Giampaolo Pansa, Libero 27/5/2012, 27 maggio 2012
MONTEZ, ATTENTO AI LUPI DELLA CASTA
Ho molta simpatia per Luca Cordero di Montezemolo, che qui chiamerò Montez. I motivi sono tanti. Prima di tutto, non ha la boria che di solito mostrano molti professionisti della Casta politica. Poi non è un dilettante allo sbaraglio. Conosce al millimetro le condizioni cattive in cui si dibatte l’Italia. E ha delle idee sui modi per migliorarle. Infine è uno che sa ascoltare. Me ne sono reso conto nel 2008 quando stava per lasciare la presidenza di Confindustria. Voleva sentire come la pensasse un giornalista senza potere come il sottoscritto. Parlammo a lungo, da persone che hanno a cuore il destino della baracca nazionale, se non altro per il fatto che ci vivono.
Tuttavia, anche Montez ha un difetto. Non so per quale ragione, da anni spasima di gettarsi in politica. Questa voglia gli è nata parecchio tempo fa, quando stava già al vertice di Confindustria. Un dirigente della Fiat che lo conosceva a fondo mi disse: «A Luca non basta più la presidenza degli industriali. Vede l’Italia andare a ramengo e vorrebbe impedire che precipiti nel baratro. Per questo progetta di costruire un movimento o un partito nuovo. L’unico pensiero che lo trattiene è il timore dei contraccolpi brutali dei partiti che occupano il campo».
Oggi Montez deve aver superato questa paura. La sua Italia futura è già qui tra noi. I giornali straripano di notizie sui cervelli che affiancano il fondatore, gli iscritti al club, la presenza in molte aree del paese. Tutto è pronto per l’esordio alle prossime elezioni politiche. L’unica incertezza di Montez riguarda il leader del movimento-partito. Dovrà portare lui la croce o la affiderà a un personaggio nuovo di zecca, più giovane e fresco?
Ho imparato che non bisogna mai insegnare ai gatti come si superano i muri. Dunque mi guardo bene dall’offrire un consiglio a Montez. Ma in omaggio alla nostra vecchia chiacchierata mi azzardo a rammentargli che la reazione della Casta alla sua discesa in campo sarà uno tsunami di rabbia furiosa. Un’ira senza esclusione di colpi bassi, capace di qualsiasi carognata.
VICINI AL COLLASSO
Come vediamo ogni giorno, la Casta non sta bene per niente. Molti italiani si sono stancati dei partiti. Non li votano più e quando scende sul terreno un tipo inverosimile come Beppe Grillo sono pronti ad affidarsi alle sue smargiassate. Ma proprio perché vicini al collasso, i professionisti della politica si rivelano sempre più avvelenati. Rifiutano di mollare il mazzo, respingono gli intrusi, sono disposti a fare qualunque vigliaccata pur di non perdere quel poco di potere che gli resta.
Il leader di Italia futura lo sa bene e non da oggi. Non è un fanciullino, in agosto compirà 65 anni. E ricorda di certo le pessime esperienze vissute da un altro imprenditore che aveva osato gettarsi in politica. Quel signore era nientemeno che Umberto Agnelli. Nel 1976 si prese lo sfizio di farsi eleggere al Senato nelle liste della Democrazia cristiana. Montez lavorava per lui e lo seguiva passo passo. Tanto che il diabolico Fortebraccio del Pci coniò un’immagine indimenticabile: “Arriva Umberto Agnelli scortato da Luca Cordero di Montezemolo che non è un incrociatore”.
Per sua fortuna, Umberto rimase poco tempo a Palazzo Madama. Nella primavera del 1979, Sandro Pertini sciolse in anticipo le Camere e chiamò gli italiani a votare. Umberto decise di non ripresentarsi, forse perché era stanco della via crucis che la Casta del tempo gli aveva imposto. Allora andavo spesso in Parlamento per il mio lavoro di cronista politico. E rammento le cosacce che grandinavano sul groppone di Umberto, chiamato il Dottore per distinguerlo dal fratello Gianni, l’Avvocato.
