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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

FONDAZIONI, 50 MILIARDI DI PATRIMONIO. E UNA MISSIONE DA RIPENSARE

Le fondazioni bancarie, architrave dell’industria creditizia italiana, sono prossime a una svolta. È in gioco il destino di un patrimonio più o meno di 50 miliardi. Nel congresso dell’Acri, che si apre il 7 giugno a Palermo con la relazione di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo e dell’associazione di categoria, verrà presentata la Carta delle fondazioni, un ambizioso progetto di autoriforma. Ma su quest’assise cruciale peserà come un macigno il rapporto di Mediobanca Securities, fresco di stampa, sui conti delle sei fondazioni principali: Cariplo, Sanpaolo Torino, Caritorino, Caripadova, Cariverona, Monte dei Paschi. La tesi di fondo della ricerca, 151 pagine, è che la Grande Crisi ha reso soffocante il cordone ombelicale che lega le fondazioni alle casse di risparmio e agli istituti di diritto pubblico d’origine. Il modello dei primi vent’anni si sarebbe consumato.
Gli autori, Angelo Guglielmi e Andrea Filtri, non si negano la simulazione provocatoria: se i dividendi provenienti dalle banche d’origine e le erogazioni istituzionali al territorio rimarranno stabili sui livelli del 2010, la Fondazione Cariverona esaurirà il patrimonio nel 2038, la Fondazione Mps nel 2041, la Cariplo nel 2054, la Compagnia di Sanpaolo nel 2067, la Caritorino nel 2088 e la Cariparo nel 2100. Se le sei si aggregassero da qui al 2030 perderebbero un terzo del loro valore patrimoniale e andrebbero a zero nel 2061. Ma la media delle previsioni degli analisti è un pò più ottimista e così, nel 2030, una certa crescita dei dividendi consentirebbe la conservazione dello status quo.
In realtà, se è vero che molte fondazioni stanno erogando ai territori più di quanto abbiano reso i loro investimenti, è altrettanto vero che in questi anni di vacche magre stanno pescando nella riserva obbligatoria accumulata proprio a questo scopo negli anni delle vacche grasse. Il rischio vero, dunque, non è tanto quello di dilapidare l’intero patrimonio quanto la riduzione, anche drastica, delle erogazioni per ricostruire l’equilibrio tra entrate e uscite richiesto dalla legge. Ma se le fondazioni non riuscissero più a essere generose che senso avrebbero?
La ricerca propone una fotografia controcorrente dei bilanci delle fondazioni, lontani dalla realtà e poco confrontabili tra loro, perché in genere le fondazioni non attualizzano gli attivi ai valori di mercato. Mediobanca li ha riclassificati per renderli omogenei. Nel periodo 2002-2010, il più lungo possibile a dati uniformi, risulta che tre fondazioni (Caritorino, Cariplo e Monte dei Paschi) hanno avuto rendimenti analoghi al costo del capitale (ma allora avrebbero fatto meglio a prendersi dei Btp, che hanno un rischio inferiore); due fondazioni (Sanpaolo e Cariverona) ci hanno perso; una (Cariparo) ha avuto ragione.
A tradire sono state le banche conferitarie. Fino a prima della Grande Crisi avevano dato grandi soddisfazioni. Ma poi hanno distrutto 7 miliardi di valore compensato solo per un quarto dagli altri investimenti. Se avessero seguito l’esempio di grandi fondazioni estere che hanno operato semplicemente sui mercati finanziari mollando le aziende d’origine (Mediobanca Securities cita le americane Harvard, Yale, Wellcome e la danese Nova Nordisk), le sei fondazioni avrebbero guadagnato 20 miliardi in più.
Va detto che l’universo delle fondazioni è vastissimo. La Fondazione Bosch, per esempio, è padrona della Bosch che ha 300 mila dipendenti, è leader mondiale della componentistica auto, assume in Germania e guadagna bene. Ma il punto resta. La Banca d’Italia e il Tesoro hanno usato la vocazione bancaria delle fondazioni per dare un ancoraggio nazionale e privato alle aziende di credito travolte dal crac Lehman. Ma adesso, anche in seguito agli aumenti di capitale degli ultimi tre anni, le fondazioni risultano aver investito più o meno la metà del patrimonio nella banca d’origine, con le eccezioni della Cariplo, assai diversificata rispetto a Intesa Sanpaolo, e della fondazione senese, all’opposto congelata al 90% nel Monte.
E allora ci si chiede se abbia ancora senso, guardando al futuro, restare ferme quando le banche d’origine, ormai gigantesche e internazionali, promettono rendimenti comunque inferiori alla media.
Mediobanca suggerisce tre opzioni: a) sostituire le azioni bancarie con i Btp, rischio minimo e rendimento un pò migliore; b) entrare nelle utilities, che promettono rendimenti ancora un pò più alti con rischi di poco superiori; c) scommettere sui mercati finanziari globali come le quattro consorelle estere citate. A tal proposito Mediobanca cita i buoni risultati dalla Fondazione Roma. Segno che le norme consentono l’autoriforma senza rivoluzioni. E che i gestori dei quattrini altrui, Mediobanca intesta, sono pronti per il nuovo corso delle fondazioni. Se ci sarà.
Massimo Mucchetti