CARLO RIMINI, La Stampa 26/5/2012, 26 maggio 2012
Quando gli amori finiscono in Rete - Il fatto che pochi giorni fa Mark Zuckerberg si sia sposato ha portato,perunadiquelleassociazionifra parole e idee che animano la Rete, alla diffusione su Twitter di una notizia: gli atti processuali di un terzo delle cause di divorzio discusse nel Regno Unito menzionano la parola Facebook
Quando gli amori finiscono in Rete - Il fatto che pochi giorni fa Mark Zuckerberg si sia sposato ha portato,perunadiquelleassociazionifra parole e idee che animano la Rete, alla diffusione su Twitter di una notizia: gli atti processuali di un terzo delle cause di divorzio discusse nel Regno Unito menzionano la parola Facebook. La ricerca è stata pubblicata dal sito web «Divorce Online» ed è stata realizzata sulla base di un campione di 5000 cause. L’indagine inglese è stata ripresa da un blog del «Wall Street Journal» e ha dato origine a un intenso dibattito: è vero che oggi Facebook è una delle principali cause di divorzio? L’80% degli iscritti all’associazione degli avvocati di diritto di famiglia americani risponde che certamente Facebook e tutti gli altri strumenti di comunicazione nati sulla rete hanno un ruolo importantissimo nelle cause di divorzio. La giurisprudenza nordamericana non ha tardato ad adeguarsi: ha affermato che un giudice può ordinare a un coniuge di fornire in giudizio la password di accesso alla propria pagina Facebook. E in Italia? Nessun giudice ha mai ordinato a una persona di rivelare la sua password. Tuttavia, anche da noi, le relazioni nate su Internet hanno un ruolo ormai rilevante nelle cause di separazione. I social network creano nuove tentazioni e, soprattutto, rendono più facile realizzarle. Su Facebook si incontrano nuovi amici e nuove amiche, si riallacciano antichi legami che la vita aveva sciolto. Leggendo gli atti dei giudizi di separazione e divorzio si ricava l’impressione che allacciare una relazione con la mediazione iniziale di un computer sia più facile e riduca i sensi di colpa. I fascicoli depositati in tribunale si riempiono di messaggi, sempre più intensi e appassionati, in un’interazione che rimane a lungo virtuale. Dai vari contributi al dibattito, anche questo virtuale nato sul blog del «Wall Street Journal», emerge una conclusione ragionevole e sensata: Facebook offre nuove opportunità di relazioni facendo sentire i protagonisti sicuri e innocenti. E scrivere su una tastiera è più facile e meno impegnativo che uscire per un appuntamento galante. La sensazione di sicurezza di chi allaccia un legame su Internet è una questione rilevante. Chi intrattiene una relazione utilizzando la Rete, è convinto (o convinta) di non poter essere scoperto: le carte processuali spesso dimostrano che ha torto. Le nuove tecnologie lasciano tracce ovunque, le password vengono spesso indovinate, i file compromettenti vengono malamente cancellati. Non solo: i nuovi programmi di sincronizzazione moltiplicano all’infinito prove definitive. Facebook e i nuovi mezzi di comunicazione elettronica non sono dunque solo causa di nuove infedeltà, ma sono anche, e forse soprattutto, un nuovo strumento di prova; permettono di scoprire infedeltà che un tempo rimanevano nascoste, permettono di scoprire comportamenti e stili di vita che possono incidere sulle decisioni relative all’affidamento dei figli. Infine Facebook è oggi all’origine di nuovi conflitti dopo la crisi del matrimonio. Frequente è la lite fra i genitori separati in relazione all’opportunità di concedere ai figli ancora piccoli l’apertura di una pagina a loro nome. Oppure la lite fra i genitori originata dal fatto che uno di loro ha postato sulla sua pagina la fotografia di un bambino. In Italia non siamo in grado di contare quale percentuale di cause di separazione o divorzio contengono negli atti la parola Facebook: per farlo la nostra giustizia dovrebbe attrezzarsi per imporre il deposito degli atti processuali in formato elettronico. Ma questo è un altro problema.