Giovanni Sartori, Corriere della Sera 28/5/2012, 28 maggio 2012
ARTICOLI SUI GUAI DEL VATICANO
CORRIERE DELLA SERA
MASSIMO FRANCO
L’arresto del maggiordomo di Benedetto XVI, e prima il siluramento stranamente brutale di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello Ior, la «banca del Vaticano», vorrebbero essere gesti di forza e di trasparenza: mosse tese a cancellare con la platealità l’alone di confusione e fango che da troppi mesi avvolge e appanna il papato. Eppure, è difficile non avvertire l’inadeguatezza e l’ambiguità di queste decisioni. Non perché non siano clamorose: lo sono, e in maniera sconcertante. Ma perché il modo in cui sono state prese aumenta le domande sulle oscure dinamiche interne alla Curia; sulle zone d’ombra che rimangono; e sulle reticenze e le complicità di Paolo Gabriele, tutte da accertare: sempre che il cameriere personale del Papa sia davvero uno dei colpevoli. Non si può tacere l’impressione che vicende come quella di Gotti Tedeschi aggiungono interrogativi, invece di esaurirli. Non fa onore a un’istituzione come lo Ior l’uso della mano pesante e di parole al limite dell’insulto verso il suo presidente fino a poche ore prima. Si indovina un accanimento tipico di una Chiesa che tende a divorare i suoi figli, specie se non ecclesiastici; e l’eco del conflitto fra il banchiere e il segretario di Stato Vaticano, Tarcisio Bertone. Il torto principale di Gotti Tedeschi sembra quello di essersi opposto ad alcune controverse operazioni finanziarie dello Ior. Insomma, quanto accade è figlio di un vertice della Santa Sede in profonda crisi di identità e di credibilità. Il tentativo di velare questa realtà additando i responsabili non chiude la questione, al di là di eventuali colpe o errori: soprattutto se il Vaticano pensa di cavarsela senza dare segnali meno «decisionisti» e più convincenti. La Santa Sede non è uno Stato qualsiasi. Ha un profilo morale col quale parla a una platea sterminata di fedeli, e che le garantisce una statura internazionale unica. Dal 30 maggio Benedetto XVI sarà a Milano per la Festa mondiale delle famiglie. Ma arrivarci offrendo un’immagine del cuore della Chiesa cattolica diviso, avvelenato dai sospetti, prigioniero di logiche finanziarie e di potere opache, sarebbe un altro passo verso la delegittimazione. Forse solo il Pontefice può fermare e invertire questa deriva, offrendo un messaggio più radicale e profondo a un’opinione pubblica esterrefatta. Se esiste davvero un complotto contro il Vaticano, è inevitabile ormai pensare che i primi alleati dei cospiratori siano al suo interno. Alcuni forse per dolo, altri per inettitudine.
Massimo Franco
CORRIERE DELLA SERA
GIAN GUIDO VECCHI
CITTÀ DEL VATICANO — Che nell’indagine sui corvi si facesse sul serio lo si era capito già il mese scorso, quando Benedetto XVI istituì la commissione cardinalizia con pieni poteri presieduta dal porporato dell’Opus Dei Julián Herranz e con il prefetto emerito di Propaganda Fide Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi, già arcivescovo di Palermo. In apparenza poteva sembrare pletorica, da settimane erano già in corso l’indagine penale del Tribunale vaticano e quella amministrativa della Segreteria di Stato. Ma una commissione simile ha due caratteristiche fondamentali: risponde direttamente al Papa e, con piena autorità, può indagare su chiunque. Gia allora si era messo in conto che l’inchiesta sulla fuga di notizie, al di là della manovalanza, potesse toccare livelli più alti, fino al Collegio cardinalizio: «Agirà in forza del mandato pontificio a tutti i livelli». E ora a quei livelli si è arrivati, almeno come «ipotesi investigativa» che riguarda un porporato, e non uno in astratto: nel linguaggio felpato di Oltretevere, «non si esclude» il coinvolgimento di «un cardinale» nel complotto.
E questo significa, nel caso, una procedura totalmente diversa, rispetto all’arresto del maggiordomo del Papa o agli interrogatori di funzionari proseguiti anche ieri: se il codice penale del Vaticano recepisce nella sostanza quello italiano, il codice civile, per dire lo status, prevede (articolo 113, paragrafo 2) che «i cardinali di Santa Romana Chiesa, i vescovi e le persone illustri» siano «dispensati dall’obbligo di comparizione avanti al giudice per deporre come testimoni» e possano «scegliere il luogo dove essere interrogati», magari a casa.
