Marinella Carione, Conferenza all’Accademia Nazionale dei Lincei della prof.ssa Margherita Hack: " I pianeti "alieni" e probabilità di vita nell’universo" 27/4/2012, 27 aprile 2012
Conferenza all’Accademia Nazionale dei Lincei della prof.ssa Margherita Hack: " I pianeti "alieni" e probabilità di vita nell’universo" 27/4/2012 VERSIONE RIDOTTA PER IL FOGLIO LAMBERTO MAFFEI
Conferenza all’Accademia Nazionale dei Lincei della prof.ssa Margherita Hack: " I pianeti "alieni" e probabilità di vita nell’universo" 27/4/2012 VERSIONE RIDOTTA PER IL FOGLIO LAMBERTO MAFFEI. Margherita la si ascolta con piacere, con lei la scienza diventa diletto, desiderio di ulteriore conoscenza. Ecco, questo Margherita lo porta proprio come sua proprietà personale. I veri scienziati parlano semplicemente perché una cosa quando è chiara nella mente di uno diventa semplice. L’Accademia non vuole entrare nel particolare, non vuole entrare nell’ultima ricerca, vuole aprirsi a tutti i cittadini, condividere con Margherita la bellezza della scienza insieme alla professoressa Alessandra Celletti che fa anche lei divulgazione. MARGHERITA HACK. Il sole, stella comunissima tra le altre 400 miliardi della galassia, è un “cittadino medio” della via Lattea. E’ facile intuire che anche le altre stelle abbiano dei sistemi solari, dei pianeti e chissà cosa vi sia successo. Questa domanda se la ponevano già i filosofi greci. Talete pensava che le stelle fossero fatte della stessa materia di cui è fatta la terra. Anassagora che i semi della vita fossero sparsi nell’universo, anticipando di 24 secoli l’ipotesi della Panspermia di Svante Arrhenius, cioè che le spore della vita fossero portate sulla terra dal vento solare. Tito Lucrezio Caro nel de rerum natura immaginava altri mondi abitati. Flammarion, Schiapparelli, e monsieur De Fontenelle intravedevano la possibilità di altre forme di vita sparse nell’universo. Leopardi nella sua Storia dell’astronomia del 1813 scriveva: “La questione della pluralità dei mondi, può dirsi la più famosa e la più insolubile di tutte le questioni”. Giordano Bruno diceva: “Le stelle sono tanti soli e come il sole intorno ad esse orbitano dei pianeti. Su questi pianeti esistono esseri viventi”. Ma arriviamo ai giorni nostri. Nel 1995 Mayor e Queloz hanno dimostrato l’esistenza del primo pianeta extrasolare. Già con il satellite infrarosso IRAS e con il telescopio spaziale Hubble si erano osservate le nebulose, nubi di gas e di polveri, minuscole particelle solide, grazie alle quali abbiamo potuto capire come si formano le nuove stelle. Tuttavia fino ad ora i pianeti che noi conosciamo sono stati scoperti in maniera indiretta, cioè per l’effetto che provocano alla loro stella. Gli effetti sono di vario tipo. Con il metodo delle velocità radiali, il più fruttuoso in quanto ci ha permesso di scoprire parecchie centinaia di pianeti extrasolari, si misura la velocità di una stella o di un pianeta misurando lo spostamento delle righe spettrali per effetto Doppler. Quando una sorgente sonora o luminosa si avvicina riceviamo onde di frequenza maggiore, se la sorgente si allontana riceviamo onde di frequenza minore. Dall’ampiezza delle oscillazioni si può ricavare qual’é la massa del corpo disturbante e dalla periodicità il periodo di rivoluzione. Abbiamo corpi disturbanti dalle masse paragonabili a quelle di Giove. In questo modo fu scoperta la compagna nana bianca di Sirio. Ciò che distingue la stella dal pianeta è la massa: il corpo con una massa inferiore a un decimo di quella del sole è un pianeta, perché non arriva ad avere temperature sufficientemente alte per innescare le reazioni nucleari, fonte che fa brillar le stelle. Andando ad osservare i movimenti delle stelle vicine, molte hanno oscillazioni più