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 2012  maggio 29 Martedì calendario

SILVIO NELLA BARA, GLI ANTI-CAV TOCCANO IL FONDO


La salma di Silvio Berlusconi sorride. Ha addosso le pantofole di Topolino, i pantaloni abbassati, la cravatta col nodo allentato e stringe in mano una copia dell’indimenticato pamphlet del 2001 «Una storia italiana». La salma di Silvio Berlusconi è adagiata in una teca di cristallo, sopra un materasso di raso con un cuscino color oro, ed è esposta al primo piano di Palazzo Ferrajoli a Roma, un tiro di pietra da Palazzo Chigi. La salma di Silvio Berlusconi, sostiene chi l’ha messa lì, è nientemeno che «Il sogno degli italiani».
Eccola, la nuova frontiera dell’arte impegnata e de sinistra: il catafalco. A realizzare il manichino in gomma siliconica (ma i capelli sono organici) sono stati due artisti italiani, Antonio Garullo e Mario Ottocento. Artisti famosi, ancorché per meriti non strettamente inerenti alla propria attività: Garullo e Ottocento, infatti, sono la prima coppia gay italiana ad essersi regolarmente sposata all’estero (si sono detti sì a L’Aia nel 2002). Non solo, i due sono stati pionieri anche in patria: nel marzo scorso, al termine di una decennale battaglia legale per vedere la propria unione riconosciuta, i due hanno portato a casa una sentenza della Cassazione che, per la prima volta, sancisce il diritto legale di ricevere «un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».
Qui però lo stato di famiglia non c’entra. C’entra l’arte. Che, come il canone contemporaneo reclama, ha da essere “concettuale” (non a caso Repubblica, comprensibilmente innamorata dell’operazione, la inquadra parlando di «corpo del leader come icona del potere che nel tempo delle rappresentazioni a distanza compendia valori estetici e morali», qualsiasi cosa voglia dire) e soprattutto deve essere “shock”. Pertanto, vai col cenotafio. Il cui sottotitolo risulta essere la chiave di lettura dell’opera: sotto la targhetta «Il sogno degli italiani», c’è infatti scritto: «Per una immagine definitiva dell’era Berlusconi». A questo punto il sottotesto diventa chiaro: italiano, per vent’anni ti sei fatto menare per il naso a colpi di fotoromanzi da un tizio per niente serio che in realtà pensava solo a quella cosa lì (da notare a questo proposito la sottigliezza del doppio senso assunto dalla parola “sogno” nel titolo).
E a questo punto uno si fa venire il sospetto che avere ritratto il Cavaliere post-mortem, più che con l’arte, abbia avuto a che fare con il marketing. In un mercato dove la nicchia “Silvio è un cialtrone” è oltre il sovrappopolato (libri, film, spettacoli teatrali, arti figurative eccetera), a fare l’ennesima opera per ribadirlo il rischio di passare totalmente inosservato è elevatissimo. Per scongiurarlo, l’unica è inventarsi qualcosa per fare la polemica, finire sui giornali e avere pubblicità gratis. E ammazzare, sebbene figurativamente, il Cavaliere è un signor metodo. L’avessero ritratto da vivo (la ciabatta disneyana e la patta aperta avrebbero ugualmente trasmesso alla perfezione il messaggio e avrebbero compendiato i valori etici e morali), non se li sarebbe filati nessuno. Lo hanno fatto da morte, e per giorni non si parlerà che di loro. E anche questa, nel suo piccolo, è un’arte.

Marco Gorra