In Vaticano il segreto istruttorio è totale ma nessuno si straccia le vesti all’idea di un cardinale coinvolto nell’inchiesta: si parla, anzi, di un italiano. Forse perché «questa faccenda è essenzialmente tutta italiana», sospira un monsignore (italiano) della Curia. Del resto non solo si è «appena all’inizio» ma il quadro generale «è già definito», altrimenti «non si sarebbe proceduto col primo arresto». Il primo: altri se ne attendono. E non è solo per quello che potrà dire l’«aiutante di Camera» Paolo Gabriele agli investigatori. In queste ore gli uomini della Gendarmeria stanno controllando i documenti trovati a casa del maggiordomo, ne hanno portate via «quattro casse». Ma soprattutto si compulsano tabulati telefonici, email, computer e «supporti magnetici» vari alla ricerca dei suoi contatti. Si cercano i complici, altri corvi, soprattutto nessuno crede che Gabriele possa avere orchestrato da solo la fuga di documenti: «Se si arriva in quella posizione, in Vaticano, si è debitori nei confronti di qualcuno».
Il maggiordomo è sempre in camera di sicurezza, ha parlato con i suoi avvocati e ieri sera filtrava la voce che avesse cominciato a dire infine qualcosa, a fare nomi dopo tre giorni di silenzio e preghiera nella cella di quattro metri per quattro. Dal punto di vista formale, per ora è accusato «soltanto» di furto aggravato. Ad incastrarlo, si spiega, sono state delle carte che potevano trovarsi solo nello studio privato del Papa perché non erano state ancora archiviate nella segreteria di Stato: come un documento di bilancio della «Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI» appena pubblicato nel libro di Gianluigi Nuzzi «Sua Santità, le carte segrete di Benedetto XVI». Non sono invece considerate rilevanti le apparecchiature fotografiche e di ripresa, «strumenti che hanno tutti, una falsa pista».
La fase di «istruttoria formale», condotta dal giudice istruttore Piero Antonio Bonnet, comincia di fatto oggi. Ma Paolo Gabriele non è l’unico ad essere messo sotto torchio. Nonostante la festa di Pentecoste, il lavoro e gli interrogatori sono andati avanti anche ieri. La prudenza è d’obbligo, il fatto di essere stati sentiti non significa nulla e ci sono funzionari che sono stati interrogati e poi scagionati. Quando le indagini si sono concentrate sull’Appartamento, sono state ascoltate (e subito escluse) perfino le quattro Memores Domini. Certo non tutti i documenti sono usciti dallo studio violato del pontefice. Le falle si sono aperte in vari uffici, a cominciare dalle due sezioni della Segreteria di Stato, Affari generali e Rapporti con gli Stati. Un «corvo» intervistato da Nuzzi diceva: «Siamo una ventina». Vero o falso che sia, il clima Oltretevere è pessimo, si dà per scontato che ogni telefono o ambiente sia intercettato, cresce quella diffidenza che ieri Benedetto XVI ha tratteggiato nell’evocare l’«esperienza» di Babele: «Tra gli uomini non sembra forse serpeggiare un senso di diffidenza, di sospetto, di timore reciproco, fino a diventare perfino pericolosi l’uno per l’altro?».
Durante la messa, ieri, si sono così notate alcune assenze di cardinali importanti della cosiddetta «vecchia guardia», cosa strana per una celebrazione così importante per la Chiesa: quasi fosse un altro segnale di malumore interno. Una persona vicina all’Appartamento, che conosceva bene Gabriele, esclama: «Com’è possibile che sia stato già condannato prima del processo, che abbiamo lasciato filtrare il suo nome? Non vorrei che fosse un tentativo di bloccare tutto, una sentenza anticipata per chiudere la vicenda e impedire si arrivi alla verità». Le cose non sembrano andare così, peraltro. Il pontefice per primo desidera che si proceda, «addolorato» ma «sereno» e ben «determinato» a «guardare avanti». Sabato Benedetto XVI ha invitato i fedeli ad avere fede e fiducia, la Chiesa è fondata evangelicamente «sulla roccia». Oltre la guerra che si è consumata negli ultimi anni, tra chi ha raggiunto il potere e chi non lo ha più, o vorrebbe averlo. Tra le Mura leonine, di questi tempi, è citatissimo l’aneddoto attribuito al cardinale Ercole Consalvi, grande segretario di Stato di Pio VII, la sua risposta a Napoleone che minacciava di distruggere la Chiesa: «Non ci riuscirà, maestà. Non ci siamo riusciti neanche noi».
