomestico) e così dà il via a programmi di musica rock, comprati negli States e in Australia (ma registrati anche in casa propria, in studi improvvisati e con molta fantasia).

Sky arriva a produrre il 40% dei suoi programmi, in gran parte show musicali per teen-ager, trasmette film e serial, brevi notiziari (sullo stile dei tabloid del padrone), e sale addirittura al primo posto per quanto riguarda la fascia di pubblico sotto i vent’anni, battendo nettamente tutte le altre reti simili come Rtl o Music Box.

Nonostante ciò, e nonostante soprattutto i 150 inserzionisti della Sky (molti dei quali interessati a esplorare il potenziale pubblicitario paneuropeo), Murdoch continua a perdere soldi, dichiarandosi ottimista per il futuro. Un ottimista pero’ che già nel 1987 comincia a cercare partner, in grado di risolvere soprattutto gli infiniti problemi di natura burocratica e politica che la rete, nella sua espansione, si trova ad affrontare. È il caso, ad esempio, dell’alleanza con il potente editore Hachette, che gli facilita l’entrata in Francia.

Ma c’è dell’altro. In realtà sembrerebbe che lo sviluppo della strategia di Murdoch e la sua concezione dei rapporti fra mass media, pubblicità e mercato non abbiano ancora trovato in Sky Channel un veicolo abbastanza potente. Non dobbiamo dimenticare che l’uomo è stato uno degli alfieri della global advertising (pubblicita’ su scala globale), una pratica secondo la quale i maggiori gruppi, produttori e distributori di merci e servizi del pianeta, hanno bisogno di media transnazionali che consentano loro di raggiungere e convincere all’acquisto, potenziali consumatori in più territori (senza dover trattare con troppe concessionarie di spazi nazionali).
RUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIERUPERT E WENDI MURDOCH CON LE FIGLIE

Sky Channel avrebbe dovuto, secondo il disegno strategico di Murdoch, collocarsi all’interno di questo quadro. Ed è per questo che, nonostante le perdite non indifferenti, il canale continua a essere sostenuto. L’utilità di Sky per le ricerche sui mercati transnazionali e anche il suo ruolo di «ariete» per l’abolizione dei vincoli pubblicitari è ormai inconfutabile.

Alcuni dei clienti di Murdoch si chiamano Coca-Cola, Canada Dry, Ibm, Philips, Procter&Gamble: tutte società multinazionali che si muovono nel mercato globalizzato. Una volta i loro proprietari rovesciavano i Governi per gestire le materie prime e le economie, ora i «colpi di Stato» li fanno attraverso la Tv, come indisturbati poltergeist, e si accontentano di gestire la collocazione delle proprie merci nei supermercati.

In uno scenario che si rivela sempre più aggressivo e verticalizzato, anche le compagnie televisive tenderanno alla fusione. Alla fine degli anni Ottanta le previsioni sono unanimi riguardo al formarsi di reti mondiali, controllate da poche, gigantesche società. E già ora fra un Maxwell «laburista» e un Murdoch «conservatore» non c’è praticamente molta differenza, se non nelle alleanze politiche al momento delle elezioni.
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Non esistono demiurghi nell’industria televisiva sostenuta dalla pubblicità. L’unico riconosciuto si chiama «profitto» e a questo obbedisce la Trimurti (clienti, agenzie, mezzi di comunicazione) che gioca la propria partita nel pianeta. Il primo è l’inserzionista globale (Ibm, Coca-Cola, Sony, Levis, ecc.) che affida un budget stratosferico alla seconda, l’agenzia di pubblicità globale (Saatchi & Saatchi, Mac Cann, ecc.) che preferisce, in questo periodo, tentare di avere rapporti con una rete Tv globale, in grado di raggiungere agevolmente gruppi di consumatori simili fra loro, identificati in diverse aree del mondo geograficamente distanti, ma sociodemograficamente sovrapponibili, con campagne pubblicitarie unificate.

