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 2012  maggio 29 Martedì calendario

Le Br condannano a morte Ichino in aula - «L’unica giustizia è quel­la proletaria - tribunali e carceri salteranno in aria»

Le Br condannano a morte Ichino in aula - «L’unica giustizia è quel­la proletaria - tribunali e carceri salteranno in aria». I brigatisti in gabbia e i loro compagni tra il pub­blico accolgono urlando questo slogan la sentenza della Corte d’assise d’appello di Milano che ha appena dato loro ragione: non sono terroristi, come sosteneva la Procura e come gli imputati e i lo­ro avvocati hanno sostenuto du­rante tutto il processo. Certo, si ar­mavano fino ai denti con le armi comprate al bazaar di Cosa No­stra; certo, volevano ammazzare Pietro Ichino, fare saltare in aria i giornali «borghesi», demolire la residenza del premier. Quindi vengono condannati. Ma, seguen­do le precise indicazioni ricevute dalla Cassazione, i giudici cancel­lano l’accusa di terrorismo. Gli eredi del terrorismo degli anni Set­tanta e Ottanta non sono terrori­sti. Sentenza quasi inevitabile, quella di ieri, dopo che la Cassazio­ne aveva annullato il processo d’appello che aveva condannato per avere agito «con finalità di ter­rorismo o di eversione» tutto il gruppo dirigente del Partito co­munista armato, l’organizzazio­ne- radicata tra Milano e il Veneto -sorta con l’obiettivo di raccoglie­re e rinverdire i fasti delle Br. L’or­ganizzazione - a quanto si è visto in aula, un piccolo gruppo di fana­tici, ma non per questo meno peri­coloso- era stata sgominata dal bli­tz diretto dal pm Ilda Boccassini nel 2007. In primo e in secondo grado,raccogliendo l’impostazio­ne della Procura, i leader Alfredo Davanzo, Vincenzo Sisi, Davide Bortolato e Claudio Latino- erano stati condannati per associazione terrorista. Ma la Cassazione ave­va annullato le condanne, con una sentenza che si arrampicava in sottili distinguo tra criminalità politica e terrorismo: e sostenen­do che alla fine non c’era prova che le nuove Br avessero «il propo­sito di intimidire indiscriminata­mente la popolazione o l’intenzio­ne di esercitare costrizione sui pubblici poteri». Solo ammazza­menti mirati, insomma. Ed era sta­to quindi ordinato un nuovo pro­cesso d’appello. Con un’altra decisione a sorpre­sa, la Cassazione aveva anche an­nullato il risarcimento riconosciu­to a favore di Pietro Ichino, il giu­slavorista riformista condannato a morte dalle nuove Br, in quanto non era chiaro «quale danno ab­bia riportato il professore». Ichi­no ieri si presenta in aula, insieme alla scorta cui è sottoposto da anni proprio grazie alle Br, e cerca per l’ennesima volta il dialogo con quelli che vorrebbero vederlo morto, e ne raccoglie solo una se­rie di lazzi e di nuove minacce: «Questo signore rappresenta il ca­pitalismo, lui è l’esecutoredi que­sto sis­tema e noi eseguiremo il do­vere di sbarazzarci di questo siste­ma », gli dice dalla gabbia Davan­zo, mentre coimputati e pubblico urlano al senatore del Pd «vergo­gna, vai a lavorare».Per tutto il cor­so del processo, d’altronde,gli im­putati non avevano fatto nulla per edulcorare la propria immagine: come quando Davanzo aveva ri­vendicato esplicitamente dalle gabbie («fa parte della rivoluzio­ne, e la rivoluzione non si ferma») la gambizzazione del dirigente Ansaldo Roberto Adinolfi. Ma ne­anche in questo modo sono riusci­ti a convincere i giudici di essere dei veri terroristi. Vengono con­dannati per associazione sovversi­va, per le armi, per tutto il resto. Lievi, circa un anno, gli sconti di pena: a Latino vengono inflitti un­dici anni e mezzo, undici a Borto­lato, dieci a Sisi, nove a Davanzo. Viene ribadita- e in questo i nuovi giudici d’appello danno torto alla Cassazione- la condanna a risarci­re centomila euro di danni a Ichi­no, la vittima designata. Infi­ne- e qua gli ef­fetti della sen­tenza della Cas­sazione si fan­no quasi surre­ali- viene assol­to con formula piena Salvato­re Scivoli, che per la Procura procacciava le armi all’organizza­zione terrorista grazie ai suoi rap­porti con i mafiosi del clan Fidan­zati: ma,insieme all’organizzazio­ne terrorista dalla scena del pro­cesso svanisce anche il suo reato.