Sergio Rizzo, Corriere della Sera 28/05/2012, 28 maggio 2012
SOFFOCATI DALLA SPESA: I 100 MILIARDI DA TAGLIARE
La scoperta che secondo il ministro Piero Giarda ci sono almeno 100 miliardi di spesa pubblica aggredibili subito è la conferma che c’è un sacco di grasso da eliminare. E questo non vale solo per le amministrazioni centrali ma anche per gli Enti locali e le Regioni, dove si annidano gli sperperi più copiosi. Non è una novità.
Nel loro libro «La Voragine», Marcello Degni e Paolo De Ioanna ricordano che il debito pubblico di questo Paese è passato fra il 1980 e il 1990 dal 56,1 a quasi il 100 per cento del Prodotto interno lordo. Non a caso sono gli anni in cui il «regionalismo» dispiegava tutti i propri effetti, a cominciare da una spesa sanitaria letteralmente esplosa, senza che ci fosse un apprezzabile incremento nella qualità del servizio. Anzi. Mentre l’Italia delle Regioni diventava sempre più matura, i costi delle autonomie andavano in orbita e quelli dello Stato centrale continuavano a crescere con una progressione inarrestabile. Tanto che oggi spendiamo per mantenere le pubbliche amministrazioni il 18,5 per cento del Pil: sei punti più dello Stato regionalista per eccellenza, cioè la Germania. Se soltanto allineassimo i nostri costi «amministrativi» a quelli tedeschi, potremmo risparmiare 40-50 miliardi di euro l’anno. Oltre metà di quanto sborsiamo per il servizio del debito.
Gli autori di quel volume concordano nel ritenere che l’esplosione del debito pubblico si sarebbe potuta contenere se la classe dirigente italiana, dopo il «divorzio» fra il Tesoro e la Banca d’Italia, avesse compreso che era necessario mettere sotto controllo le uscite correnti. Questo non si è purtroppo verificato. Anzi. Lo Stato centrale, ma ancor più le amministrazioni periferiche, hanno continuato a usare i soldi di tutti «come fossero i soldi di nessuno», per usare una metafora cui spesso faceva ricorso Tommaso Padoa-Schioppa. Abbiamo così dissipato tutti i benefici dell’ingresso nell’euro, a cominciare dai risparmi mostruosi che la moneta unica ci ha garantito sugli interessi del debito.
Oggi che la spesa pubblica ha superato il 50 per cento del Pil siamo dunque costretti ad agire, e in fretta. Però lo facciamo controvoglia e fra mille difficoltà, causa le rigidità dei bilanci pubblici: per cui sprecare quattrini è facilissimo mentre tagliare gli sprechi è difficilissimo. Soprattutto, agiamo in ritardo. Basterebbe ricordare che la spending review, formula che ora è diventato sinonimo di rigore e lotta alla spesa improduttiva, era stata avviata già cinque anni fa. Prima di finire nel dimenticatoio, sacrificata sull’altare di un federalismo fiscale mai realizzato. Diamo atto al governo di Mario Monti di averla resuscitata. Sperando però che abbia la forza di andare fino in fondo, senza fare come il medico pietoso. Perché alla fine il malato muore, e questa volta davvero.
Sergio Rizzo