CONTRO IL DOTTORE
Il Dottore è ombroso, avaro, ignorante, non sa un cazzo di politica, è troppo ricco per fare il parlamentare, doveva restarsene alla Fiat a godersi i suoi miliardi, invece di venire qui a romperci i corbelli. È circondato da incompetenti con la puzza sotto il naso, a cominciare da quello snob di Montezemolo. Qualcuno della Casta si spingeva anche più in là.Alimentando con malvagità la leggenda che al Dottore piacessero i maschietti.
In quel tempo non era per niente facile essere un Agnelli. Ma oggi anche essere un Montezemolo che si dà alla politica non risulterà una passeggiata. Le sinistre hanno già fatto capire di vederlo come il fumo negli occhi. Per un motivo semplice: è molto difficile che Montez si metta con il trio della fotografia di Vasto. È più facile immaginare che tenterà di rafforzare il blocco moderato, adesso allo sbando e in frantumi. Però anche su questo versante Italia futura e il suo leader non verranno accolti con rose e fiori.
Berlusconi considera Montez un disturbatore, pronto a rubargli voti e a ostacolare la sua voglia di rimanere la guida del centrodestra. Silvio non ha di certo scordato i giudizi al curaro che Luca gli ha sparacchiato addosso. Me ne ricordo uno del novembre 2010, offerto al pubblico televisivo del salotto di Fabio Fazio. Il conduttore, specialista nel lecca lecca con i vip che invita, gli diede spago, osservandolo con occhietti da topino rispettoso. Montez lo ricambiò regalandogli una battutaccia contro il Cavaliere: «Il governo Berlusconi è un cinepanettone arrivato ai titoli di coda».
OCCHIO AI GIORNALI AMICI
Il big di Italia futura incontrerà noie a non finire. Persino i giornali che ritiene amici lo maltratteranno per darsi l’aria di essere imparziali. Volete un segnale? Venerdì scorso, sulla Stampa di Mario Calabresi si leggeva il seguente sfottò della Jena, al secolo Riccardo Barenghi, già direttore del Manifesto: «Preparativi. Montezemolo è quasi pronto a entrare in politica, sta già scegliendo il vestito più adatto».
Ma il fastidio di essere ritenuto vanesio sarà soltanto una puntura di spillo a confronto del tritacarne dove verranno passati i trascorsi di Montez. A cominciare dal fattaccio che costrinse il giovane Luca a lasciare la Fiat per andare in Svizzera a presiedere la Cinzano. Eravamo all’inizio degli anni Ottanta e Montez fu accusato di pretendere regali milionari da chi voleva incontrare l’avvocato Agnelli. A condannarlo all’esilio fu Cesare Romiti, in quel momento capo supremo della Fiat. E ancora oggi, con l’insistenza feroce dei signori anziani, testimoni di vicenda scabrose, Romiti non ha smesso di inseguire il reprobo.
Tutti possiamo sbagliare, ma la Casta non perdona mai gli sbagli degli altri. È questo che mi fa prevedere tempi acidi per Montez. Immagino che il leader di Italia futura avrà messo nel conto una fatalità: il suo cammino sul terreno della politica sarà un percorso di guerra, dove potrà accadergli di tutto. Ma dopo aver negato tante volte di esser tentato di cambiare il mestiere d’imprenditore, oggi è arrivato a un punto di non ritorno.
Sono convinto che Luca Cordero di Montezemolo sappia che non gli è più permesso di fare passi all’indietro. Potrà soltanto andare avanti. Ha di fronte la sfida più importante della propria esistenza. Diventare un politico a tempo pieno in quest’epoca di tragedie è una prova assai più dura di vincere una gara della Formula Uno. Se manterrà la scelta, darà la prova di essere un uomo adatto a imprese difficili.
Ma stia attento al lupi della Casta. Sono rabbiosi e famelici. Hanno il terrore di sparire. Si vedono circondati da mute di elettori che gli danno la caccia. Per questo attendono al varco l’alieno Montez. Con una voglia sola: sbranarlo.
Giampaolo Pansa