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 2012  maggio 29 Martedì calendario

Volponi, i giudizi villani di un signore della parola - «L a Storia di Elsa Mo­rante? Il romanzo con il quale co­mincia l’involu­zione della letteratura italiana

Volponi, i giudizi villani di un signore della parola - «L a Storia di Elsa Mo­rante? Il romanzo con il quale co­mincia l’involu­zione della letteratura italiana. Un libro in ritardo, regressivo. Un libro di ammiccamenti nei confronti del lettore... Infatti lo leggevano tutti quelli che non avevano mai letto». «L’uomo è un animale, un esse­re politico. Guarda New York, che roba. Mette paura, qui, l’assenza della politica.L’uomo,qui,che co­s’è? È tolto dalla sua verità, che è la politica... Qui trovi il barbone o tro­vi il dirigentone: gli estremi di una scala che non ha nulla dell’umano. Questa è una città bellissima, ma cattivissima. Nuovissima, ma vec­chissima ». «Quelli del Gruppo 63 si sono chiusi all’interno di un catalogo... Sono diventati un gruppo stretto, che in quanto tale ha finito per esse­re un gruppo di potere, o comun­que per fare una politica di gruppo. A trovare necessariamente i bersa­gli, gli scontri. Ha prodotto pochis­simo, sul piano narrativo». Paolo Volponi scriveva molto be­ne. Ma chi ebbe la fortuna di ascol­tarlo dice che parlava ancora me­glio. Senza finzioni. E con passio­ne. Scrittore dalla prosa comples­sa e conversatore dall’eloquio sua­dente, Volponi per predisposizio­ne caratteriale ( sanguigno, umora­le, curioso) e per abitudine profes­sionale (mega-dirigente nel setto­re delle pubbliche relazioni) era uno straordinario «signore della parola». Nelle pagine dei romanzi, nei duelli dialettici, nei discorsi par­lamentari. Tra letteratura, industria e politi­ca Paolo Volponi, che fu narratore, manager e senatore, dispensò per tutta la vita la sua eccezionale ars af­fabulatoria. Un intellettuale ta­gliente, diretto, affascinante. Lo conferma una sua bellissima con­versazione, risalente alla migliore maturità umana e letteraria di Vol­poni (1924-94), poco prima della morte violenta del figlio Roberto, scomparso in disastro aereo a L’Avana nel 1989,e quando ancora non si era manifestata appieno la devastante malattia che lo uccide­rà, nell’estate del 1994. È l’intervi­sta, rimasta sinora incisa su un regi­stratore e mai divulgata prima, che Volponi sostenne con l’amico Lui­gi Fontanella, ordinario di Lettera­tura italiana alla State University di New York, nell’aprile del 1988, in una affollata caffetteria di Manhat­tan. Un pezzo di storia letteraria che ora torna alla luce, pubblicato da Aragno col titolo L’inedito di New York . Un «pettegolezzo», col­tissimo, sulla poesia, il romanzo, l’America, la politica, l’avanguar­dia... Una buona scusa per tornare a parlare dell’autore di Corporale , l’intellettuale al servizio di Adria­no Olivetti, il senatore del Pci. Uno dei grandi scrittori impegnati del secondo Novecento, per ben due volte premio Strega, eppure - co­me nota lo stesso Fontanella- vitti­madel «massicciodisinteressedel­la nostra Intellighenzia ». Dimenticato dall’ Intellighenzia ma ancora amato dai lettori, nono­stante una certa indifferenza edito­riale ( nel 2010 Einaudi ha ripubbli­ca­to Le mosche del capitale e lo scor­so anno Ediesse ha raccolto i suoi discorsi in aula, Parlamenti , per il resto poco altro...), Volponi fu un uomo di grande passione civile ma intellettualmente controcorrente. Dal punto di vista ideologico era un carro armato (contro il clienteli­smo­e la corruzione della classe po­litica italiana, contro il cinismo del turbo-capitalismo, contro l’iper­consumismo, contro l’anti-cultu­ra televisiva... tutti temi ancora molto di moda, come si vede), ma dal punto di vista «letterario» era un battitore libero. Come dimostrano i giudizi spiaz­zanti, e imprevisti, affidati alla con­versazione newyorkese. Dove Vol­poni confessa che avrebbe lasciato subito l’Olivetti,se avesse ottenuto il successo letterario: «mi sarei mes­so a vivere anch’io di giornalismo, di cinema, come tutti i letterati... ma non ero sicuro di riuscire a fare altre cose. Mentre lì all’Olivetti la­voravo e guadagnavo... Ho fatto carriera, ho avuto fortuna, ero di­ventato il capo del gruppo». Dove non ha paura di fare il contropelo a chi non seppe cogliere la novità del suo Corporale , nel ’74: «Ci furono critici come Paolo Milano che non capirono un cazzo,e dissero “Mah, non ho capito se è un libro di stagio­ne o no; se è qualcosa di più, debbo rileggerlo”... Sai, quando l’Espres­so , un giornale che faceva testo, li­quida tutto con questa battuta infe­lice di questa testa di cazzo, morto adesso, ma testa di cazzo da vivo.. eh...».Dovesiscagliacontrol’intoc­cabile Elsa Morante: «Ah, volete un libro facile? Perché la gente vuole ancora questi romanzetti che asso­migliano a I miserabili ... E allora, ho detto: ve lo faccio io. E ho scritto Il sipario ducale ». Dove mette in ri­ga, quando serve, anche i «grandi» scrittori più giovani di lui: «Tabuc­chi lo apprezzo, ma è un po’ esile. Resta all’interno di un gioco che è sempre quello del Sudamerica bor­gesiano ». I suoi «contemporanei»: «Che mi fa Manganelli, oggi? Sul piano sociale? È uno che scrive be­ne. E chi se ne frega?». E persino i «vecchi maestri»: «A Calvino vole­vo bene, oltre ad ammirarlo.... Cer­to, uno scrittore importante... Pe­rò, alla fine, questa sua smania di essere Borges... Troppo cerebra­le... Ma anche banale, semplice. Perché poi non aveva il gran fia­to... ».