Stefano Agnoli, Corriere della Sera 26/05/2012, 26 maggio 2012
ADDIO ENI, SNAM VA ALLA CASSA —
L’equazione a più incognite per separare la Snam e i suoi gasdotti dall’Eni, e cederne una quota di maggioranza alla Cassa Depositi e Prestiti è quasi pronta. Ieri il governo ha varato il tanto atteso decreto che definisce nelle linee generali modalità e termini dell’operazione. Per riempire, poi, di contenuti finanziari e operativi il progetto bisognerà aspettare i consigli di amministrazione del Cane a sei zampe e di Cdp stessa, fissati per mercoledì prossimo 30 maggio. L’esecutivo (il ministro per lo Sviluppo Corrado Passera e il viceministro dell’Economia Vittorio Grilli) ha stabilito intanto che entro i prossimi 18 mesi il gruppo di Paolo Scaroni perda il controllo di Snam (ora ne possiede il 50,03%) trasferendo il 25,1% alla Cdp con una trattativa diretta. Il resto, si legge nel decreto, sarà venduto successivamente, anche in più riprese, al pubblico dei risparmiatori e a investitori istituzionali. La cessione «è un’operazione forzata, ma non indebolirà l’azienda, anzi la rafforzerà», ha commentato Scaroni, che ha confessato di adeguarsi alla richiesta dell’azionista «con un po’ di malinconia».
I dettagli, tra cui quello delicato del prezzo, si stanno definendo in queste ore (anche con gli advisor, come Mediobanca per l’Eni e Banca Leonardo per Cdp), ma è verosimile che a differenza di quanto circolato nei giorni scorsi alla fine dell’operazione l’Eni non mantenga in Snam neppure una quota minima del 5%. Per evitare in futuro contestazioni dell’Antitrust, è altrettanto verosimile che la controllata Italgas debba essere messa sul mercato.
Gli interessi da soddisfare in un’operazione del genere sono parecchi, e sarà compito dell’ingegneria finanziaria trovare una soluzione che accontenti tutti. La mano pubblica, ad esempio, con la separazione proprietaria tra rete del gas da una parte e produzione e vendita dall’altra, vuole rilanciare la concorrenza e provare a incidere sul prezzo di una commodity (il gas) fondamentale per l’economia. Ma non intende neppure mollare la presa su un settore strategico come l’energia. Per questo venderà Snam a se stessa, ovvero alla Cassa Depositi, corredando però il passaggio con una governance che, a quanto pare, avrebbe già ricevuto un via libera informale dalle autorità antitrust nazionale e dell’Unione europea. Formalmente l’azionista di Snam e Eni sarà sempre la Cassa, ma nella sostanza la procedura prevista dall’articolo 2 del decreto (che limita i poteri dell’Economia in Snam e impedisce gli intrecci di cariche a tutti i livelli in Cdp-Snam e Eni) fa sì che a governare in futuro la Snam sarà esclusivamente la Cdp, mentre il controllo sull’Eni resterà appannaggio del ministero dell’Economia, grazie ai poteri di cui già dispone. Se a Bruxelles — si sostiene in ambienti governativi — non hanno avuto da recriminare sul passaggio del gasdotto Tag dall’Eni alla Cdp (a metà 2011), allora non ci dovrebbero essere problemi neppure nella struttura di controllo prevista per Eni e Snam. È curioso, inoltre, leggere nel decreto che le stesse limitazioni di governance saranno imposte anche a Terna. Motivo? Eni possiede Enipower, il terzo produttore elettrico nazionale.
Definita tra diverse critiche la partita dei «paletti» della cessione («falsa privatizzazione», «unbundling all’amatriciana» alcuni dei commenti su Twitter), si passa ora alle questioni finanziarie. Non secondarie in un’operazione da 7 miliardi di euro, dove il ministero dell’Economia non intende sborsare quattrini e l’Eni e i soci terzi vogliono invece soddisfazione. La strada scelta sarà sulla falsariga di quanto già rivelato. Eni annullerà le azioni proprie e Cdp si finanzierà vendendo il 3,5% Eni in eccesso sul 29,9% che manterrà. L’Eni potrebbe distribuire dopo la discesa in Snam un dividendo straordinario. E tra gli investitori interessati potrà esserci anche un fondo sovrano, come quello del Qatar.
Stefano Agnoli