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 2012  maggio 26 Sabato calendario

IL PENTITO DEL PORTAFOGLI


In uno dei suoi innumerevoli libri sul ’68 (non ha scritto d’altro), “Compagni, addio”, del 1987, Giampiero Mughini, seppur già “pentito”, rabbrividendo di piacere dall’alluce al capezzolo e bagnandosi anche il pannolino (lui sostiene che è un perizoma, ma è un pannolino, oggi pannolone, perché è sempre stato incontinente), racconta che nel giugno del 1979 un comunicato del latitante Franco Piperno, uno dei personaggi più ambigui degli “anni di piombo”, leader di Potere Operaio (PotOp per gli amici, “molotov e champagne” per gli altri, perché era zeppo di figli dell’aristocrazia e dell’alta borghesia romana), contiguo, per non dir di più, dei terroristi Morucci e Faranda, fu scritto in casa sua, nella sua cucina, e con la sua Lettera 32. Oggi, 2012, Giampiero Mughini sul Sole 24 Ore online, sede quanto mai appropriata, fa un’apologia dei soldi, senza celare il suo intellettuale disprezzo per chi non li ha fatti. Il Mughini sembra avere un feticismo per il denaro. “Il denaro è poesia... emana un profumo inebriante... il fruscio delle banconote da venti o cento euro quando il cassiere te le mette in mano per cambiare l’assegno... e meglio ancora se gli zeri nella cifra in alto a destra sono parecchi... i soldi fungono da barometro della libertà di tutti, della democrazia reale, della civiltà di una società matura”. Mughini se la prende anche con i giornali, “dove lavorano a bizzeffe i figli del ’68” (ma lui da dove viene e dove lavora?), perché sulla questione dei soldi fanno una gran confusione. Mentre “dire dei soldi è parlare di filosofia e non tutti ne sono degni”. È vero, il denaro è una sofisticata creazione dell’intelletto umano, Adam Smith la paragonava all’invenzione della macchina a vapore. Ma il filosofo Giampiero quando si scaglia contro l’invidia sociale (“il dare addosso all’erba del vicino che è più verde della tua”), non si rende conto che l’invidia sociale - come ha spiegato Ludwig von Mises, uno dei più estremi ma anche dei più coerenti teorici dell’industrial-capitalismo - è proprio l’indispensabile ingranaggio per far girare il meccanismo di quella “società matura” in cui lui, il Mughini, si trova tanto a suo agio. È l’invidia che alimenta i consumi e ne allunga la catena. Quando si parla di denaro, oltre che di filosofia, bisognerebbe sapere anche un po’ di storia. Mughini scrive una cosa esilarante: “Per secoli e secoli i ricchi erano riusciti a convincere i poveri che parlare di ’soldi’ non fosse chic”. A parte che il termine “chic” appartiene alla classe sociale dei Mughini e non ai poveri, “per secoli e secoli”, in Europa, il popolo minuto ha nutrito un’estrema e istintiva

diffidenza nei confronti del denaro, intuendone le

insidie. E con buone ragioni. I mercanti infatti pagavano

in “moneta povera” (rame, bronzo o ’bilione’ che è

ancora bronzo ma con sopra una spruzzatina d’argento),

ma realizzavano in “moneta forte”, oro e argento, sui

mercati internazionali di allora. I truffoni monetari e

speculativi non sono stati inventati oggi. Ma torniamo alla filosofia. Il denaro, nella sua estrema essenza, è proiezione nel futuro. È futuro. Il più che settantenne Mughini, come ogni vecchio, ne ha meno degli altri. Attaccarsi, da vecchi, al denaro quando non hai più il tempo di spenderlo, di investirlo, ma solo di ritenerlo, come uno stronzo, è un nonsense. Giampiero Mughini ha sbagliato tutto nella vita. Doveva adorare il denaro quando, trentenne, gli sarebbe servito e invece faceva il rivoluzionario da cucina e affettava di disprezzarlo; e tenerlo in non cale oggi che non può più farsene nulla.