GIANLUCA NICOLETTI, La Stampa 26/5/2012, 26 maggio 2012
Vizi privati, sempre più pubblici - Non si torna indietro, Facebook è sopra ogni altra sua funzione una scuola di libertinaggio
Vizi privati, sempre più pubblici - Non si torna indietro, Facebook è sopra ogni altra sua funzione una scuola di libertinaggio. Nessun patto o giuramento o contratto riuscirà a mettere in crisi il suo rappresentare il grande gioco della roulette emotiva. L’umanità ha scoperto quanto sia facile allacciare passioni attraverso le galeotte protesi elettroniche e prima o poi doveva accadere che questo appassionato training globale, in qualche Paese, iniziasse a compromettere la solidità delle unioni matrimoniali con tutta questa euforica ondata di tampinamenti, corteggiamenti, sussidi alla mestizia quotidiana, esplosivi esperimenti di plurima pratica amorosa. Facebook ci sta tutto nella veste di gran ruffiano e potenziatore di ogni più nascosto pensiero libertino. Il neo sposo Zuckerberg, di sicuro, si meriterà la fama per avere messo sul mercato il più formidabile strumento rovina-famiglie che sia mai potuto esistere. L’obiezione immediata è che la perdizione colga chi a lei si abbandona, ma è innegabile che la più inequivocabile funzione del social network sia proprio quella di fluidificatore straordinario di ogni cedevolezza alla tentazione fedifraga. Non a caso Twitter, il maggiore antagonista di Facebook, forse lo supera in sintesi e per immediatezza di diffusione, ma è uno strumento soprattutto politico, un esaltatore di lussuria ideologica e quindi medium eunuco, in quanto deprivato di strumenti seduttivi. La vetrina di Facebook, al contrario, ha da sempre messo a disposizione immediata dei suoi utenti tutta una gamma di marchingegni atti alla costruzione di realtà illusorie, una sorta di potenziatori di fascino capaci di condizionare il flusso delle connessioni con un clima piacevolmente allusivo. La più recente versione grafica del diario, con la grande foto di copertina, rende ancora più evidente la funzione della creatura di Zuckerberg di essere «catalogo del proprio splendore quotidiano». Tra tutti quelli che ogni mattina vediamo aprire la giornata con la loro massima di vita, con la loro ultima foto strategicamente assorta, con l’ immagine tenera di un cucciolotto da coccolare, possiamo scommettere che nella maggior parte dei casi sono messaggi mirati; strali digitali diretti come frecce di Cupido verso qualcuno che sa, che immagina, che condivide un livello più esclusivo di contatto che un innocente «mi piace» sulla bacheca. Non è prevedibile se poi tutto questo brulicare di attese, inseguimenti, passioni e sbocconcellamenti onirici riuscirà a generare una mutazione radicale nelle strutture base della società. Ne parla Jacques Attali quando profetizza «una nuova tipologia di relazioni» che lui chiama Netloving, in analogia con networking. Il poliamore, la polifamiglia o la polifedeltà, sono tutte categorie immaginate dall’economista francese come esiti possibili di un’ umanità destinata a trasportare nella prassi quotidiana quello che ancora è mero esercizio di trasgressione. In attesa dell’ufficializzazione condivisa di nuove forme giuridiche che regolino questo possibile scenario, il dato più evidente è la progressiva rivelazione pubblica di quel che cova sotto i display azzurrini della barra di Facebook. Non è certo la maniera migliore per osservare un fenomeno sociale, quella di vedersene spiattellato il lato più triste nelle carte dei tribunali. È anche molto intuibile quanto sia facile che nel social network restino impigliati frammenti imbarazzanti di connessioni, non sempre giustificabili in un tradizionale rapporto di coppia, nelle continue contaminazioni con centinaia di applicazioni per smartphone e tablet che comunque in qualche maniera condividono informazioni con Facebook, quindi moltiplicano di conseguenza le tracce di ogni uscita dal sentiero della virtù coniugale.