Gian Guido Vecchi
CORRIERE DELLA SERA - IL CASO GOTTI TEDESCHI
MARIA ANTONIETTA CALABRO’
ROMA — Il Vaticano nega che ci siano state divisioni tra i cardinali del consiglio di sorveglianza dello Ior, riunito venerdì scorso, in relazione alla destituzione di Ettore Gotti Tedeschi dalla carica di presidente e membro del board dell’istituto. Un esponente autorevole della segreteria di Stato liquida le voci in tal senso come «solo gossip».
Ribadendo semmai che la verità di questa storia «è quella scritta nella lettera di sfiducia» firmata da Carl A. Anderson, il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo, nelle funzioni di segretario del consiglio di amministrazione dello Ior e pienamente sottoscritta, oltre che dagli altri esponenti del board, anche dalle alte sfere vaticane. Mentre Gotti Tedeschi si è detto «amareggiato» per la pubblicazione (ieri dal Corriere della Sera) delle accuse del board. Un documento invece così condiviso dai cardinali da rendere superflua la stesura di un comunicato in questa fase interlocutoria, mentre ancora si stanno definendo le formalità legali ed economiche per la chiusura del rapporto con Gotti Tedeschi e non essendo ancora chiaro se gli verrà darà la possibilità di dimettersi, senza una formale destituzione da parte della Commissione cardinalizia (cui spetta in ogni caso l’ultima parola).
Questo vuol dire che potrebbe essere data a Gotti Tedeschi la possibilità che sia lui stesso a prendere atto della sfiducia del board contenuta nel memorandum. Anche se non risponde al vero che abbia mai offerto nei giorni scorsi le sue dimissioni. Il memorandum, che è stato notificato dal board a Gotti Tedeschi e alla Commissione cardinalizia, contiene un vero e proprio j’accuse con una lista di 9 addebiti in cui il board dell’istituto ha definito l’ex presidente come «inaffidabile e imprudente».
L’economista cattolico risponde al telefono con un filo di voce («Non fatemi parlare, per favore») e anche se ancora combattuto interiormente se spiegare o meno la «sua» verità, tuttavia, affermano persone a lui vicine, «prevale il suo amore per la Chiesa». Egli peraltro comprende benissimo che messe nero su bianco le «contestazioni» che gli sono state fatte da personalità molto autorevoli del mondo economico e finanziario internazionale (oltre ad Anderson, Ronaldo Hermann Schmitz, ex ad della Deutsche Bank, Manuel Soto Serrano, spagnolo, presidente del Santander, la banca da cui proveniva Gotti Tedeschi, e dall’avvocato e notaio italiano Antonio Maria Marocco) lasciano poco margine. Del resto è stata proprio la sua reazione («pago per la mia trasparenza») ad aver convinto il vertice della banca vaticana a rendere noto il documento per tagliare le gambe a illazioni e sospetti sulla decisione.
Ieri, rispondendo a questa stessa logica, sono state subito smentite, sia pure ufficiosamente, le voci di una presunta spaccatura tra i cardinali supervisori dello Ior, il segretario di Stato Tarcisio Bertone (che è anche il presidente della Commissione cardinalizia di sorveglianza), Attilio Nicora (presidente dell’Autorità finanziaria di controllo, Aif), Jean Luis Tauran (francese, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso), Telesphore Placid Toppo (indiano, arcivescovo di Ranchi), e Odilo Pedro Scherer (brasiliano, arcivescovo di San Paolo del Brasile). «Ciò è assolutamente falso», sottolinea una fonte molto autorevole e «tirare fuori un voto contrario di cardinali è gossip per nascondere la verità» messo in giro ad arte. Come falsa, viene aggiunto, sarebbe l’immagine di Gotti Tedeschi «campione della trasparenza». «È tutt’altro», afferma, senza remore, la fonte.
