Aldo Grasso, Corriere della Sera 26/05/2012, 26 maggio 2012
REPERTORIO RICICLATO PER PAOLO ROSSI - A
vent’anni di distanza Paolo Rossi è tornato in video: lontani i tempi di «Su la testa», lontana quella comicità che lo stringeva nei panni di Lenny Bruce dei Navigli per liberarlo in tutta la sua virulenza verbale. Ora, in «Confessioni di un cabarettista di m. – Esercizi spirituali di rifondazione umoristica», uno spettacolo ideato dallo stesso Rossi con Giampiero Solari (il raddrizzatore per la tv dei legni storti del teatro), scritto con Stefano Dongetti, Alessandro Mizzi, Riccardo Piferi, Emanuele Dell’Aquila e diretto da Luigi Antonini, il nostro eroe si propone di ripensare la funzione del comico «senza prendersi troppo sul serio ed evitando di nominare i politici perché, nominandoli, loro diventano leggeri e io pesante, loro diventano pop e io snob» (SkyUno, giovedì, ore 21.10, tre puntate).
In realtà, nella prima puntata, benedetto da don Gallo, prete per caso, Rossi non fa altro che riciclare il suo vecchio repertorio, spolverandolo e attualizzandolo con battute ad hoc (vede, per esempio, il Concistoro come una sorta di «X Factor», con «Simona Ventura che dà i voti e Morgan che suona l’organo, a canne»).
Piuttosto Paolo Rossi pone un bel problema teorico. Il suo show si svolge in un tendone da circo alla presenza del pubblico. Con cui si sintonizza immediatamente e nei cui confronti gode di un consistente credito (lo spettatore di teatro è anche un fan).
Lo spettatore televisivo non è necessariamente un fan, capisce che Rossi non si sta rivolgendo a lui, non è complice. Paradossalmente è più adulto, più laico di quello teatrale. E se Rossi fa una sparata contro lo Stato che non elargisce più fondi al teatro (chissà perché solo teatro e cinema devono godere dello statuto di Cultura) può anche non condividerla, a differenza dei fan che applaudono felici.
L’impressione è che senza Berlusconi questi artisti sotto la tenda del circo siano perplessi e, soprattutto, lascino perplessi.
Aldo Grasso