Martin Hesse e Thomas Schulz, Il Fatto Quotidiano 26/5/2012, 26 maggio 2012
GREXIT
Professor Krugman, la Grecia deve uscire dall’euro?
Non vedo alternative e se la Grecia uscirà dalla moneta unica, il primo anno sarà terribile. Lo dico con riluttanza perché è un po’ come urlare “al fuoco” in un cinema pieno di gente, vedete alternative realistiche? il primo anno sarà terribile. Ma siete in grado di indicarmi un’alternativa realistica?
L’uscita della Grecia risolverebbe la crisi dell’euro o la aggraverebbe?
Ci sarebbe una crisi del sistema bancario in altri Paesi periferici dell’Unione europea. Ma potrebbe essere arginata con opportuni prestiti da parte della Banca centrale europea: dovrebbe fornire tutti gli euro che vengono ritirati dai risparmiatori.
Ma la Bce è pronta ad agire come da lei indicato?
Sicuramente ci sarà una enorme fuga di capitali dalle banche italiane e spagnole e la Bce deve essere disponibile a incrementare la sua esposizione in questi Paesi. È impossibile che la Bce sia disposta a erogare una tale quantità di prestiti, così come è impossibile pensare che la Bundesbank scelga di adottare un atteggiamento passivo. D’altro canto, se la Bce deciderà una linea diversa, l’euro farà naufragio. E mi sembra impossibile pensare che si voglia il fallimento dell’euro. Comunque vada, una di queste due cose impossibili si verificherà.
Nei suoi editoriali ha criticato la cancelliera Angela Merkel per il modo in cui ha gestito la crisi europea. È sua la colpa della situazione in cui ci troviamo?
Ha perso tempo. Avrebbe potuto fare di più? Non lo so. Ho comunque la sensazione che a volte gli ingranaggi del destino siano inesorabili.
Ma lei ha ribadito più volte che è una fantasia che si possa arrivare alla prosperità passando per il dolore dell’austerità.
Pensavo fosse ovvio che questa politica non poteva funzionare. L’unico risultato poteva essere una disoccupazione di massa e, di conseguenza, una riduzione dei salari in Spagna. Ma quanti anni ci vogliono, considerato che in Spagna la disoccupazione è prossima al 25 per cento e l’aggiustamento dei salari verso il basso avviene a un ritmo lentissimo?
Lei ha definito l’austerità una
politica economica “zombie”.
Puoi ammazzare gli zombie una infinità di volte, ma continueranno ad andare avanti. Abbiamo avuto due anni e mezzo di tempo per valutare gli effetti di queste politiche e mi stupisce che, malgrado le prove evidenti del fallimento, sia ancora questa la ricetta che si intende usare.
Quindi bisognerebbe cambiare politica e agire sul lato della spesa?
Nessun governo, con l’eccezione della Germania, può scegliere liberamente questa alternativa. Il governo spagnolo non può abbandonare la politica di austerità e decidere di adottare politiche di tipo keynesiano. Non hanno risorse per finanziarle. Il primo ministro di un piccolo Paese europeo o anche di un Paese più grande come la Spagna, non può cambiare politica. Può accettare una qualche forma di austerità, magari protestando, o può semplicemente uscire dall’euro. Ma Francoforte e Berlino hanno la possibilità di scegliere.
Cosa dovrebbero fare la Banca centrale europea e il governo tedesco?
Bisognerebbe dire alla Bce che il suo compito è mantenere la stabilità dei prezzi, ma che questo compito non va assolto con eccessiva rigidità. Nei prossimi cinque anni l’inflazione dovrebbe essere superiore al 3 per cento. La Bce non dovrebbe più alzare i tassi e stringere i cordoni della borsa al primo accenno di aumento dei prezzi. Al contrario, dovrebbe ridurre i tassi ed erogare credito a banche e governi.
E Berlino?
Il governo tedesco dovrebbe abbandonare la politica di austerità in Germania. Sono tentato di aggiungere che i miei sono pii desideri e che non mi aspetto di vederli realizzati.
Un tasso di inflazione di 4 o 5 punti potrebbe avere effetti positivi sul breve periodo, ma come possiamo garantire che la spirale non ci sfugga di mano e che l’inflazione non arrivi al 7 o all’8 per cento o anche più?
Non è difficile. Basta alzare i tassi di interesse quando l’inflazione tocca livelli che riteniamo incompatibili con la tenuta del sistema. Circola la strana idea che l’inflazione sia una calamità naturale: imprevedibile e incontrollabile. Non è vero: tassi di inflazione altissimi si registrano quando i governi non riescono ad aumentare le entrate e si affidano soltanto alla stampa di moneta.
Ma se l’inflazione non è un
problema così grande perché tutti ne hanno paura?
Questa è la cultura delle banche centrali. Sono gli stessi governatori delle Banche centrali a definire il loro ruolo in questi termini. Il loro compito sia quello di far sparire gli alcolici quando l’atmosfera della festa comincia a scaldarsi. Ma nelle attuali circostanze sembra che siano ansiosi di nascondere gli alcolici anche se non c’è alcuna festa. Inoltre, in Germania c’è l’ossessione per il ricordo del 1923. Tutti evocano la Repubblica di Weimar. E nessuno ricorda Bruning (cancelliere tedesco dal 1930 al 1932 che adottò misure di austerità, ndt).
Gli Stati Uniti da circa 10 anni sono fedeli a una politica monetaria come quella che lei auspica, ma non ci sono stati effetti sul debito.
Al momento negli Stati Uniti il debito federale non è un problema. Il problema del debito riguarda il settore privato. Se invece intende dire che la politica americana è stata più inflazionistica, le rispondo che non è vero. I tassi medi di inflazione degli ultimi dieci anni non fanno registrare significative differenze tra l’area dell’euro e gli Stati Uniti. In entrambi i casi il tasso di inflazione si è mantenuto di poco al di sopra del 2 per cento.
Più stimolo significa anche più debito. Molte nazioni europee e anche gli Stati Uniti stanno annegando nei debiti.
Non sto dicendo che il debito non mi preoccupa. Sto cercando di far capire che in questo momento non deve preoccupare. Tagliando la spesa si produce un effetto ulteriormente depressivo sull’economia. E, visti i bassi tassi di interesse e ciò che ora sappiamo sulle conseguenze di lungo periodo dell’elevata disoccupazione, quasi certamente il risultato sarebbe un peggioramento dei conti pubblici e del bilancio dello Stato. In presenza di una ripresa economica sufficientemente sostenuta e di una Federal Reserve che pensasse di alzare i tassi per sventare il pericolo dell’inflazione, diventerei un falco del debito.
Quindi per il momento dobbiamo ignorare il debito?
Esattamente. È stupefacente che consideriamo prioritaria la minaccia immaginaria di una perdita di fiducia dei mercati, che pure non sembrano dare segnali in questo senso, invece che pensare ai milioni di disoccupati e del danno di lungo termine che questa situazione finirà per determinare.
Ma i problemi delle banche non sono in qualche misura il prodotto di una politica monetaria troppo poco rigorosa?
Non sono affatto persuaso che all’origine della crisi ci sia stata una politica monetaria non sufficientemente rigida. E quand’anche sia vero che un eccesso di ottimismo o di esuberanza è stato all’origine della crisi – e che quindi dobbiamo stare attenti ed evitare che la cosa si ripeta – non cambia il fatto che in questo momento abbiamo bisogno di crescita e di espansione.
© Der Spiegel, 2012 – Distribuito
da New York Times Syndicate
Traduzione
di Carlo Antonio Biscotto