Gino Ruozzi, Domenicale – Il Sole 24 Ore 27/5/2012, 27 maggio 2012
Che bravi a esser brevi – «Gli uomini al tempo d’oggi di brevità son desiderosi», scriveva al l’inizio del 1300 il domenicano Bartolomeo da San Concordio
Che bravi a esser brevi – «Gli uomini al tempo d’oggi di brevità son desiderosi», scriveva al l’inizio del 1300 il domenicano Bartolomeo da San Concordio. Il piacere della brevità non è evidentemente una caratteristica solo odierna. Anche se nei nostri tempi, per molte ragioni, essa sembra essersi accentuata. Della brevità l’aforisma è la forma storicamente e letterariamente più autorevole e apprezzata, che dai tempi di Ippocrate unisce concisione e profondità, coniugando, come scriveva Alberto Savinio, «potenza massima e minimo volume» (Nuova enciclopedia). Il genere dell’aforisma sta conoscendo grande fortuna soprattutto in Europa orientale (Russia, Polonia, Romania, Serbia). Lo documentano alcuni libri di recente curati dallo scrittore Fabrizio Caramagna, che gestisce l’aggiornato blog Aforistica/mente. Caramagna, a propria volta valido studioso e autore di volumi di aforismi (Contagocce, Genesi 2009; Linee di seta, Lietocolle 2012) ha presentato l’anno scorso gli aforismi dello scrittore rumeno Valeriu Butulescu (Oasi di sabbia, Genesi 2011) e ora propone una ricca antologia dell’aforisma serbo contemporaneo, Afocalypse (Genesi 2012), in cui sottolinea la qualità satirica e il tagliente umorismo nero dei numerosi scrittori di aforismi serbi (tra cui spiccano Aleksandar Baljak e Aleksandar Cvotric´). Per gli autori serbi, ha affermato la scrittrice Vesna Dencvic´, «l’aforisma è stato una specie di lotta politica fatta con mezzi diversi da quelli tradizionali». Il valore politico oppositivo e provocatorio dell’aforisma appartiene da secoli alla tradizione del genere, da Francesco Guicciardini a Tommaso Campanella, da Nicolas Chamfort a Stanislaw Lec; questa antologia dell’aforisma serbo lo conferma e lo rinnova, con affermazioni di sicuro valore universale («Appena stabilito chi ha vinto le elezioni, è stato sospeso il conteggio dei voti», Aleksandar Baljak; «Veniamo a liberarvi! Non cercate di scappare», Vladan Savic´). Gli autori di aforismi sono sarcastici e «malpensanti», come si definiva Gesualdo Bufalino sulla scorta di Leopardi. Il genere è difficile, perché richiede coinvolgimento e nello stesso tempo distanza critica dal proprio tempo. Lo ha indicato chiaramente Davide Lopez, lo psicoanalista scomparso di recente (1925- 2010) che ha scritto molti dei propri testi in forma aforistica, da Al di là della saggezza, al di là della follia (Guaraldi 1976) al postumo La strada dei Maestri (Colla 2011). Per le opere di Lopez come per le Scorciatoie di Umberto Saba, Nietzsche e Freud sono un fortunato e imprescindibile binomio. Il carattere medico-filosofico che ha distinto fin dal principio la tradizione aforistica lo si ritrova nei libri di Mario Vassalle, nato a Viareggio ma da decenni residente a New York, dove è professore universitario di Fisiologia cardiaca. Vassalle ha composto negli anni un quadro organico di riflessioni morali raccolte in più volumi di aforismi, da L’enigma della mente (New York 1996) a Petali (L’Autore Libri 2012), in cui ha cercato di dare rigore scientifico al proprio pensiero. Scrittrice italiana di aforismi di formazione filosofica, bolognese e residente a New York, è Marcella Tarozzi Goldsmith, il cui più recente volume di aforismi è l’emblematico Invece di un trattato (Genesi 2011). Sagace e pungente, Tarozzi si inserisce nel crescente numero di scrittrici di aforismi, in un genere che è sempre stato apertamente misogino; basti ricordare Lalla Romano, Alda Merini, Maria Luisa Spaziani alle quali si aggiunge, tra le più recenti, la psicoanalista romana Silvana Baroni (Il bianco, il nero, il grigio, Joker 2011), attenta al rapporto tra aforisma e disegno, tratti grafici e visivi, secondo esperienze praticate da Ramon Gómez de la Serna, Mino Maccari, Fausto Melotti. Le tipologie aforistiche possono dunque essere diverse, da quelle tendenzialmente sistematiche e scientifiche di Lopez e Vassalle a quelle del modello "pensieri diversi" di Tarozzi, Baroni, Caramagna, in cui prevalgono i toni appuntiti e satirici, acuti e brillanti dei testi, la loro natura rapsodica e divagante. L’aforisma si configura una scrittura affilata sul piano personale e sociale, come testimonia l’esemplare titolo Una lama tra le nuvole del ticinese Mario Postizzi (Weiss 2012), che già aveva dato prova della propria penna rapida e acuminata nella silloge Hommelettes (Aragno 2007). «La pointe», asserisce Postizzi, «deve colpire, non fare colpo». La natura epigrammatica dell’aforisma è il connotato dominante da La Rochefoucald a Oscar Wilde, da Karl Kraus a Leo Longanesi ed Ennio Flaiano. L’aforisma non è una battuta comica, può far sorridere o talvolta anche ridere ma il suo tono è acre, disilluso e dissacrante, sulfureo. «Sono un carciofino sott’odio» scriveva Longanesi. Questo timbro spesso cupo della scrittura aforistica ha contraddistinto il rumeno-francese Emil Cioran e il colombiano Nicolas Gómez Dávila, Guido Ceronetti e Mario Andrea Rigoni. D’altra parte lo sguardo penetrante e radicale, senza accomodamenti, è anche quello che permette di illuminare la realtà, che per lo più è appunto farsesca e tragica. Il grande aforisma riesce in poche parole a dare un’immagine autentica, mimetica quanto paradossale dell’esistenza, colta in momenti, comportamenti e ritratti personali che assumono significati collettivi. Il grande aforisma sorprende, spiazza, comunica una verità che non sapevamo. Tutto questo, come è prevedibile, non è facile; il genere è molto impegnativo, lo scopo ambizioso. La letteratura aforistica fissa in rapide istantanee («kodak» le chiamava Longanesi) le molteplici esperienze della vita, fornendo insegnamenti e più spesso contro-insegnamenti, differenti dalla morale comune e perbenista. Lo scrittore di aforismi, come il Filippo Ottonieri di Leopardi, è un solitario che non teme di soffrire e di fare soffrire, perché vuole capire. Non tutta la letteratura ha questa meta, quella di espressione aforistica quasi sempre sì. Essa non cerca scappatoie consolatorie ma affronta le cose di petto, mettendole spudoratamente in vista. È una medicina fastidiosa ma forse salutare. Sta a noi assumerla o, come capita più spesso, rifiutarla, anche se il nostro diniego può essere camuffato da un sorriso di complicità. Gino Ruozzi