piccole, cioè indicano che c’è un corpo che disturba il moto della stella. Questo metodo facilita la scoperta di pianeti grossi e vicini, dell’entità di Giove, i quali orbitano molto vicino alla loro stella, arrecandovi quindi un disturbo maggiore. Un pianeta piccolo come la terra, che orbitasse alla stessa distanza della terra dal sole, produrrebbe un disturbo completamente trascurabile. Un altro metodo abbastanza fruttuoso è quello dei transiti, il quale, grazie ai mezzi sofisticati di cui siamo dotati, è in grado di catturare la luce che il pianeta sottrae alla stella passandovi vicino. Quando la nostra visuale, cioè la retta che va da noi alla stella, giace sul piano dell’orbita del pianeta, tutte le volte che il pianeta passa davanti alla stella, porta via una minima quantità di luce. Da qui il nome di transito. Questo metodo è in corso di applicazione su larga scala: due satelliti, uno francese, Corot e uno americano, Kepler, hanno proprio lo scopo di osservare automaticamente milioni di stelle, per vedere se qualcuna di queste presenta una diminuzione di luce spiegabile con un transito. Anche questo metodo ha quindi permesso di scoprire altre centinaia di pianeti extrasolari. Un altro metodo è quello basato sulla teoria della relatività di Einstein. Immaginate d’avere una lontana galassia e una galassia più vicina frapposta fra noi e la galassia lontana. La galassia più vicina funge da lente gravitazionale e funziona come una lente ottica: devia i raggi della galassia lontana e forma una o più immagini virtuali di quest’ultima. Moltissimi sono i casi che confermano ampiamente la previsione di Einstein. Abbiamo anche le microlenti gravitazionali. Con una stella lontana e una più vicina a noi, quando quella più vicina si interpone esattamente tra noi e la stella lontana, funge allora da microlente e fuocheggia i raggi della stella lontana, facendone aumentare lo splendore. Siccome siamo tutti in moto relativo uno rispetto all’altro, questo allineamento può durare pochi giorni, durante i quali si osserva un notevole aumento di splendore. Se la microlente è accompagnata da un pianeta, quando il pianeta si frappone a sua volta tra la stella lontana e l’osservatore, funge da micro micro lente, da luogo ad un’intensificazione della luce della stella lontana, un’intensificazione molto minore produce la stella e che dura per un tempo molto più breve, di poche ore, ma sufficiente per farci capire la presenza di questo pianeta. Su un milione di stelle osservate, statisticamente si possono avere 5 o 6 casi di microlenti. In conclusione questo metodo ha il vantaggio di scoprire pianeti molto lontani, appartenenti ad altre galassie. Grazie a questi metodi sappiamo dell’esistenza di miliardi e miliardi di pianeti, per ora ne abbiamo scoperti parecchie centinaia, ma nella nostra via Lattea ci sono 400 miliardi di stelle; è molto probabile che il fenomeno sistema planetario sia un fenomeno abbastanza comune, quindi solo nella nostra via Lattea ci saranno molte centinaia di miliardi di pianeti. Nell’universo abbiamo almeno cento miliardi di galassie, e ciascuna con decine o centinaia o migliaia di miliardi di stelle, quindi possiamo facilmente immaginare che nell’universo ci saranno miliardi e miliardi di pianeti. A questo punto è ovvio domandarsi: siamo soli nell’universo? Certamente tra tutti i pianeti ci saranno delle terre, anche se per ora ne abbiamo scoperto pochissimi che possiamo così definire, nel senso che hanno una densità comparabile a quella della terra. Grazie a Kepler e Corot si sono scoperti un qualche centinaio di pianeti terrestri. A questo punto possiamo domandarci se su questi pianeti vi sono delle condizioni tali da permettere l’apparizione di vita. Fra miliardi e miliardi di