TONIA MASTROBUONI, Tuttolibri-La Stampa 26/5/2012, 26 maggio 2012
“Contro la povertà cambiate occhiali” - Dimenticate le star hollywoodiane in visita nei villaggi subsahariani stremati dalle carestie
“Contro la povertà cambiate occhiali” - Dimenticate le star hollywoodiane in visita nei villaggi subsahariani stremati dalle carestie. Dimenticate i concertoni per l’Africa degli Anni 80. Soprattutto, dimenticate gli «obiettivi del millennio» e le cifre a nove zeri sugli affamati. Se volete aiutare i poveri, se volete disincagliarvi dalle ideologie che imperano in quest’ambito, mettete anche tra parentesi i guru à la Jeffrey Sachs o William Easterly e confrontatevi con una mente rivoluzionaria. Esther Duflo a 29 anni insegnava al Mit di Boston e ha già vinto la prestigiosa Clark Medal, quella che in genere predestina al Nobel. E ha deciso di impostare la sua folgorante carriera su un principio semplice, ricordato nel libro scritto a quattro mani con Abhijt V. Banerjee, L’economia dei poveri , appena uscito per Feltrinelli. Classe 1972, è considerata uno dei geni dell’economia della sua generazione anche perché ha seguito un principio ferreo: «uscire dall’ufficio e osservare il mondo con maggiore attenzione». Così ha costretto a rivedere le politiche per lo sviluppo classiche che considerano i poveri né più né meno che una sorta di gigantesco formicaio da osservare col binocolo. Perché è così dannoso guardare i poveri con le lenti dell’ideologia? «Noi parliamo di tre “i”: ideologia, ignoranza, inerzia. Il problema non è un’ideologia in particolare, ma quando attraverso quelle lenti osservi il mondo e perdi l’opportunità di capire cosa succede davvero». Sachs parla di trappola di povertà, cioè del fatto che i poveri hanno bisogno di una spinta iniziale per uscire dalla condizione di miseria; Easterly sostiene che la trappola non esiste e che bisogna liberare i mercati e favorire incentivi giusti. «Per noi dell’Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab le trappole della povertà esistono ma non ovunque. La priorità è capire dove sono, perché inchiodano le persone alla loro condizione di miseria. Ma tante presunte trappole noi non le vediamo». Infatti una vostra tesi forte è che non esiste un miliardo di affamati. «È che noi in Occidente facciamo sempre l’equazione per cui chi è povero non ha abbastanza da mangiare. Io stessa rimasi molto impressionata dal “World Live Aid” degli Anni 80 a favore dell’Africa. Tutti pensiamo che la povertà sia quella, i bimbi africani denutriti. Invece quelle sono eccezioni, quella era l’Etiopia nel bel mezzo di una guerra. Non è vero che un miliardo di persone vive così. Certo, possono non avere abbastanza vitamine o ferro, ma non muoiono di fame. Tanto è vero che se gli si dà l’occasione di mangiare di più, di spendere più soldi, non comprano più calorie, ma cibi più appetitosi, magari gamberetti o carne o dolci. Ed è molto importante sapere queste cose perché è il grande equivoco delle politiche di sviluppo. Il problema è di qualità, non di quantità. Sarebbe meglio comprare merende per i bambini a scuola o alimenti per le donne incinta, invece di vagonate di sacchi di cereali». Nel libro raccontate della fatica di convincere i poveri a fare prevenzione dalla malaria con le zanzariere o dalla dissenteria con il Chlorin per disinfettare l’acqua. Perché è così difficile? «Devo ammettere che è qualcosa che irrita e viene spontaneo chiedersi “ma che ci vuole a mettere una pasticca di Chlorin nell’acqua?”. La verità è che se fossimo nei loro panni ci comporteremmo nello stesso modo. Ci sono talmente tante cose che un povero deve fare ogni giorno, che noi neanche ci immaginiamo perché per noi è normale non dover vivere sotto zanzariere, o non dover mettere il Chlorin ovunque. I poveri fanno una vita complicata; noi siamo abituati a una vita in cui c’è sempre qualcuno che pensa a noi». Nel libro affrontate un altro pAbhijit V. Banerjee, Esther Duflo pL’ ECONOMIA DEI POVERI. CAPIRE LA VERA NATURA DELLA POVERTÀ PER COMBATTERLA pFeltrinelli, pp. 315, 35 pLa francese Duflo e l’indiano Banerjee, entrambi professori di economia al Mit, hanno fondato un organismo per l’aiuto ai poveri, l’Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab tema molto discusso, quello del microcredito. Sbaglio o lo ritenete utile ma non rivoluzionario? «È importante dire che è utile e funziona bene. È un grande successo, aiuta 200 milioni di persone. Ovvio, potrebbe funzionare meglio. Il tasso di restituzione deve essere al 100% - è un limite enorme. Chi dà i prestiti ha una mentalità molto conservatrice, scoraggia progetti rischiosi. Quindi non penso che il microcredito potrà essere un motore di sviluppo forte. Ma è vero anche che le aspettative erano talmente esagerate! Non è la pietra filosofale, ma è un aiuto importante per i poveri». Un’altro pregio del libro è aver dimostrato i limiti delle politiche per il controllo delle nascite. «Le donne sanno benissimo come fare prevenzione, anche senza moderni contraccettivi, sanno controllare la fertilità e sanno fare un controllo delle nascite. Quando non lo fanno, quando hanno molti bambini, è perché ne hanno bisogno. Per convenzione sociale o perché i figli sono comunque un’assicurazione sulla vecchiaia. Le politiche per pianificare famiglie devono tener conto di questi fattori. Le campagne per i preservativi non fanno molto effetto, purtroppo. Meglio, per aiutare le donne, garantire un welfare per gli anziani».