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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

2 articoli – HESJEDAL LA VITA E’ ROSA — Con quella faccia un po’ così, di chi non è abituato a vedere una piazza così bella e così piena di gente, Ryder Hesjedal from Canada si prende il Giro d’Italia e ricambia lentamente, dopo tanta velocità, l’abbraccio del popolo del Duomo: prima teso, poi incredulo, alla fine il 31enne della British Columbia (zona Vancouver), libera un sorriso e piange per la vittoria arrivata ai tempi supplementari, la prima di un canadese e la quarta più ridotta nel distacco

2 articoli – HESJEDAL LA VITA E’ ROSA — Con quella faccia un po’ così, di chi non è abituato a vedere una piazza così bella e così piena di gente, Ryder Hesjedal from Canada si prende il Giro d’Italia e ricambia lentamente, dopo tanta velocità, l’abbraccio del popolo del Duomo: prima teso, poi incredulo, alla fine il 31enne della British Columbia (zona Vancouver), libera un sorriso e piange per la vittoria arrivata ai tempi supplementari, la prima di un canadese e la quarta più ridotta nel distacco. Hesjedal doveva recuperare 31 secondi nella cronometro di 28,2 chilometri a Joaquin Rodriguez, che partiva in rosa. Il canadese era favorito, ma lo spagnolo, di quattordici chili più leggero, si è confermato in condizione strepitosa: Hesjedal ha rimontato 47 secondi, conquistando il suo primo grande successo con appena 16 secondi di margine sull’avversario diretto. Il belga Thomas De Gendt, dopo l’impresa sullo Stelvio, non concede il bis, ma sorpassa Michele Scarponi e completa il primo podio tutto straniero del Giro dal 1995 (Rominger, Berzin, Ugrumov, con Chappucci quarto). «Ho iniziato a pensare alla vittoria soltanto a cinque chilometri dal traguardo — confessa Ryder — anche perché mi sono preso dei rischi, ma era necessario. È un sogno che si realizza dopo tanti anni di duro lavoro: non potrei essere più felice». E meno male, perché il più sorridente sul podio è Gioacchino Rodriguez, nonostante, a 33 anni, sia arrivato a un passo da un’occasione forse irripetibile: «Ho fatto del mio meglio, fino all’ultima curva ho creduto che tutto potesse ancora accadere. Per questo perdere fa ancora più male, anche perché se sulle montagne ci fossero stati gli abbuoni, alla fine avrei vinto io. Ma onore a Ryder che ha meritato. Io sono felice, perché sono salito sul podio coi miei due bambini: l’anno scorso le cose in famiglia non andavano molto bene, mentre adesso si sono sistemate e sono un uomo sereno». La famiglia azzurra si consola con la straordinaria vittoria nella cronometro di Marco Pinotti («Ci pensavo dall’anno scorso, quando mi ero ritirato per una brutta caduta...»), che ora pensa a Londra: il favorito era il suo compagno Taylor Phinney (prima maglia rosa del Giro), ma l’americano ha sbagliato strada per colpa della moto che lo precedeva («Può capitare, ma non avrei comunque vinto»). Scarponi ha lottato con dignità contro lo specialista De Gendt ma è nero, perché se Cunego lo avesse aspettato sullo Stelvio, ora magari il marchigiano sarebbe terzo: «Non ero venuto qui per essere il primo degli italiani. Avevo il numero uno sulla schiena, volevo un Giro da protagonista, adesso sono rammaricato di essere ai piedi del podio. Qualcosa su cui recriminare? No, niente. Ma se devo ripensare a tutte le tappe trovo sicuramente qualcosa in cui si poteva andare meglio... Mi spiace, ma non meritavo di scendere dal podio». Ivan Basso i primi tre posti li guarda col binocolo, ma non molla: «Non è stato il mio ultimo Giro da protagonista, anche se le cose non sono andate come volevo. Ne ho sentite di tutti i colori, ma il mio funerale sportivo lo celebreremo tra un po’...». Il varesino sarà al Tour come spalla di Vincenzo Nibali e potrebbe subito rendersi utile, ma riconquistare la maglia rosa a 35 anni sarà un’impresa quasi impossibile. Il problema è che, a parte Nibali, non si intravvede un grande futuro. Pozzovivo va verso i trent’anni e ha confermato di non poter lottare