pianeti, certamente ci sono miliardi di pianeti terrestri e su qualcuno di essi ci saranno le condizioni paragonabili a quelle sulla terra e allora, se ci sono le condizioni adatte allo sviluppo sulla vita, perché la vita si sarebbe sviluppata solo qua? Non siamo ancora riusciti a vedere l’immagine diretta di un pianeta e per questo c’è un progetto dell’emisfero australe, Eso, di un gigantesco telescopio da mettere a terra, che doveva avere un diametro di cento metri, poi per ragioni economiche si è ristretto a una quarantina di metri. Ne è responsabile proprio di questo studio un fisico italiano, Roberto Gilmozzi. È un telescopio a tasselli, fatto con tante piastrelle di vetro, come quelle di un pavimento, e vengono tenute nella forma geometrica perfetta, grazie a tanti sostegni collegati ad un computer, il quale ci dice in tempo reale come vanno spostati per mantenere continuamente la forma geometrica perfetta, quella che permette di ottenere delle ottime immagini. Con questo telescopio si dovrebbe riuscire a vedere le immagini di pianeti anche piccoli come la terra che si trovino più o meno alla distanza dalla terra dal sole e non solo a misurare la luce riflessa dalla superficie del pianeta. Un grosso passo avanti nello studio dei pianeti sarà quello di capire, attraverso le impronte della luce, se quella è un’atmosfera che contiene ossigeno, carbonio, ossia qual è la sua composizione. Cosa possiamo dire al riguardo sulla vita, quali sono le condizioni necessarie? Intanto noi conosciamo solo la vita sulla terra, quindi non sappiamo se sia possibile avere delle forme di vita completamente diverse da quelle terrestri. Come sappiamo la nostra vita è fondata sul carbonio e sull’acqua. È possibile che esistano forme di vita basate su altre elementi? È improbabile, perché il carbonio è quello che da le molecole complesse, il silicio pure da molecole abbastanza complesse, però è venti volte meno abbondante del carbonio. Quindi è molto probabile che la vita sia passata sul carbonio. E su che liquido? Sull’acqua? L’acqua è H2O, è formata dall’elemento di gran lunga più abbondante in natura, l’idrogeno, e dall’elemento che la segue nell’abbondanza, l’elio, che è un gas nobile e non si combina, poi terzo elemento in abbondanza è l’ossigeno. Una risposta forse un giorno l’avremo osservando il liquido che scorre nei fiumi di Titano, il più grande satellite di Saturno. Titano è stato visitato recentemente dalla sonda Huygens, che è stata sganciata dalla sonda Cassini ed è atterrato con paracaduti sul suolo di Titano. Forse un giorno si riuscirà ad avere un robot che prenda dei campioni del liquido che scorre nei suoi fiumi, che a quelle temperature di meno 200 gradi centigradi non può essere acqua, probabilmente è metano liquido. Che questo robot ci porti a terra delle ampolle con del liquido di Titano chi lo sa, forse è fantascienza, forse un giorno ci riusciremo, potremo vedere se in questo liquido per caso ci siano delle forme elementari di vita, perché se la vita è possibile in un liquido diverso dall’acqua non lo sappiamo. Oggi possiamo solo dire che dato l’enorme numero di pianeti nell’universo, dato che tutte le leggi fisiche sono comuni a tutto l’universo, perché le leggi biologiche dovrebbero essere completamente diverse? È molto probabile che esistano altre forme di vita, direi la probabilità è quasi uno, però venirne in contatto, come si racconta in fantascienza, questo credo sia destinato a restar tale. Infatti le distanze sono enormi, pensate che il pianeta terrestre più vicino alla terra scoperto finora, si trova a circa venti anni luce da noi, cioè la luce impiega venti anni per giungere fino a noi, viaggiando alla velocità di trecento mila km al secondo, che vuol dire un po’ più di un miliardo