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 2012  maggio 27 Domenica calendario

Bertone, il «marziano» in bilico fra la pensione e la riconferma - Molti osservatori lo danno «in uscita» entro il 2012

Bertone, il «marziano» in bilico fra la pensione e la riconferma - Molti osservatori lo danno «in uscita» entro il 2012. «Compirà 78 anni a inizio dicembre prossimo e poi se ne andrà» dicono. Ma den­tro il Vaticano c’è chi dice «no». «Tarcisio Bertone è saldamente in sella al governo della Chiesa al fianco del Papa e lì rimarrà anco­ra per molto tempo». Ma, al di là delle previsioni, la verità è una: Bertone, col suo stile così anti cu­riale e diacronico rispetto ai tem­pi e ai modi lenti e paludati della diplomazia vaticana, divide la cu­ria romana e le gerarchie rima­nendo un unicum nella recente storia della segreteria di stato vati­cana. È vero, anche Jean-Marie Villot, segretario di stato dal 1970, non aveva una formazione diplomati­ca. Ma a differenza di Bertone ven­ne scelto­da un Papa super diplo­matico come era Paolo VI, e non da un Pontefice scrittore e insie­me teologo come è Benedetto XVI. Insomma, alla carenza di di­mestichezza diplomatica di Villot suppliva la formazio­ne di Papa Montini. Mentre a quella di Bertone non può, per forza di cose, supplire Jose­ph Ratzinger. I dissidi di Bertone con la scuola di­plomati­ca ci so­no da quando egli è arrivato da Ge­nova a fianco del Papa. Suo fe­dele collabora­tore all’ex San­t’Uffizio, una volta tornato a Roma ha dovu­to non per colpa sua fronteggiare un fronte inter­no che fin dall’ini­zio, quasi a priori, l’ha avversato. Poi, certo, ci ha messo un po’ del suo, inizial­mente più con fuori programma bizzar­ri che con altro. Il 6 febbraio 2007, di buon mat­tino, stupì tutti, si dice anche il Pa­pa, alzando la cor­netta del telefono e chiamando in diretta la seguita trasmissione ra­diofonica «Pri­ma Pagina». E parlò di tutto, di quando giocava a calcio, del so­gno di avere una squadra del Vatica­no alle Olimpiadi di Pechino, di Franz Beckenbauer riavvicinatosi alla Chiesa grazie al Papa tedesco. Parole innocue, beninteso, ma atipiche per delle orecchie, quelle dei monsignori di curia, restie a uscite del genere. Quando il 22 giugno 2006 Bene­detto XVI ha chiesto a Bertone di prendere in mano la segreteria di stato l’ha fatto perché conosceva bene il cardinale salesiano e si fi­dava di lui. «Una rivoluzione co­pernicana », fu il commento che poche ore dopo la nomina rila­sciò lo stesso Bertone, stupito for­se anch’egli del fatto che per la pri­ma volta, a parte l’eccezione Vil­lot, un Papa puntasse su un non di­plomatico. «Ho scelto Bertone per le sue grandi doti e qualità» ha spiegato il Papa riferendosi an­che al passato meno prossimo di Bertone, quello della lunga espe­rienza in ambito universitario e della guida (dal 1991) della dioce­si di Vercelli interpretata con l’in­traprendenza figlia dello slancio missionario che contraddistin­gue il suo ordine d’appartenenza. E poi c’è quella storia che i salesia­ni amano ricordare per suffragare la decisione presa dal Papa di chia­mare al proprio fianco un salesia­no: Papa Pio IX, al secolo Giovan­ni Maria Mastai Ferretti, si fidava ciecamente di don Giovanni Bo­sco tanto che al santo chiedeva spesso consigli su quali sacerdoti portare all’episcopato e con quali incarichi. Da quando Bertone è in segrete­ria di s­tato vaticana molte cose so­no capitate. Il suo governo è stato attraversato da crisi importanti: dal caso Boffo al caso Richard Wil­liamson, il vescovo negazionista sulla Shoah. Ma al di là dei singoli episodi è la sua modalità d’azione così poco diplomatica ad aver cre­ato le principali ostilità. Senz’al­tro i suoi predecessori, Agostino Casaroli con la sua Ostpolitik vati­cana, e Angelo Sodano, agivano con tempi e modi diversi. Ma la ve­rità da non dimenticare è anche che il Papa lo ha sempre lasciato al proprio posto, anzi rinnovando­gli sempre la propria fiducia. Sarà ancora così nei prossimi mesi? L’ipotesi dell’avvicenda­mento col «diplomatico» e di po­che, pochissime parole Domini­que Mamberti resta in piedi, ma nessuno può dire quale soluzio­ne Benedetto XVI abbia in mente. Né se ne abbia in mente qualcu­na. Le ferite sono sintomo di lotta tra fazioni diverse, certo. Ma sono anche fisiologiche per una corte da sempre attraversata da venti contrari. Paolo VI li chiamava «fu­mo di Satana». «Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio» disse Paolo VI il 29 giugno 1972.