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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Don Gallo, il prete burattinaio che guida il sindaco di Genova - Troppo presto per sapere che tipo sia effettivamente il neo sindaco di Genova, il super sinistro Marco Doria

Don Gallo, il prete burattinaio che guida il sindaco di Genova - Troppo presto per sapere che tipo sia effettivamente il neo sindaco di Genova, il super sinistro Marco Doria.Nell’at­tesa, vi do un assaggio del mondo che lo sostiene dedicando il ritrat­to all’artefice della sua vittoria: don Andrea Gallo, la tonaca no glo­bal. È stato l’ottantaquattrenne prete di strada genovese a imporre Doria prima al centrosinistra, spe­dendo i suoi ciompi ad affollare le urne delle Primarie, poi all’intera città che ha setacciato facendo vo­lantinaggio per lui. Con l’exploit, don Gallo ha mo­nopolizzato l’attenzione cittadi­na. Da prete anticasta, è diventato il beniamino degli alti papaveri del­la Lanterna. Tanto li ha provocati che - non potendo frenarlo - se lo sono fatti piacere e ora è di moda. È destino degli antiborghesi essere adorati dai borghesi. Accadde a Guevara che, dopo averne stermi­nati a mucchi, è finito sulle magliet­te dei loro figli. In città, don Andrea è molto po­polare. La Repubblica gli offre da anni un pulpito settimanale sulle pagine genovesi. Quando tagliò il traguardo degli ottanta, il governa­tore ligure, il pd Claudio Burlando, stanziò diecimila euro per festeg­giarlo pubblicamente. Questo uso bizzarro di fondi aveva uno scopo: essendo don Gallo il prete dei cen­tri sociali, Burlando se lo teneva buono per prevenire gli agguati de­gli estremisti. Il don ricambiò la cortesia in uno dei successivi 25 aprile, festa della Liberazione. Si presentò, Borsalino in testa e mez­zo toscano tra i denti, stile Hum­phrey Bogart, salì con Burlando sul palco e, insieme a Gino Paoli (che fu deputato del Pci benché i comunisti jugoslavi gli avessero in­foibato dei parenti), cantarono Bandiera rossa, innalzando calici di vini selezionati dal patron di Ea­taly, quell’Oscar Farinetti, intimo di D’Alema.Perfetto guazzabuglio di preti, mangiapreti, truci nostal­gie e vanità. Anche l’anno scorso, per il compleanno, fu replicata una festa al PalaCep con no global, rifondazionisti, popolo viola, Mo­ni Ovadia, Marco Travaglio, Anto­nio Padellaro, telefonata di Dario Fo, saluti cari di Franca Rame, tele­grammi progressisti. Don Andrea è, dunque, un vete­ro comunista, aromatizzato al Van­gelo. Beghine e pinzocheri lo dige­riscono male. Tanto più che ha un’oratoria da suburra. Una volta, arringando i suoi maneschi giova­notti, mentre la polizia sorvegliava la manifestazione,se ne uscì:«Non lasciatevi provocare da quei figli di puttana: se non ci aiutiamo tra noi, qui non ci aiuta un cazzo di nessu­no ». Nel 2008, a Bologna, dove il sindaco ds Sergio Cofferati aveva fatto il duro vietando alcol, canne, eccetera il don si infilò in un rave party antiproibizionista per procla­mare: «Ci hanno rotto i coglioni. Niente birre, niente pizze, non si potrà neanche scopare?».Don Gal­lo, sia chiaro, è in buona compa­gnia. Già don Milani aveva come motto:«Stare sui coglioni a tutti,co­me lo erano i profeti». Il soave don Mazzi polemizzando con la Gelmi­ni disse: «Quelli del governo ci fan­no ingoiare merda come fosse ro­solio ». Contrario agli inceneritori, don Alex Zanotelli espresse il se­guente concetto: «Trasformano la merda in oro. Quanta più merda, tanto più oro». Noto come «prete degli ultimi», don Gallo vagola nottetempo in cerca di diseredati. Quando all’al­ba rientra nella comunità da lui fondata, San Benedetto al Porto ­che da tre decenni ospita tossici, prostitute e trans- vive in una stan­zetta con una branda e la porta aperta a chiunque. Una volta che al buio si aggirava tra i carruggi per distribuire preservativi, si sentì chiamare. «Don Gallo, ci dà una mano a caricare il camioncino?», chiese un ceffo mescolato a un gruppo che spostava mobili davan­ti a un portone. «Certo», fece il don e si dette da fare.