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 2012  maggio 27 Domenica calendario

Perché facciamo il tifo per la Grecia nell’euro – Quanto è importante la Grecia? Per la civiltà occidentale è sicuramente molto importante

Perché facciamo il tifo per la Grecia nell’euro – Quanto è importante la Grecia? Per la civiltà occidentale è sicuramente molto importante. Non vi chiedo di andare a leggere Aristotele o Platone, ma se vi trovate a Reggio Calabria andate a vedere i Bronzi di Riace (di 2500 anni fa!) e rimarrete a bocca aperta. Ma in questi tempi sordidi l’importanza di un Paese non si misura dai muscoli di bronzo ma dai muscoli economici, e la Grecia è un piccolo Paese: conta per lo 0,4% del Pil mondiale. Allora, perché le cancellerie occidentali e i vertici che si susseguono, dal G8 al G20 ai vertici europei, sono ipnotizzati dalla Grecia? Perché non dire ai potenti della terra, a proposito dei greci, "non ragionar di loro ma guarda e passa"? Facciamo un passo indietro. Nel Sole Junior del 4 dicembre scorso abbiamo parlato della grande avventura dell’euro. Nel 1968 non eravate ancora nati, ma avete sentito parlare delle rivolte studentesche che irruppero in Europa e in America, prima a San Francisco, poi a Parigi, Berlino, Milano.... In Europa il centro della rivolta fu Parigi. Cosa volevano i "sessantottini"? Volevano un mondo migliore, via con le stanze ammuffite della politica, col falso miraggio del benessere materiale, volevano... Beh, non era sempre chiaro quel che volevano, ma, accanto alla Sorbona in fiamme, c’era una scritta cubitale: "L’imagination au pouvoir", "L’immaginazione al potere". «Il cuore tenero non è una dote di cui sian colmi i carabinieri...», cantava Fabrizio De André in "Boccadirosa", e lo stesso si potrebbe dire per l’immaginazione: non è una dote di cui i politici sian colmi. Ma quella volta, con l’euro, sorpassarono se stessi. Ve l’immaginate, prendere tanti Paesi diversi, dalla Finlandia al Portogallo, e mettersi d’accordo per rinunciare ognuno alla propria moneta, simbolo potente dell’identità nazionale? Eppure, ci riuscirono. Ma cosa c’era dietro quella fervorosa immaginazione? C’era un sogno: il sogno antico di fare dell’Europa un continente di pace. Avete tutti studiato secoli di storia e sapete da quante guerre il nostro continente è stato dilaniato. Già alla fine degli anni Cinquanta quel sogno aveva cominciato a costruire una realtà: il mercato comune, la Comunità europea... E il fiore all’occhiello di questi legami e queste comunanze andava a essere la moneta unica, simbolo di sogno federalista che vedeva come punto d’arrivo gli Stati Uniti d’Europa. La Grecia non potè aderire subito all’euro, ma entrò nel 2001, quando le condizioni – conti pubblici in ordine, inflazione e tassi di interesse bassi, valuta stabile – furono verificate sui dati del 2000. Il problema emerse dopo: in realtà i conti pubblici non erano in ordine. In parole povere, i greci avevano imbrogliato le carte. Il bubbone scoppiò con la Grande recessione quando deficit e debiti pubblici si allargarono: dappertutto ma specialmente in Grecia. Il Paese di Aristotele e Platone si trovò con un immenso debito pubblico e un deficit da finanziare. Ma i mercati avevano perso la fiducia e non volevano più sottoscrivere titoli greci. Cosa successe? Normalmente, se un Paese non può più onorare il debito, va in fallimento e non paga (vedi l’Argentina nel 2002). Ma la Grecia era parte dell’euro. E l’idea che un Paese che fa parte dell’euro potesse fallire non era accettabile. Sarebbe stata una macchia sullo scudo lucente della moneta unica. Cosa fare allora? Si cercò di salvare la Grecia dando dei prestiti, così che non avesse bisogno di chiedere soldi al mercato. Si fece un accordo con i detentori di titoli greci per convincerli a scambiarli con altri con tassi più bassi e scadenze più lunghe. Ma non bastava ancora. Intanto, in cambio dei prestiti furono imposte delle condizioni. La Grecia doveva mettere i conti in ordine, vale a dire aumentare le tasse e diminuire le spese. Tre domeniche fa - il 6 maggio - abbiamo parlato di questa austerità, di questo stringere la cinghia che è imposto, a ragione o a torto, a tutti i Paesi dell’euro, ma che è specialmente doloroso per la Grecia. I greci, che, come tutti noi, sono gente orgogliosa, non amano essere considerati dei paria e degli imbroglioni. In effetti non lo sono. É stata la loro classe dirigente a combinare il pasticcio. E loro ora devono soffrire: gli stipendi diminuiscono, i prezzi aumentano, la disoccupazione dilaga... Così, alle ultime elezioni, hanno aumentato i voti i partiti che dicono "tanto peggio tanto meglio". Mandiamo al diavolo l’accordo con l’Unione europea per gli aiuti in cambio dell’austerità. Ma le elezioni non hanno dato una chiara maggioranza in favore dei partiti che vogliono rispettare l’accordo, così ci saranno altre elezioni in giugno. Se i partiti del "tanto peggio tanto meglio" vincono, la Grecia finirà per uscire dall’euro. E allora? Sarebbe un disastro, perché, se viene infranto il principio che un Paese può uscire dall’euro, i mercati, che hanno assaggiato il sangue della Grecia, si volgeranno contro altri Paesi deboli, dal Portogallo alla Spagna e anche all’Italia e provocheranno altre crisi. Soprattutto, il grande sogno della moneta unica come progetto per portare pace in Europa verrà infranto. Il capitale politico investito nell’euro sarà svalutato se non ridotto a zero. Per questo la Grecia è così importante, pur essendo una economia piccola. É importante perché è l’anello debole della catena forte dell’euro, una catena che rappresenta un evento storico, una tappa cruciale nel processo di integrazione dell’Europa. Speriamo che i governanti europei sappiano trovare le soluzioni adeguate a questa crisi e tenere la Grecia nell’euro, malgrado siano sempre più frequenti le voci dei profeti del malaugurio che dicono che l’euro è finito.. Ma è bene che le crisi ci siano: come diceva uno dei padri fondatori dell’Europa, Jean Monnet (l’ho già citato il 4 dicembre scorso), «L’Europa progredirà solo grazie alla crisi». Fabrizio Galimberti