di km all’ora. Riusciremo mai a viaggiare a un centesimo della velocità della luce? Noi oggi la velocità più alta che facciamo è quella degli aerei supersonici. Dovremmo immaginare un astronave su cui generazioni e generazioni di esseri umani possano vivere, per arrivare ad un pianeta su cui forse non troveranno nulla, su cui forse troveranno una civiltà molto più evoluta, che li tratterà come noi abbiamo trattato gli aborigeni dell’Australia. Chi lo sa, la probabilità di venire in contatto con altri avi, con altre civiltà è praticamente zero, forse son troppo pessimista. L’unica possibilità non fantascientifica, anche se ha una bassissima probabilità di riuscita è il progetto SETI. Seti, un acronimo di parole inglesi (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), sta operando ormai dal ’64, su idea di due fisici, fra cui un italiano, e per ora il risultato è zero. Questo progetto consiste nel cercare di puntare i nostri radio telescopi verso stelle simili al sole che possano avere dei pianeti, per vedere se per caso da questi pianeti ci arrivano dei segnali radio chiaramente artificiali. Possiamo immaginare un po’ una specie di alfabeto Morse. Se un giorno riceveremo questi segnali vorrà dire che c’è qualcuno che vuol farci sapere della sua esistenza. Certamente sarebbe un dialogo molto difficile perché tra la domanda e la risposta passerebbero dieci, venti, cento anni, perché il messaggio viaggia alla velocità della luce. Comunque è l’unico modo non fantascientifico che abbiamo. La probabilità di successo è molto bassa, perché bisognerebbe essere più o meno allo stesso grado di sviluppo, se un segnale ci fosse arrivato, che so io, all’inizio del novecento non avevamo mezzi tecnologici adatti a riceverlo, e poi bisognerebbe avere le stesse curiosità, gli stessi interessi, le stesse conoscenze scientifiche, comunque il progetto va avanti e si cerca di studiare soprattutto la lunghezza d’onda di 21 cm che è la lunghezza d’onda a cui emette l’idrogeno interstellare. L’idrogeno è l’elemento di gran lunga più abbondante e nello spazio ci sono atomi di idrogeno che si comportano come minuscole radio trasmittenti sintonizzate, allora una civiltà che abbia le stesse nostre conoscenze tecnologiche penserebbe che la lunghezza d’onda di ventun centimetri fosse più frequentemente osservata delle altre e quindi tenterebbe di farsi sentire a questa lunghezza d’onda, almeno, questo è il nostro modo di ragionare, e pensiamo misticamente che sia il modo di ragionare anche di questi eventuali extraterrestri. Questo vi da un’idea di quali e quante sono le difficoltà che incontriamo per uscire dal nostro guscio, però quando si pensa che, nel giro di poco più di un secolo, da questo bruscolino che è la terra, siamo arrivati a capire che cosa sono le stelle, di cosa son fatte, come brillano, come si formano, qual è la loro vita, come nascono e muoiono, a capire com’è fatto l’universo, che cosa è successo quasi 14 miliardi di anni fa, in quello che chiamiamo il Big Bang, che chiamiamo l’inizio dell’universo, che non sappiamo se sia l’inizio, ma è l’inizio di ciò che possiamo osservare, e veramente allora possiamo essere orgogliosi di noi stessi. ALESSANDRA CELLETTI. Ringrazio la professoressa Hack per averci, con questa bellissima conferenza, fatto viaggiare in infiniti mondi e infiniti universi. C’è veramente molto poco da aggiungere a quello che ha detto. Io mi occupo di meccanica celeste, cioè dello studio della dinamica degli oggetti celesti, di come si muovono i pianeti, le stelle, ma prevalentemente i pianeti, i satelliti, naturali e artificiali, quindi qual è la dinamica e quali sono le traiettorie all’interno del sistema solare. Quando si studia il sistema solare dal punto di vista dinamico sembra