Giuliano Ferrara, il Giornale 27/5/2012, 27 maggio 2012
MA SE IL PAPA SI RITIRASSE...
Tutti sanno o dovrebbero sapere che Ratzinger è un mostro di intelligenza, una mente moderna e anticipatrice, un formidabile interprete della verità del mondo alla luce non solo della fede e dello spirito cristiano. È anche un uomo di profondo e severo equilibrio, coraggioso e prudente, e il suo servizio alla Chiesa di Roma si è innestato su un grande ciclo apostolico, di valore prezioso per il mondo di fuori, per noi laici, a partire dal risorgimento cristiano giovanpaolino. Detto questo, il Papa regnante è un professore tra le nuvole, detto nel senso migliore e più bello dell’espressione, e non fa nulla per nasconderlo. Il governo tecnico della Chiesa e della Curia romana non è il suo mestiere, è un impegno al quale si sarebbe volentieri sottratto e in qualche misura si sottrae, predicando la necessità di guidare una comunità universale di minoranza con la luce della fede e le risorse della ragione, prendendo le mosse dalle istruzioni di un suo maestro che è Bonaventura da Bagnoregio. Dunque?
Dunque è inutile meravigliarsi per come vanno le cose in Vaticano, per come è ferito lo spirito gerarchico della burocrazia curiale, per quante e quali sono le trappole, i trabocchetti, e anche le follie striscianti nei sotterranei della Santa Sede. Il vento scuote la Chiesa, ha detto il Papa confidando nella sua rocciosità. E ha ragione. Il vento è maligno, mette in discussione tutto, la strategia dei movimenti carismatici di fine Novecento è insabbiata, l’eccezione italiana di una Conferenza episcopale capace di risultati è sepolta con la stagione irripetibile di Camillo Ruini, la segreteria di Stato è impaniata in guerre e guerricciole sui quattrini, sullo stile di governo, sulle scelte di nomi e cariche, trionfano piccole e grandi ambizioni che si presentano, e non sarà la prima volta ma lo spettacolo è impressionante nel tempo della mediatizzazione universale in diretta, nella forma più velenosa e svergognata.
Di più: l’orizzonte in cui si iscrive oggi la vita apostolica a me sembra essere quello della reazione difensiva a una colpa percepita come dannazione di un’intera comunità di fede, quella legata allo scandalo dei peccati carnali dei preti, che in realtà è la trasformazione del peccato ordinario degli uomini,inparticolare in un’era di pansessualità e di rigetto attivo e luciferino, orgoglioso, della castità, in uno scandalo secolare dai contorni statistici sospetti, che nasce dentro la lotta protestante contro l’ordine stesso, sacramentale, della Chiesa cattolica.
Un’offensiva secolarista di proporzioni inaudite, incarognita, che è arrivata fino allo scoperchiamento delle tombe dei padri del Concilio alla ricerca di archivi della colpa, ha messo la Chiesa, per scelta anche lungimirante e comprensibile del suo massimo pastore, in una condizione di espiazione, di penitenza e di ricerca interiore che ha i suoi splendori ma richiederebbe una pace e un governo delle istituzioni che sotto la guida del segretario di Stato Bertone si sono rivelati impossibili. E sarebbero altrettanto controversi anche sotto altra guida istituzionale.
A ciascuno il suo sogno, quindi, visto che la realtà offre loschi racconti intorno a oscuri scontri di potere.
Il mio sogno è che il Papa si dimetta, prendendo atto della sua magnifica vecchiaia, di una straordinaria missione compiuta, della situazione di forza spirituale inconcussa del suo animo, ma insieme della necessità di un gesto di rinnovamento che sia centrato sul magistero e la decisione petrini, e che gli permetta di guidare una successione e un ricambio capaci, con l’assistenza del destino e dello spirito santo, di inaugurare un nuovo ciclo del cristianesimo moderno che faccia tesoro di quello oggi al tramonto.
Se la Chiesa è semper reformanda , ciò di cui ha oggi bisogno è un grande trauma papocentrico, una soluzione di continuità e un nuovo inizio.
Non per ballare il ballo del mondo, non per introdurre nella Chiesa, progetto grottesco, le procedure della democrazia secolare, ma per restituirsi un orizzonte, una presa sul futuro, una combattività spirituale e culturale che un nuovo pontificato, sotto l’onda di rottura di un grande ritiro, di un’abdicazione attiva e consapevole, può produrre.
Se c’è una cosa che è tipica di questo Papa è l’assenza di ogni paura, la mobilità mentale e la capacità di leggere il mondo alla luce del suo stesso magistero, ed è da qui che si può ripartire, da un atto quasi metastorico, da un eremo in cui Ratzinger scrive tranquillo il proprio percorso e i suoi libri, e un nuovo Papa organizza il riscatto della fede e della ragione cristiana nella tempesta di un secolo che della Chiesa intende con ogni mezzo sbarazzarsi.