Jennifer Meletti, La Repubblica, 29 maggio 2012, 29 maggio 2012
«Tu vai a cercare i tuoi amanti, tu devi restare qui a casa dove mia madre ti può sorvegliare ogni minuto
«Tu vai a cercare i tuoi amanti, tu devi restare qui a casa dove mia madre ti può sorvegliare ogni minuto. E anche a casa non vestirti come le altre, tu sei una moglie indiana, non un´italiana». Kaur Balwinder è stata trovata nel pomeriggio di domenica, nell´acqua del Po sotto Piacenza. Era stata uccisa da suo marito, Kalbir Singh, 36 anni, la mattina di lunedì 14 maggio. L´uomo era andato subito dai carabinieri di Fiorenzuola. «Mia moglie ha un amante, ve l´avevo detto. E adesso è scappata con lui». Non si somigliavano, le vite di Kaur e Kalbir. Lei era arrivata a Firenze quando aveva 8 anni. Era andata alle elementari e dopo la terza media aveva frequentato la scuola alberghiera. Aveva l´accento toscano, usciva con le amiche, quando andava in pizzeria al sabato sera si sentiva una ragazza come le altre. Kalbir è arrivato in Italia solo sei anni fa, per fare il mungitore nelle campagne di Cremona. L´incontro non è avvenuto a caso. Matrimonio combinato e celebrato quando l´uomo era ancora a Cremona e lei viveva in famiglia a Firenze. «Sono arrivati qui sei anni fa – racconta Maria Gruppi Testa, 87 anni, dell´azienda agricola vicino a Fiorenzuola – e nei primi tempi tutto sembrava andare bene. Lui faceva il bovaro, lei ha avuto subito il bimbo». È bella, la campagna piena di mais e pomodori. Kaur sognava un´altra vita ma ha cercato di adattarsi. «Per me – racconta la signora – era come una nipote. Anche il bambino era nato qui. Veniva in casa mia quando voleva sfogarsi, quando non ne poteva più». Kaur è arrivata nel salotto dei suoi “padroni” anche tre giorni prima di sparire. «Piangeva. Mi ha detto che suo marito la picchiava ogni giorno. Noi sentivamo ogni tanto delle grida ma sembravano liti normali. Ma negli ultimi giorni c´era un inferno. La sua vita – mi ha detto – è cambiata due anni fa, quando dall´India è arrivata la madre di Kalbir. Fino ad allora la ragazza usciva per piccoli lavori domestici. Aveva la patente e un´auto. Un anno fa il marito gliel´ha venduta e negli ultimi mesi lei non poteva usare nemmeno la bicicletta». Lo stipendio, 1.700 euro al mese, nei primi anni è quasi una fortuna. «La casa è gratis, anche l´acqua. Pagano solo la luce elettrica. Abbiamo regalato noi i letti e la cucina. Ma Kalbir si è messo a spendere tutti i soldi per fare viaggiare sua madre dall´India a qui, per pagare i biglietti anche al padre. E ha dato la colpa della mancanza di soldi alla moglie. “Mi picchia – ci ha raccontato la ragazza – perché dice che spendo troppo e invece non spendo nulla. La spesa la fa lui, porta a casa tutte le cose che piacciono a sua madre, tutto il giorno seduta ad aspettare gli omaggi del figlio. E adesso dice che vuole il divorzio. Mi manda via perché ha saputo che sono incinta di tre mesi e lui dice che questo bambino non è suo. Dice che sa chi è il mio amante, un uomo che ha un´azienda dove l´anno scorso sono andata a raccogliere i pomodori. Ma non è vero nulla, ve lo giuro. Voi mi vedete: sono sempre qui e a casa non arriva nessuno. Potete darmi un pezzo di pane per mio figlio? Mio marito non è tornato e in casa non ho nulla». Fanno impressione, questi racconti, nell´Emilia dove le donne hanno conquistato le otto ore e la forza di decidere la propria vita. «Ho detto a Kalbir – raccontava la ragazza poco prima di sparire – che con sua madre io non posso più vivere. Lui mi detto che se non rispetto sua mamma non rispetto né lui né la tradizione». «Lo sapete che, visto che non arriva a fine mese, lui vi ruba ogni notte una tanica di gasolio e una di latte, che poi va a vendere a un suo parente? Gli ho fatto le foto con il mio cellulare. Ecco chi è l´uomo che mi caccia da casa. Di nascosto, sono stata anche da un avvocato. Io non accetto di essere ripudiata, e soprattutto non voglio perdere il mio bambino». Il telefonino e la ragazza sono scomparsi alle 9 del mattino del 14 maggio. «Mio nipote ha visto Kalbir che faceva retromarcia con la sua Ford, con il portello posteriore aperto, fino all´uscio di casa. Ha capito che doveva caricare qualcosa di pesante. Era appena rientrato dopo avere portato il figlio all´asilo». Nessuno ha più visto la ragazza che ormai usciva solo per andare al tempio Sikh, «con qualche velo indiano», assieme a marito e suocera. Su un cespuglio di rose bianche, davanti alla casa, ci sono ancora i segni delle ruote dell´auto in retromarcia. Il magistrato, Antonio Colonna, dice che «gli abiti occidentali non c´entrano». L´uomo ha confessato il delitto: «Quando le ho detto che non ero il padre del nuovo bimbo, lei mi ha risposto: “Che t´importa, tanto avrà il tuo nome”. E si è stretta un foulard al collo. “Mi ammazzo così daranno la colpa a te”, ha continuato. E allora l´ho strangolata io. L´ho portata al fiume Po, avvolta in un lenzuolo bianco. Ho pregato lungamente per lei». Forse si è inventato molte cose, per apparire un difensore della sua religione. E non solo l´assassino di una ragazza che – dice nonna Maria Testi – «voleva essere come le nostre donne: libera».