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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

UNA STRADA PER EVITARE LA TRAGEDIA

Il diplomatico veterano Brian Urquhart, a lungo sottosegretario alle Nazioni Unite, ripeteva che troppo spesso l’opinione pubblica guarda alla politica internazionale cercando «Una Buona soluzione da opporre alla Cattiva. Purtroppo sul campo i diplomatici lavorano tra una Cattiva soluzione e una Pessima, cercando di scampare alla Tragica».

La saggezza amara di Urquhart è d’attualità in Siria, davanti alla strage di bambini a Hula, nei pressi di Homs. Il piano di pace rabberciato dall’ex segretario generale Onu Kofi Annan, se mai ha avuto qualche credibilità, è in pezzi. Le speranze che il regime alawita di Bashar al Assad non bari nel negoziato si sono confermate per quel che sempre sono state, ingenuità o maliziose furbizie. I ribelli non riescono a rasserenare i settori della popolazione siriana a loro ostili, compresi i cristiani. Il mondo sta a guardare i filmati rudimentali che la rete diffonde, il papà con il figlio inerte in braccio, violenza contro l’innocenza.
Le agenzie registrano dichiarazioni dei potenti, a Washington, Londra e Parigi, roboanti e senza effetto. Jihad Makdissi, un portavoce del regime di Damasco, getta la responsabilità sull’opposizione, per confondere, come facevano gli sgherri di Milosevic ai tempi dei bombardamenti di Sarajevo.

L’impotenza domina. Il Cremlino del neo, ed eterno, presidente Putin blocca con abilità ogni tentativo di pacificazione, pur di non perdere un fedele cliente russo nel Mediterraneo, una base per la flotta e i servizi segreti in Medio Oriente, un ricco mercato di armi. I morti bambini svelano lo scarso peso strategico dell’onnipotente web, quando sferragliano i carri armati.

Tocca quindi al presidente Barack Obama, come ai suoi predecessori, Bush padre nella prima Guerra nel Golfo e Clinton nella Guerra nei Balcani, provare a costruire una coalizione e una soluzione: sapendo che si tratta di scegliere la Cattiva sulla Pessima, mentre la Tragica incombe. Obama è in aspra campagna presidenziale, i sondaggi lo danno poco avanti Mitt Romney, con troppi indecisi, e già il rivale repubblicano lo incalza, accusandolo di inerzia. Fosse alla Casa Bianca, Romney avrebbe il duro teorema di Urquhart sul tavolo, dall’opposizione può far chiasso.

Obama gioca allora la carta Yemen, dove il presidente Ali Abdullah Saleh ha accettato di passare la mano al vicepresidente Abdu Rabbu Masour Hadi, dopo mesi di violente repressioni. Malgrado Hadi abbia affrontato un primo turno elettorale, l’opposizione sa che infine passerà la mano. Si punta quindi a riprodurre in Siria questo processo, con l’addio di Assad, una parte del regime che rimane in sella a garantire la popolazione ostile ai ribelli, partecipi del passaggio graduale di poteri. Strada ardua. Obama ne ha parlato all’enigmatico alter ego di Putin, Medvedev, che non s’è detto contrario - secondo fonti della Casa Bianca -, ma potrebbe trattarsi dell’ennesimo prender tempo del Cremlino a favore di Assad.

L’Onu ha sbagliato a atteggiarsi a super partes tra dittatura e ribelli, la Lega Araba conferma la storica ambiguità, in Siria il Tragico prende il sopravvento sul Cattivo. Kofi Annan, non brillante segretario generale Onu dai controversi business, ha permesso ad Assad di ostinarsi nella trattativa, chiazzata da aggressioni e stragi. I caduti di Hula sono 90, i bambini 32, la guerra semina 10.000 morti. Ora si temono rappresaglie dei ribelli sunniti sui vicini villaggi alawiti, nella faida ancestrale che li oppone. Il governo Assad nega le colpe dell’esercito, malgrado le munizioni e le schegge di artiglieria ritrovate sul campo lo inchiodino: le atrocità peggiori vengono delegate, per confondere gli osservatori internazionali, ai miliziani shabiha, truppe irregolari e feroci.

Annan torna oggi a Damasco, ma i leader dell’opposizione sono ormai disperati sul suo «piano». Da Parigi il ministro degli Esteri socialista, Laurent Fabius, alza il tono, la Francia sembra decisa a dar man forte a Obama in giorni difficili. Lo stop alla guerra civile nell’ex Jugoslavia, che aveva diviso l’impotente Unione Europea, diede al giovane presidente Clinton occasione di rinnovare l’egemonia americana, con un intervento cui infine presero parte gli europei, con un ruolo strategico per l’Italia. Barack Obama è allo stesso, difficile, passo. Sarebbe nobile che i repubblicani si ricordassero che, nelle emergenze della Guerra Fredda, la politica estera era «National interest», interesse comune della nazione. Nell’epoca del web populista, di Occupy Wall Street, Tea Party e talk show arrabbiati in tv, non c’è da sperare in questi sentimenti da statisti austeri, come Harriman o Acheson.

L’Europa di Merkel, Cameron e Hollande - ipnotizzata dalla crisi euro - potrebbe tornare partner forte di una Washington che il Pacifico distrae da Atlantico e Mediterraneo. Il governo di Mario Monti, che al G8 ha condotto con autorevolezza la discussione sull’economia, può mediare con altrettanta sagacia. Le chiacchiere stanno a zero quando i bambini muoiono. Dibattiti sul declino americano, egemonia cinese, Brics e piani di pace strampalati, vanno bene per tesi di laurea o litigi su twitter, ma non fermano il sangue. La Storia assegna a Barack Obama, oggi, il compito di scongiurare la Tragedia, fugare la soluzione Pessima e dare ai siriani una soluzione «Cattiva» che non sia solo una maschera come il piano Onu. Gli elettori americani lo giudicheranno anche su questo, con equanimità. Bruxelles e Roma conteranno, se agiscono con lungimiranza. Nei Balcani l’operazione è riuscita, chiamatela ora «Soluzione Yemen», o se preferite «Yemenskii Variant» come fanno i russi al Cremlino. Basta che Assad, figlio dell’uomo che sterminò 40.000 siriani a Hama, lasci Damasco, che l’antico popolo di Siria si avvii verso una pacifica transizione, imponendo anche ai ribelli di non indulgere in faide contro i loro avversari. Un’esile, cattiva, strada ma l’alternativa è cambiare canale, rassegnati, quando al telegiornale appariranno i filmati web con i bambini fatti a pezzi dalle bombe alawite.