Nel memorandum di Anderson si evince tutta la tensione che ha caratterizzato la destituzione dell’economista cattolico perché non solo gli si contesta, tra le altre cose, di «non aver svolto le funzioni base che spettano al presidente», ma peggio ancora nel momento in cui in Vaticano si procede ad arresti per le fughe di notizie da parte dei corvi, lo si «incolpa» di «non aver potuto fornire giustificazione formale per la diffusione di documenti in possesso del presidente».
Anderson ha ribadito ieri alla Reuters che «la decisione del board non ha nulla a che fare, in modo categorico, con il fatto che Gotti promuoveva la trasparenza». Anzi di fatto «egli stava diventando un ostacolo a raggiungere una maggiore trasparenza con la sua incapacità di lavorare con il vertice della banca». Anderson ha anche detto che il «Vaticano aspira ad entrare nella white list dei paesi Ocse con trasparenza finanziaria». «Adesso cercheremo come presidente una persona — ha concluso — con le competenze e il profilo per proseguire sul nostro cammino di trasparenza, che è il nostro maggiore desiderio: a fatti però e non a parole».
M.Antonietta Calabrò
REPUBBLICA - PARLA UN CORVO
MARCO ANSALDO
CHI sono i "corvi" del Vaticano? «La mente dell´operazione non è una sola, ma sono più persone». «Ci sono i cardinali, i loro segretari personali, i monsignori e i pesci piccoli. Donne e uomini, prelati e laici. Tra i "corvi" ci sono anche le Eminenze. Ma la Segreteria di Stato non può dirlo, e fa arrestare la manovalanza, "Paoletto" appunto, il maggiordomo del Papa. Che non c´entra nulla se non per aver recapitato delle lettere su richiesta».
Un quartiere alto di Roma nord, un tavolino di un bar, sempre un po´ di traffico intorno. All´ora di pranzo di una domenica mattina finalmente tersa uno dei "corvi", gli autori della fuoriuscita di lettere segrete dalla Santa Sede, spiega i dettagli dell´operazione.
«Chi lo fa - dice subito - agisce in favore del Papa».
Per il Papa? E perché?
«Perché lo scopo del "corvo", o meglio dei "corvi", perché qui si tratta di più persone, è quello di far emergere il marcio che c´è dentro la Chiesa in questi ultimi anni, a partire dal 2009-2010».
Ma chi sono? Chi siete?
«Ci sono quelli che si oppongono al segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Quelli che pensano che Benedetto XVI sia troppo debole per guidare la Chiesa. Quelli che ritengono che sia il momento giusto per farsi avanti. Alla fine così è diventato un tutti contro tutti, in una guerra in cui non si sa più chi è con chi, e chi è contro».
La persona è tormentata. Vuole parlare, ma allo stesso tempo ha paura, e ha forti dubbi. Niente nomi da pubblicare, ne andrebbe della sua sicurezza. Molti silenzi, molti sguardi. «Posso fidarmi di lei? Questa cosa è terribilmente delicata». Proviamo.
Com´è nata la fuga dei documenti dal Vaticano?
«Nasce soprattutto dal timore che il potere accumulato dal Segretario di Stato possa non essere conciliabile con altre persone in Vaticano».
Ma c´è anche una pista dei soldi?
Una mano nei capelli, gli occhi guardano intorno, le mani tormentano un anello.
«C´è sempre una pista dei soldi. Ci sono anche interessi economici nella Santa Sede. Nel 2009-2010 alcuni cardinali hanno cominciato a percepire una perdita di controllo centrale: un po´ dai tentativi di limitare la libertà delle indagini che monsignor Carlo Maria Viganò stava svolgendo contro episodi di corruzione, un po´ per il progressivo distacco del Pontefice dalle questioni interne».
Le macchine intorno strombazzano. Due cani finiscono per azzannarsi. Cambiamo posto. Saliamo. Altro bar, giardino all´interno, un po´ di quiete. Il discorso prosegue più fluido.
«Che cosa è successo a quel punto? Viganò scrive al Papa denunciando episodi di corruzione. Chiede aiuto, ma il Papa non può far nulla. Non può opporsi perché questo significherebbe creare una frattura pubblica con il suo braccio destro. Pur di tenere unita la Chiesa sacrifica Viganò. O meglio, finge di sacrificarlo perché, come si sa, la nunziatura di Washington è quella più importante. Così i cardinali capiscono che il Papa è debole e vanno a cercare protezione da Bertone».
Che cosa fa a questo punto il Pontefice?
