Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 27 Domenica calendario

LA FINE MISTERIOSA DI LENIN E LA MANO OCCULTA DI STALIN

Ho letto un articolo sul New York Times che parla di recenti indagini medico-scientifiche sulla morte di Lenin (sulla scia di altre indagini dedicate alla morte di personaggi illustri). Sembra emergere una patologia familiare di Lenin ma anche un’ipotesi di avvelenamento, forse per volere dello stesso Lenin, a opera di un attivissimo Stalin, pronto a prendere il potere a ogni costo. Che cosa dice la storiografia più accreditata sull’argomento?
Mario Strada
roadmap@katamail.com
Caro Strada, qualche notizia per i lettori meno informati, anzitutto sulla natura delle recenti indagini citate nella sua lettera. Nelle facoltà di medicina delle università degli Stati Uniti si tengono conferenze clinico-patologiche in cui un docente esamina una morte misteriosa, o non sufficientemente documentata, e cerca d’individuarne le cause ricostruendo per quanto possibile il profilo sanitario della persona defunta. Nella università del Maryland questa consuetudine didattica è diventata un evento annuale, dedicato alla morte di un personaggio storico, e una sorta di gara in cui il conferenziere deve essere al tempo stesso sapiente, sagace e brillante.
Le morti discusse negli scorsi anni sono quelle di Florence Nightingale, capostipite delle moderne infermiere, Alessandro il Grande, Mozart e Edgar Allan Poe, geniale creatore del «noir» letterario americano. L’ultima è quella di Vladimir Ilic Uljanov, meglio noto come Lenin, leader del comunismo bolscevico e fondatore dello Stato sovietico, scomparso alle 18.50 del 21 gennaio 1924 nel suo appartamento del Cremlino. Il conferenziere era Harry Vinters, professore di neurologia e neuropatologia, ma accanto a lui, in questa occasione, vi era anche uno storico russo dell’università di Pietroburgo: Lev Lurie. Con l’aiuto delle loro diverse discipline i due studiosi hanno disegnato una sorta di albero genealogico-sanitario della intera famiglia Uljanov e individuato così alcune caratteristiche ereditarie. Lenin soffriva certamente di parecchi disturbi cardiovascolari e lo stato delle sue arterie, quando fu fatta l’autopsia, si rivelò disastroso. Non è sorprendente, quindi, che la causa immediata della morte sia stata quello che viene genericamente definito un «colpo». È comunque certo che le sue condizioni di salute erano state aggravate da un attentato, sei anni prima, quando due pallottole, sparate dalla pistola di una socialista rivoluzionaria, Fanja Kaplan, lo avevano colpito a una spalla e alla gola. Negli ultimi due anni della sua vita ebbe almeno due gravi crisi e lasciò intendere più volte che la sua vita, in quelle condizioni, era diventata insopportabile.
Tutto chiaro, dunque? Secondo il dottor Vinters, i dubbi sulle vere cause dalla morte sarebbero giustificati dai due attacchi apoplettici che colpirono Lenin nelle ore immediatamente precedenti la morte. Molto rari nei casi di un paziente che soffre di patologie cardio-vascolari, questi attacchi sarebbero invece frequenti nei casi di avvelenamento. Fa la sua apparizione a questo punto un documento ritrovato dallo storico di Pietroburgo negli archivi del Comitato centrale. È un biglietto del 1923 in cui Stalin scrisse: «Il 17 marzo, nel più gran segreto, la compagna Krupskaja (moglie di Lenin, ndr) mi ha comunicato una richiesta a me diretta: «Lenin mi chiede di assumermi la responsabilità di trovare e somministrargli una dose di cianuro di potassio. Non mi è parso possibile rifiutare e ho risposto: "desidero assicurare Vladimir Iljic che, quando sarà necessario, farò senza esitare ciò che mi ha chiesto"». Ma Stalin aggiunse nello stesso biglietto: «Non ne ho la forza e devo declinare questa missione, per quanto umana e necessaria possa essere. Ne informo quindi i membri del Politburo». Sembra di comprendere che, secondo lo storico russo, quella frase («non ne ho la forza») fosse soltanto l’alibi di cui Stalin aveva bisogno per mascherare le sue intenzioni.
Sergio Romano