per il podio. La stessa impressione ha lasciato Cunego. Alla fine le frecce tricolori Ferrari e Guardini e la fuga di Rambo Rabottini a Pian dei Resinelli (per lui a Milano la maglia azzurra di miglior scalatore, da buon fuggitivo), sono stati i momenti più alti per il nostro ciclismo. Nel Giro delle sorprese, purtroppo questa non lo è. Paolo Tomaselli RYDER, L’ANTI ARMSTRONG VIENE DALLA MOUNTAIN BIKE — «L’ho visto prima della partenza. È cotto! Stavolta crolla!». E invece no, Hesjedal va veloce, anche se giù dalla bicicletta sembra che si regga a stento in piedi: Easy Ryder ha 31 anni, è altissimo, 188 centimetri, e magrissimo, 72 chili scarsi e con la sua aria ingobbita e stanca rende l’idea della fatica di una vittoria così risicata, ma anche di uno stile di vita. «Cosa farò dopo questo trionfo? Dipende da dove andrò: alle Hawaii, in Spagna o in Canada. Comunque credo che un po’ di spiaggia me la farò...». Cittadino del mondo, Ryder Hesjedal è un vincitore lontano dai luoghi comuni, non solo per la sua morfologia (che non gli ha impedito di esprimere in salita i valori di potenza più alti tra i big), ma anche per come si è avvicinato al grande ciclismo. Nonostante le discrete attitudini nel baseball, Ryder a 13 anni comunica al padre la sua decisione: «Voglio fare il corridore di mountain bike». Papà Leonard accompagna il figlio con tenda (canadese) e sacco a pelo per disputare le prime gare e 18 anni dopo fa la carrambata più bella al figlio, facendosi trovare in cima allo Stelvio, dove Ryder sabato ha difeso alla grande le sue possibilità di vittoria. «Ero venuto qui per fare bene — racconta Hesjedal — ma è stata la prima maglia rosa indossata a Rocca di Cambio ad accendere in me qualcosa. L’altro elemento chiave è stato il rispetto che ho sentito da parte degli altri favoriti. A Cortina, mercoledì, ho capito che nessuno era più forte di me in salita e ho cominciato davvero a crederci». Hesjedal corre per la Garmin, la squadra nata (come Slipstream) per fare un nuovo tipo di ciclismo, senza doping: Ryder era finito in una squadra americana minore (Healthnet), dopo le esperienze traumatiche con la Discovery Channel e la Phonak travolta dagli scandali. E se gli chiedi di Lance Armstrong, capisci che la sua visione del ciclismo non è esattamente la stessa del vecchio cowboy, che comunque esulta per la vittoria dell’ex compagno: «Congratulazioni a Ryder per la sua incredibile vittoria — scrive su twitter il vincitore di sette Tour —. Quando vince il migliore è sempre bello». «Non so se sia felice per me — aveva detto la maglia rosa poco prima con una smorfia eloquente —. Non siamo rimasti in contatto. E assieme abbiamo corso solo la Parigi-Camembert. Ma quando Lance entra in una stanza, la riempie tutta con la sua personalità. E da lui ho imparato a lottare come se non ci fosse un domani...». Bisnonno norvegese e nome da predestinato (rider vuol dire corridore, la differenza è in una y), Hesjedal è sposato con la biondissima Ashley («La donna della mia vita») che lo bacia subito dopo l’arrivo. Appassionato di surf, di basket (è amico del play Steve Nash), di rock (conosce Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers), in sella si trasforma e da bonaccione con le infradito ai piedi, diventa un altro: la maglia rosa sfrutta il suo passato nella mountain bike proprio come Cadel Evans, campione del mondo e vincitore dell’ultimo Tour. Gli avversari lo hanno sottovalutato, anche solo inconsciamente. Del resto fino a quest’anno Hesjedal aveva ottenuto solo buoni piazzamenti, nelle classiche e nelle grandi corse a tappe: al Tour del 2010 aveva fatto parlare di sé per il sesto posto finale e per il duello sul Tourmalet proprio con Rodriguez per il terzo posto nella tappa più prestigiosa, dietro ad Andy Schleck e Alberto Contador. Gioacchino non tirò un metro e a due passi dal traguardo scattò in faccia a Ryder, che poi il giorno dopo lo umiliò nella cronometro conclusiva. Ieri la scena si è ripetuta. È stato tutto più difficile. E decisamente più bello. p. tom.