Marco Bellinazzo, Il Sole 24 Ore 29/5/2012, 29 maggio 2012
Un business da 2,4 miliardi – I "Pil" del Calcio italiano Spa è stato, nelle ultime tre stagioni, di 7,2 miliardi di euro
Un business da 2,4 miliardi – I "Pil" del Calcio italiano Spa è stato, nelle ultime tre stagioni, di 7,2 miliardi di euro. Un giro d’affari che ha risentito soltanto in misura minima della crisi che ha travolto l’economia europea. Gli attori del mercato calcistico, variegati per dimensioni e obiettivi, sono però ancora incapaci di tradurre in utili i rilevanti fatturati per colpa di una gestione dei costi – specie quelli per gli ingaggi dei tesserati – non oculata. Il valore della produzione "aggregato" di serie A, serie B e Lega Pro è stato di 2.349 milioni nella stagione 2008/09, 2.506 in quella successiva e di 2.477 nell’annata 2010/11. I ricavi medi dei club della massima serie – come certificato nel "Report Calcio 2012", il secondo rapporto sulla situazione economica del calcio tricolore presentato qualche settimana fa da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers – hanno superato i 100 milioni di euro annui, quelli delle società di cadetteria i 15 milioni, mentre quelli delle società della vecchia serie C viaggiano sui 2,5 milioni in prima divisione e sul milione di euro per la seconda divisione. Tuttavia, sempre prendendo in esame le ultime tre stagioni le società professionistiche hanno "bruciato" un miliardo e cento milioni di euro. Soltanto nell’annata 2010-2011 il rosso è stato di 428 milioni. Le entrate Per quanto riguarda le entrate il valore della produzione si è attestato nella stagione 2010-2011 a quota 2.477 milioni (in calo dell’1,2% rispetto alla scorsa stagione). Un valore che depurato dai ricavi legati alle plusvalenze da calciomercato scende poi a 2.033 milioni (-0,8% rispetto al 2009-2010). Nel dettaglio risultano in diminuzione i ricavi medi per società nella Serie A (-3,1% rispetto al 2009-2010), nella Lega Pro Prima Divisione (-7,4%) e Seconda Divisione (-23%), mentre va in controtendenza la Serie B che ha visto un aumento dei ricavi medi del 6,3% (da 14,2 milioni nel 2009-2010 a 15,2 milioni nel 2010-2011). Queste cifre, lette in controluce, confermano la dipendenza del calcio italiano dai diritti radiotelevisivi e soprattutto da quelli nazionali. Questa voce che comunque pesa sui bilanci dei club per 971 milioni. Dalle tv le 20 squadre di A percepiscono mediamente 41 milioni (53% del fatturato e solo il 10% dai diritti tv internazionali), quelle della Premier 64 milioni (48% del fatturato, ma per oltre un terzo legato ai diritti internazionali), quelle della Bundesliga 28 milioni (31%) e le squadre della Liga 30 milioni (37%). Continuano a crescere, in ogni caso, i ricavi da sponsor e attività commerciali, saliti nel triennio da 317 a 387 milioni. I ricavi medi da sponsor arrivano per i club di serie A a 17 milioni (22% del fatturato). In Premier league si incassano per sponsor e merchandising 28 milioni (21% del fatturato), in Bundesliga 34 milioni (38% del giro d’affari) e in Spagna 19 milioni (24%). Fanalino di coda tra le entrate delle società di calcio tricolori è quella dipendente dal botteghino. I ricavi prodotti dallo stadio (biglietti e abbonamento) coprono solo il 10% del fatturato totale e ammontano tra serie A, B e Lega Pro a 253 milioni. Nella stagione 2008/09 erano pari a 272 milioni. Una riduzione determinata principalmente dalla progressiva disaffezione degli sportivi italiani. Nella scorsa stagione, in serie A gli spettatori sono stati 9 milioni, con una media a giornata di 24mila e una percentuale di riempimento degli impianti del 59 per cento. Dati sconfortanti se raffrontati con quelli europei. L’affluenza totale per la Bundesliga è stata di 13 milioni di spettatori per una media a giornata di 42mila e una percentuale di riempimento degli stadi pari al 91 per cento. In Premier ci sono stati 13,4 milioni di spettatori nello scorso torneo con una media a giornata di 35mila e una percentuale di riempimento degli impianti del 92. Mentre nella Liga si sono staccati 14,3 milioni di biglietti con una media a giornata di 28mila e una percentuale di riempimento degli stadi del 75 per cento. Le uscite I costi aggregati del Calcio italiano Spa sono stati di 8,3 miliardi di euro nelle stesse ultime stagioni. Nel campionato 2010/11 le spese delle oltre 120 società professionistiche sono state pari a 2.881 milioni di euro. l’1,6% in più rispetto alla stagione immediatamente precedente. Esiste, dunque, un disequilibrio strutturale che nonostante le promesse e i diktat del fair play finanziario si fa fatica a correggere. Basti pensare che nel torneo 2010/11 i costi direttamente collegabili ai "dipendenti" hanno assorbito oltre due miliardi. Tra stipendi, premi e imposte i club professionistici hanno sborsato 1.450 milioni di euro, e hanno dovuto stanziare per ammortamenti e svalutazioni per 568 milioni (pari al 20% del totale dei costi). Più nello specifico sono diminuiti i costi medi per società nella Serie B (-3% rispetto al 2009/10) e nella Lega Pro Prima (-4,5%) e Seconda divisione(-27,8%). Invece, sono risultati in crescita i costi medi della Serie A passati in due anni, da 103 milioni di euro a 115. Patrimonio dimezzato Questo disequilibrio gestionale ha provocato un’erosione del patrimonio netto dei club che a parte l’esempio virtuoso della Juventus, peraltro, non possiedono stadi di proprietà. Il patrimonio netto dell’intero sistema calcio professionistico italiano è calato nel 2010/11 del 50% rispetto alla stagione precedente attestandosi a 202 milioni. Una contrazione dovuta soprattutto al deficit registrato dai club di Serie A, salito dai 197 milioni del campionato 2009-2010 ai 300 milioni accumulati al termine della stagione 2010/11. Il patrimonio netto iscritto a bilancio è ora per la massima serie di 150 milioni. Quello della B di 50 milioni. In Lega Pro prima divisione si scenda a 3 milioni, mentre in seconda divisione si passa addirittura in territorio negativo (-1). Marco Bellinazzo