veramente quasi un miracolo vedere come si muovono i pianeti, ordinatamente sullo stesso piano, su orbite quasi circolari, con pochissima eccentricità, cioè quella che determina lo schiacciamento dell’orbita. Quello che noi vediamo nel cielo, nel corso della nostra vita e nel corso dei millenni della nostra civiltà, è sicuramente un movimento ordinato ma naturalmente la domanda importante e focale del genere umano è: cosa accadrà tra migliaia di anni? A prescindere da quello che sarà il destino della civiltà umana, che cosa accadrà ai pianeti tra centinaia, migliaia o milioni di anni? Noi sappiamo che il nostro sole ha una vita di 5 miliardi di anni e altrettanti gliene rimarranno da vivere. È una storia molto bella, permettetemi prima di passare alle domande di raccontarla brevemente. Il sole, la nostra stella, è una stella estremamente particolare perché ha le dimensioni giuste per consentire la vita sulla terra, e compie un infaticabile lavoro quotidiano, contraendosi ed espandendosi continuamente, come un palloncino. È proprio in questo meccanismo che innesca le reazioni termonucleari tali da trasformane l’idrogeno in elio ed eventualmente l’elio in elementi più pesanti, carbonio, azoto, ossigeno. Il sole non ha una massa grandissima quindi si ferma alla trasformazione degli elementi più leggeri, mentre le stelle più pesanti, quelle che si chiamano supernove, con masse dell’ordine di grandezza di dieci, venti volte più grandi del sole, sono riuscite a trasformare non solo l’idrogeno in elio, carbonio, azoto e ossigeno ma anche in elementi più pesanti fino ad arrivare al ferro. In un lontano passato queste stelle pesanti sono esplose ed hanno lanciato nell’universo gli elementi di cui era composta tra cui appunto il ferro. Il ferro che noi tocchiamo, di questo computer, di cui noi stessi siamo formati è appunto il frutto di questa esplosione delle stelle, che hanno lanciato gli elementi dell’universo, e sono arrivati fino a noi. Ecco perché si dice noi siamo polvere di stelle. Il nostro sole è una stella particolare, che riesce a sopravvivere, riesce ad avere le dimensioni giuste e il nostro pianeta, è anch’egli molto particolare, perché sta alla distanza giusta dal sole, in quella che si chiama la regione abitabile del sistema solare, una regione molto stretta, una regione che va da 0,95 a 1,37 unità astronomiche, dove un’unità astronomica è la distanza media sole-terra. In questa regione ci sta la terra, non ci sta nessun altro dei pianeti e questa è l’unica regione in cui si possono trovare all’interno del sistema solare le condizioni di abitabilità, cioè l’acqua allo stato liquido che consente la vita, ma non solo. Questi non sono gli unici elementi di questa delicata alchimia che consente la vita nell’universo e in particolare nel nostro sistema solare. Ci sono tanti altri fattori. Il primo indubbiamente è la gravità, cioè quello che è il rapporto tra la massa della terra, la massa del sole e quindi la costante di gravità cioè la legge di gravitazione. In altre parole, se noi prendiamo un uomo che pesa 78 kg sulla terra e lo trasportiamo sulla luna quest’uomo peserà 13 kg. Quindi il peso, non la massa, il peso della persona dipende dall’effetto della gravità del corpo su cui si sta, se il corpo è più piccolo l’uomo peserà di meno, se è più grande peserà di più. Pochi sanno che quando gli astronauti vanno sullo Shuttle, sulla stazione spaziale internazionale, la prima settimana soffrono terribilmente il mal di spazio, che è qualcosa di molto ma molto più forte del mal di mare. Gli astronauti devono essere monitorati, perché stanno in assenza di gravità anche se non troppo, perché stare su uno Shuttle vuol dire stare vicino alla terra e non nello spazio profondo, quindi ancora se ne