Ecco allora le ragioni per cui si va verso la Globalizzazione dei Media: riduzione dei costi di produzione, avvento di tecnologie sempre più sofisticate che consentono di trasmettere oltrepassando qualunque barriera politica e geografica, identificazione di gruppi di consumatori caratterizzati da un medesimo comportamento socioculturale (ad esempio: Manhattan è più simile a Milano o a Francoforte che non alle proprie aree periferiche quali Brooklin o il Bronx).
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Murdoch prevede generosamente - ma siamo ancora alla fine degli anni Ottanta - che solo cinque o sei grandi imprenditori si divideranno il mercato televisivo mondiale. Egli pensa di essere uno di questi. Lo pensa anche Maxwell. Lo pensa anche Leo Kirch. Forse lo stesso Berlusconi accarezza l’idea in quel periodo. Ma l’Europa, vista in questo contesto, si muove molto più lentamente rispetto al Giappone e agli Stati Uniti. Immaginiamo cosa succederà quando non ci saranno più barriere e anche i mercati dell’Est saranno completamente aperti. «Forza Gorbaciov», gridano gli imprenditori Tv. E attendono la caduta del Muro di Berlino. Murdoch sogna. Sogna un mondo senza confini e senza conflitti. Sogna la completa deregulation in cui possa agevolmente muoversi una Tv che lui definisce ‘aperta e competitiva’.

2 - SKY TELEVISION, CHE INCUBO!...
Febbraio 1989. Al momento della presentazione della sua nuova impresa (il sistema Sky Television: quattro canali, più due che debutteranno in autunno) molte sono le critiche negative che piovono su Murdoch. La più ripetuta è l’accusa di aver creato un «teletabloid» per il ‘basso mercato’ (down market), ovvero una brutta televisione popolare, come già era accaduto con i suoi giornali.

Dopo aver sperimentato, sin dal 1983, la prima Tv via satellite europea, ora l’inarrestabile tycoon decide di creare un sistema di reti veramente paneuropeo, prima che lo facciano gli altri. L’operazione parte dall’Inghilterra dove, a causa delle restrizioni sui tetti pubblicitari che vincolano sia la Bbc sia la Itv, esistono dei giacimenti di budget tutti da sfruttare. Per sottrarre pubblico alle reti tradizionali Murdoch ha smembrato il suo Sky Channel e lo ha sostituito con quattro canali diversi.
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Il maggior pericolo per Itv e Bbc è costituito ora da Sky Movies, un canale che trasmette per 18 ore al giorno solo film recenti (molti dei quali presi dal magazzino Fox). L’emissione copre però solo Inghilterra e Irlanda, perché è difficile avere i diritti per tutta l’Europa. A questo si affianca Sky News, 24 ore al giorno di sole notizie, che invece copre tutto il Vecchio Continente e che si pone subito come antagonista della Cnn di Ted Turner. Sky News è realizzato in collaborazione con Visnews, la maggiore agenzia d’informazione del mondo.

Per lanciarlo Murdoch ha chiamato a dirigerlo un fedelissimo dall’Australia: John O’Loan - non si fidava né degli americani né tantomeno degli inglesi- e ha sottratto alla Itv la conduttrice del notiziario del mattino. Il terzo canale, Eurosport, è il frutto di un accordo tra Sky e la European Broadcasting Union (l’unione delle Tv pubbliche europee, quindi c’è anche un contributo della Rai).

E’ un tuttosport a copertura continentale, il primo canale multilingue della storia d’Europa (trasmette infatti in inglese, francese, tedesco e spagnolo). Il quarto canale resta lo storico Sky Channel, intrattenimento per famiglie, che dovrà ricominciare tutta la sua penetrazione nei salotti poiché sarà progressivamente ritirato dai cable operators che lo distribuiscono (era arrivato a diversi milioni di collegamenti).
Rupert MurdochRupert Murdoch

Ma il sistema Sky Tv prevede sei canali. In autunno arrivano infatti Lifestyle, (una rete al femminile su scala europea che propone molto teleshopping in collaborazione con la catena di negozi WH Smith) e, asso nella manica, Disney Channel, 18 ore di trasmissioni per bambini, realizzato insieme all’omonima major hollywoodiana. In seguito i piani prevedono di trasformare sia Sky Movies sia Disney Channel in un’unica rete a pagamento criptata che, se funzionerà, sarà una miniera di denaro come è stato in Francia per Canal Plus.

Grandi progetti per grandi audience dunque, del resto questo è il mestiere di Murdoch. Stavolta il pirata australiano si è rivolto al nuovo satellite Astra, di proprietà di un pool di banche lussemburghesi, e ha affittato da loro ben sei canali su sedici totali che erano a disposizione. Ogni canale costa circa un miliardo di vecchie lire l’anno.

17/ Continua...