«Il Papa capisce che deve proteggersi. E convoca cinque persone di sua fiducia, quattro uomini e una donna. Che sono i cosiddetti relatori. Gli agenti segreti di Benedetto. Il Papa cerca consiglio da queste persone affidando a ciascuno un ruolo, e alla donna quello di coordinare tutti e cinque».
C´è una donna che aiuta il Papa in questo?
«Sì, è la stratega. Poi c´è chi materialmente raccoglie le prove. Un altro prepara il terreno, e gli altri due permettono che tutto ciò sia possibile. In questa vicenda il ruolo di queste persone è stato quello di informare il Papa su chi erano gli amici e i nemici, in modo da sapere contro chi combattere».
E intanto la fuoriuscita dei documenti come va avanti?
«Cominciano a uscire. Sono individuati dei canali e dei giornalisti».
Come escono?
«A mano. L´intelligence vaticana, che ha sistemi di sicurezza integrati nei sotterranei del Palazzo apostolico guidati da un giovane ex hacker di 35 anni, e sono addirittura più evoluti della Cia, con sistemi sofisticatissimi, non possono farci nulla. Perché i cardinali sono abituati a scrivere i loro messaggi a penna e a dettarli. Li fanno poi recapitare a chi vogliono brevi manu. E i documenti fuoriusciti sono lo strumento con cui si sta combattendo questa guerra. L´obiettivo primario era quello di colpire il Papa. Di fiaccarlo e convincerlo a mollare le questioni politiche ed economiche della Chiesa. Bisognava reagire».
E il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, letteralmente cacciato?
«È accaduta la stessa cosa. Eppure era vicinissimo al Papa: hanno steso insieme l´enciclica Caritas in veritate. Gotti non rispondeva a nessuno, ma lo faceva direttamente al Papa, a cui mandava anche dei memorandum per descrivere la situazione interna allo Ior. E così anche le operazioni che fallivano, come la legge antiriciclaggio o la scalata per il San Raffaele. Bertone si ingelosisce, accusa Gotti, e decide di tagliargli la testa. Quando giovedì scorso il Papa ha saputo del licenziamento di Gotti, si è messo a piangere per "il mio amico Ettore"».
Il Papa che piange?
«Sì, ma poi si è arrabbiato moltissimo e ha reagito dicendo che la verità su questa vicenda sarebbe venuta fuori».
Ma non si poteva opporre?
«Avrebbe potuto farlo, ma opporsi avrebbe significato una frattura clamorosa con il suo Segretario di Stato».
E poi, il giorno dopo?
«E il giorno dopo il Papa è stato nuovamente colpito, e nel personale, quando è stato arrestato Paoletto. Ora il Papa è disperato. Ma Paoletto non è il corvo, i corvi sono tanti, tutt´al più è stato usato da qualcuno».
Hanno detto di Gotti che è uno dei corvi.
«Gotti è una persona onesta, che tace, come ha fatto anche nel mezzo dell´indagine della magistratura sullo Ior. E come sta facendo adesso dopo la sua defenestrazione. Non si è prestato a nessun gioco, non è lui il corvo».
Anche padre Georg, il segretario del papa, è nel mirino?
«Per una fazione è stato uno degli obiettivi da colpire: rappresenta oggi più che mai l´elemento di congiunzione fra tutti i dicasteri all´interno del Vaticano e il Papa, fa da filtro, decide e consiglia il Papa».
Siamo ormai da tre ore a colloquio, in pieno pomeriggio, al terzo caffè. La persona è molto informata, conosce dettagli, meccanismi, persone interne alla Santa Sede come pochi.
Perché ha deciso di uscire allo scoperto?
«Per far emergere la verità. E quindi far cessare la gogna mediatica alla ricerca estrema di un colpevole nelle vesti di un corvo (il maggiordomo), di un prete (don Georg), o di un alto funzionario o di un cardinale (Gotti, il cardinale Piacenza o altri). Il ruolo fondamentale della Chiesa è di difendere il valore del Vangelo, non quelli di accumulare potere e denaro. E quello che faccio è fatto in nome di Dio, io non ho paura».
TORNIELLI SULLA STAMPA
Quattro giorni dopo l’arresto dell’aiutante di camera Paolo Gabriele, al quale sono stati trovati «documenti illecitamente posseduti», nel clima di veleni e di sospetti che si respira in Vaticano, i «corvi» tornano a farsi sentire.