risentono gli effetti. Diminuire la gravità è comunque qualcosa che ci danneggia. Il nostro cervello sembra essere quello giusto per avere questa gravità, o viceversa questa gravità sembra essere quella giusta per farci sopravvivere sulla terra. Un’altra cosa che dal punto di vista del meccanico celeste vorrei sottolineare è l’importanza anche di avere un satellite molto particolare, la luna, la quale ha un altro effetto estremamente importante per la sopravvivenza del genere umano. La luna, con il suo effetto gravitazionale, mantiene l’asse di rotazione della terra in equilibrio. Negli anni novanta Jacques Laskar de Bureau des Longitudes di Parigi ha scoperto che l’asse di rotazione terrestre è inclinato, cioè non è perpendicolare rispetto al piano orbitale, ma è inclinato di 23 gradi e 27 primi e questo fa sì che esistano le stagioni. Se non ci fosse la luna al posto giusto e con la massa giusta l’asse di rotazione della terra non potrebbe rimanere in questa posizione ma si comporterebbe come una trottola impazzita e quindi non ci potrebbero essere le stagioni. Questa è stata una delle scoperte più sensazionali della meccanica celeste. Infine noi osserviamo quotidianamente un’armonia della luna. C’è un disco dei Pink Floyd che si chiama The dark side of the moon, nulla di più sbagliato c’è in questo titolo perché la luna mostra sempre la stessa faccia verso la terra, ma non è che l’altra faccia è scura, l’altra faccia è nascosta, quindi il termine giusto sarebbe la faccia nascosta della luna. Noi vediamo solo una parte della luna, perché c’è un’altra delicata alchimia che si verifica tra la terra e la luna, che rende appunto questa coppia terra-luna estremamente particolare, che fa si che la rotazione della luna intorno alla terra si compia in 27 giorni, quindi la luna compie una rivoluzione completa intorno alla terra in 27 giorni, e allo stesso tempo, cioè sempre in 27 giorni, la luna compie una rotazione completa attorno al proprio asse, quindi fa un giro intorno a se stessa nello stesso tempo in cui compie un giro intorno alla terra. Questo fenomeno si chiama risonanza in meccanica celeste e il termine è estremamente appropriato perché sottolinea questa armonia, questa melodia, tra il movimento di rivoluzione e il movimento di rotazione della luna. Domanda. Cosa ne pensa di uno studio più matematico della natura del tempo, per comprendere meglio le leggi dell’universo, cioè il tempo polinomiale, tempo complesso. Cosa ne pensa di un livello maggiore di astrazione in astrofisica. Alessandra. La matematica e la fisica sono strettamente collegate, gli scienziati dialogano tra loro, anche su argomenti che all’apparenza potrebbero sembrar distanti. Pochi anni fa è stata approvata la congettura di Poincaré, ad opera di uno scienziato che poi ha vinto per questa scoperta la medaglia Fields, cioè un milione di dollari. Bene, costui ha rinunciato al premio perché non vuole nulla in denaro, pensa che il premio più grande sia aver scoperto la congettura, e così è ritornato a fare il contadino in Russia. Questa è la più grande scoperta matematica di questo secolo, ed è una scoperta puramente teorica. In parole tecniche diciamo: qual è la figura geometrica che sia connessa e compatta nello spazio? È la due sfere, una cosa completamente teorica. Tuttavia astrofisici e cosmologi hanno preso spunto da questa teoria per cercare di capire se il nostro universo sia formato da una grande sfera, abbia una geometria euclidea, oppure se invece sia formato da più universi che dialogano tra di loro, attraverso quelli che si chiamano i cunicoli spazio temporali. Sicuramente lo sforzo che si sta facendo è anche quello di unire le complicate teorie matematiche alla cosmologia e quindi anche alla nozione del tempo.