Luca Davi, Il Sole 24 Ore 27/5/2012, 27 maggio 2012
Dopo i titoli di Stato speculazione all’attacco delle materie prime – L’universo delle materie prime è alla fine di un superciclo iniziato più di 12 anni fa? È questa la domanda che da settimane assilla gli analisti di commodities
Dopo i titoli di Stato speculazione all’attacco delle materie prime – L’universo delle materie prime è alla fine di un superciclo iniziato più di 12 anni fa? È questa la domanda che da settimane assilla gli analisti di commodities. Perché quello cui si sta assistendo è un calo che mette a dura prova il trend rialzista iniziato nel 1999. Basti pensare che nei giorni scorsi le principali commodities globali sono scese ai minimi da circa due anni. Dopo un avvio d’anno in forte ascesa, i prezzi di petrolio, rame, oro e delle materie agricole hanno accusato flessioni violente, che vanno dal 10 a oltre il 20% rispetto ai picchi di febbraio-marzo. Ma è il trend che mette in allarme: il Dow Jones-Ubs Commodity index, che rappresenta il paniere delle materie prime più scambiate al mondo, ha perso il 25% rispetto ad aprile 2011. Ciò che appare chiaro è che da mesi i grandi investitori istituzionali - banche di investimento o grandi fondi - hanno deciso di alleggerire le proprie posizioni sul comparto, innescando così ulteriori vendite da parte di molti operatori. Quali sono le ragioni di questo comportamento? Le ragioni del calo Le motivazioni sono di tipo soprattutto fondamentale. Il mercato delle materie prime da anni è iper-sensibile allo stato di salute dell’economia globale. In buona sostanza, se l’economia tira, i prezzi salgono. Se invece le cose vanno male, per azionisti di società minerarie e trading company c’è poco da festeggiare. E manco a dirlo, oggi, lo scenario macro è scoraggiante. Gli Stati Uniti fanno i conti con una crescita singhiozzante. Mezza Europa è nel pieno di una crisi recessiva di cui ancora non si vede l’uscita. Ma ciò che più conta è che la Cina, autentico dominatore della domanda mondiale, sta rallentando la sua corsa. Pechino ha ridotto il target di crescita del Pil al 7,5% (il minimo dal 2004) dal precedente 8% e intende tagliare la quota di Pil dedicata agli investimenti infrastrutturali. L’effetto è un minor consumo di metalli industriali, di cui il paese è vorace consumatore: se la domanda cinese di rame è aumentata di 763mila tonnellate annue tra il 2007 e il 2011, nel 2011-2015, secondo Barclays, l’incremento potrebbe ridursi a 600mila tonnellate: un taglio del 20 per cento. Cadute analoghe dovrebbero subire anche gli ordinativi di minerale di ferro, acciaio, zinco: mercati in cui la Cina pesa per il 40% circa del totale. Ma il problema è anche di tipo tecnico: nel corso dell’ultimo decennio, il mercato delle commodities si è fortemente "finanziarizzato". L’ingresso di operatori come le grandi banche di investimento nell’arena degli scambi ha reso il mercato molto più liquido ma lo ha anche esposto alle speculazioni di breve respiro. Ecco perché, in un quadro macro così fragile, a ogni soffio di possibile ulteriore rallentamento il mercato svende. E i prezzi crollano. Il cambio di scenario Quando ebbe inizio, nel 1999, il rally dei prezzi delle commodities fu spinto da due forze divergenti: da una parte la rapida crescita dei paesi emergenti, trainata appunto dalla Cina (che entrò nel Wto nel 2001); dall’altra l’esiguità degli stock di commodities, visto che le aziende produttrici per anni avevano limitato l’operatività a causa dei margini ridotti. Oggi la situazione è diversa: l’output di materie prime è esploso, grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie e ai massicci investimenti profusi. La produzione di petrolio è salita del 16% dal 1999, quella di rame del 28%, quella di alluminio del 94%. L’effetto è una sovrabbondanza dell’offerta. Se nel 2006 solo il minerale di ferro si trovava in surplus, nei prossimi cinque anni solo lo zinco e il piombo potrebbero trovarsi in deficit. Insomma, uno scenario ribaltato. E che potrebbe spiegare come mai il boom dei prezzi sia entrato in una fase di rallentamento prolungato, come dimostrano i minimi biennali. La lunga marcia al rialzo delle materie prime potrebbe essere insomma non finita del tutto. Ma quanto meno rischia di avere raggiunto il suo "ultimo miglio". Luca Davi