«Sono uno di loro», dice una persona che lavora Oltretevere e che chiede l’anonimato assoluto. Non vuole che si dica alcunché sull’età, sull’ufficio in cui lavora, sulla sua nazionalità, se sia laico o sacerdote. Da come parla, appare come qualcuno che si muove molto bene nell’ambiente vaticano e lo conosce piuttosto a fondo. «Siamo in tanti, e a tanti livelli – sussurra – e abbiamo deciso di agire per aiutare il Papa». La stessa motivazione che la fonte «Maria» ha confidato a Gianluigi Nuzzi, e che si trova stampata nelle pagine di «Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI». L’obiezione è scontata: come si può pensare di aiutare il Papa facendo apparire il Vaticano un colabrodo e finendo per screditare l’intera istituzione, presentata come teatro di lotte all’ultimo sangue? Il presunto «corvo» non risponde, convinto com’è, invece, che i vatileaks siano quasi una necessità. L’obiettivo dichiarato è la rimozione del cardinale Tarcisio Bertone, il Segretario di Stato che Benedetto XVI si è scelto pochi mesi dopo l’inizio del suo pontificato, nominato nel giugno 2006 e insediatosi nel settembre successivo.
«Tutto è cominciato l’estate scorsa – continua il “corvo” – quando il segretario generale del Governatorato, monsignor Carlo Maria Viganò ha perso la sua battaglia contro la corruzione». Il caso è noto: il prelato lombardo era all’origine di una politica di risanamento dei bilanci e di razionalizzazione delle spese, peraltro condivisa dal suo superiore diretto, il cardinale Lajolo. Il Papa aveva deciso di allontanarlo, nominandolo nunzio a Washington. «È stato allora che abbiamo capito che il Papa non sarebbe riuscito a imporsi a Bertone e abbiamo deciso di agire. Le lettere spedite da Viganò a Benedetto XVI e al Segretario di Stato sono le prime che abbiamo fatto uscire…».
«Lo ripeto, siamo in tanti, anche molto in alto, ci scambiamo i documenti a mano. Vogliamo aiutare il Papa a fare pulizia. Dopo Viganò c’è stato il caso IOR, e la capitolazione di Gotti Tedeschi, un uomo di Bertone che ha avuto il torto di muoversi autonomamente e di scavalcare il Segretario di Stato arrivando direttamente al Papa».
Non può mancare una domanda sull’aiutante di camera Paolo Gabriele, agli arresti Oltretevere. Come si inserisce lui in questa rete? «Non c’entra». Prego? E come si spiegano i documenti di cui è stato trovato in possesso? «Lui non ha sottratto documenti, è stato coinvolto per far arrivare dei documenti al Papa». Quella delle denunce riguardanti «fatti gravi» fatte pervenire dal maggiordomo al Pontefice all’insaputa di tutti, è una vicenda già raccontata da alcuni degli amici più vicini a Gabriele. E se queste uscite del presunto «corvo» fosse soltanto un tentativo di difendere «Paoletto» dalle gravi accuse che gli sono mosse? Un modo per cercare di ridimensionare le sue responsabilità scaricando la colpa su una rete più vasta? «Non è così, e si vedrà, la storia non è ancora finita…».
Che il caso vatileaks non sia finito e che l’aiutante di camera non fosse isolato, sono in molti a pensarlo in Vaticano, ben più in alto dei veri o presunti «corvi». Ciò che emergerebbe dal racconto dell’interlocutore è l’esistenza di un vero e proprio movimento sotterraneo, che parte dal basso, ma arriva a coinvolgere persone vicine a vescovi e cardinali, intenzionate ad aiutare il Papa. Anche se l’esito di questa battaglia sarà quello di indebolirlo.