«L’indomani sep­pi - ha poi raccontato - che avevo aiutato una banda a svaligiare un appartamento». E ci rise su. Un giorno si mise in urto con l’allora ar­civescovo, Dionigi Tettamanzi, per avere portato delle prostitute albanesi ad abortire da un medico amico. Fu lui stesso a vantarsi, di­cendo che era il «male minore». Tettamanzi, che pure è un tolleran­tone aperto ai confronti religiosi, di culture, eccetera lo rimproverò pubblicamente: «L’aborto è un’azione malvagia e immorale. Non è mai un male minore». Don Gallo fece spallucce. Peggiore lo screzio che ebbe col successore, il cardinale Tarcisio Bertone. Nel 2003, si presentava un libro, Preti contro , sulle gesta di cinque sacerdoti non allineati, tra cui il Nostro e il parimenti noto don Vitaliano della Sala, entrambi presenti. Si discettava sulle polemi­che create dal volume e i possibili ostacoli gerarchici alla sua diffusio­ne. Don Andrea, che Wojtyla lo ave­va in antipatia per la sua ostilità al­la «teologia della liberazione»,spa­rò: «Se il Papa va avanti così torne­remo presto agli anni della censu­ra ». Quando seppe, Bertone si av­ventò sull’incauto con una replica al veleno: «Altro che preti contro! Sono sacerdoti delegittimati da tempo per i loro atteggiamenti anti evangelici, anti ecclesiali e contra­ri alla loro appartenenza alla Chie­sa come pastori di anime ». Una sco­munica di fatto che a don Gallo non è mai stata tolta anche se lui se ne impipa. A vent’anni don Andrea sentì la chiamata ed entrò come novizio dai Salesiani. Fu spedito in Brasile e, del tanto che c’era da vedere, si accorse solo delle favelas . A trent’anni prese gli ordini e comin­ciò a fare danni. Nominato cappel­lano della Garaventa, riformatorio minorile, inaugurò un nuovo me­todo di recupero: liberi tutti di fare quel che volevano. Sul riformatore si abbatté l’ira dei confratelli e gli fu tolta la cappellania. Il don si incap­piò di brutto e lasciò l’Ordine con una motivazione letteraria: «Mi im­pedisce di vivere pienamente la vo­cazione sacerdotale». Quando un prete abbandona la Regola e diventa secolare, la palla passa alla Curia. A don Gallo fu da­ta la parrocchia del Carmine, cen­tro di Genova. Il neo parroco fondò subito un gruppo ecclesiale giova­nile che guidava attraverso la città inneggiando al Che e a Ho-Chi-Min. Erano gli anni Settanta e sbor­nie del genere all’ordine del gior­no. Che il protagonista fosse però una tonaca, faceva discutere. In Curia, sedeva Giuseppe Siri, fiero conservatore. Il cardinale ebbe un travaso di fiele. Fece convocare lo sbrindellone e un incaricato gli consegnò un decreto con l’ordine di trasferirsi, seduta stante, nel­l’Isola di Capraia. Con la pergame­na in mano ancora fresca d’inchio­stro, don Andrea fece due conti, de­cidendo all’impronta che era me­glio andare a Canossa che a Capra­ia. Si tolse il mezzo toscano di boc­ca e si presentò contrito da Siri. Fu perdonato e ha continuato per mezzo secolo a fare come voleva. Si batte per la marijuana libera. Ha incoraggiato gli inquilini di un centro sociale a coltivare le note fo­glioline, dicendo:«Ragazzi,ho stu­diato le Sacre Scritture e ho saputo che Noè,nell’arca,aveva una pian­tina di cannabis». È un sostenitore della stanza del buco dove ci si fa di eroina e coca in piena tranquillità. Per promuovere queste belle batta­glie o è ospite di Rifondazione co­munista ( di cui è affezionato eletto­re) oppure ospita lui i rifondazioni­sti nella parrocchia di San Benedet­to. Sono occasioni conviviali in cui ciascuna parte cerca di fare proseli­ti e si mescolano disinvoltamente paradisi artificiali e Paradiso cele­ste. Questo è don Gallo,l’antipasto del neosindaco Doria.