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GIACOMO GALEAZZI SULLA STAMPA
Si sente colpito dalla nemesi che in poche ore l’ha trasformato da uomo della trasparenza a nemico della «glasnost» finanziaria della Santa Sede. Il presidente sfiduciato dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, non ci sta a passare per ostacolo alla «purificazione» delle finanze vaticane e annuncia battaglia. Agli ex collaboratori che nell’Istituto gli sono ancora legati, spiega di attendersi una commissione di inchiesta che lo ascolti e chiarisca le accuse mosse alla sua gestione triennale. A presiederla dovrebbe essere non un esponente dell’attuale dirigenza d’Oltretevere ma una figura indipendente, una «personalità di indiscusse autonomia e autorevolezza» come l’ex cardinale vicario Camillo Ruini, l’arcivescovo di Milano Angelo Scola o il decano del Sacro Collegio, Angelo Sodano. Un soggetto terzo, quindi, rispetto allo scontro che ha contrapposto il segretario di Stato, Tarcisio Bertone a Gotti Tedeschi, sostenuto dal presidente dell’Autorità d’informazione vaticana (Aif), Attilio Nicora. Alla commissione chiederebbe di comparare le due leggi antiriciclaggio (la sua e quella del board) e di valutare il report del 27 aprile di Moneyval, il gruppo del Consiglio d’Europa che sta vagliando le procedure e le normative della Santa Sede. Prima di entrare ieri pomeriggio in clinica per un intervento al colon, il banchiere piacentino, duramente provato da mesi di tensioni e conflitti, ha espresso profonda amarezza per la pubblicazione del memorandum (un vero e proprio «j’accuse» con una lunga lista di addebiti) attraverso cui il cda della «cassaforte del Papa» gli ha voltato faccia giovedì. E’ combattuto interiormente tra l’ansia di spiegare la sua verità e la volontà di non turbare il Papa. Alle persone a lui vicine assicura che prevale il suo «amore per la Chiesa», soprattutto perché sa che se parlasse pubblicamente alimenterebbe ulteriormente «una vicenda che fa il danno della Chiesa e del Pontefice». Intanto all’interno dell’Ior affiorano vicende e circostanze che proiettano una luce diversa sulla defenestrazione del banchiere piacentino. Alcuni dipendenti, per esempio, raccontano di come non sia solo la JP Morgan ad aver chiuso i rapporti con la banca vaticana in seguito all’inchiesta della procura di Roma per violazione della normativa antiriciclaggio. «Ormai lavoriamo quasi esclusivamente con la Deutsche Bank, da cui proviene l’ex vicepresidente che ha sostituito “ad interim” Gotti Tedeschi», spiega un funzionario. E poi ci sono le causali «improbabili» per i bonifici all’estero, come i 20 mila euro per sante messe in Africa o i 250 mila euro per «vino da messa» in America Latina. A dicembre, durante il pranzo per gli auguri natalizi ai dipendenti, il bertoniano Paolo Cipriani e Gotti Tedeschi fecero due discorsi «praticamente antitetici». Il primo tracciò un quadro estremamente positivo della situazione dell’Istituto, mentre l’allora presidente dello Ior non ne nascose le difficoltà e i punti critici. E, in effetti, si apprende adesso che la strada verso la «white liste» dell’Ocse, cioè la lista dei paesi virtuosi, è tutt’altro che spianata per la Santa Sede. In base al questionario degli esperti europei sulle norme in materia finanziaria e di antiriciclaggio, il Vaticano corrisponde solamente a due dei dieci parametri richiesti dalle autorità internazionali. Ma ciò su cui principalmente Gotti Tedeschi intenderebbe riferire, prove documentali alla mano, ad un «Ombudsman» indipendente della Santa Sede è l’operazione che lo ha portato in rotta di collisione con Bertone. E cioè il gravoso salvataggio dell’ospedale milanese San Raffaele. Il banchiere piacentino ha fatto proprie le critiche all’operazione dei cardinali Nicora, Scola e Bagnasco. Così il San Raffaele è sfuggito al controllo dello Ior ed è andato al miglior offerente, il re delle cliniche, Giuseppe Rotelli. Bertone, che ne voleva fare il fiore all’occhiello della sanità cattolica (con l’ospedale vaticano Bambin Gesù, il polo Gaslini-Galliera di Genova,la Casa sollievo della sofferenza di San Giovanni Rotondo e il Policlinico Gemelli di Roma) se l’è legata al dito. Anche per questo Gotti Tedeschi scorge nella defenestrazione «l’ombra di Cesare Geronzi e del suo fidatissimo Marco Simeon». La caduta in disgrazia nelle Sacre Stanze, ritiene, sarebbe iniziata lì. «La commissione cardinalizia di vigilanza sullo Ior si è spaccata sulla gestione della sfiducia a Gotti Tedeschi, quindi i tempi per la nomina del suo successore non saranno brevi - evidenzia uno stretto collaboratore di Benedetto XVI -. E’ una situazione senza precedenti, non esistono regole codificate per uscire da questa crisi. Più è grande la responsabilità che si ha, maggiore deve essere il senso dell’istituzione».