Carlo Galli, www.repubblica.it 27/5/2012, 27 maggio 2012
MAGGIORDOMO
(dal latino maior domus): il più alto funzionario della casa.
Nei regni franco-merovingi e burgundi fino all’VIII secolo inoltrato, il maggiordomo era il Maestro di Palazzo, ossia un capace e fidato sovrintendente del re, che amministrava per il sovrano le faccende della reggia e, progressivamente, dell’intero regno. Finché nel 751 Pipino il Breve depose l’ultimo re merovingio (la dinastia venne definita dei “re fannulloni” per la loro inettitudine) e nel 754 assunse il titolo di re dei Franchi, dando origine alla dinastia che poi sarà definita carolingia.
Nel contesto sociale moderno il maggiordomo non ha rilievo politico, ma – soprattutto nel contesto culturale anglosassone – è il capo della servitù della casa nobiliare o magnatizia, e sorveglia il buon andamento di tutti gli affari domestici. Spesso, tuttavia, con maggiordomo si intende il servitore personale del padrone di casa; anzi, il più celebre dei molti maggiordomi della letteratura – il Jeeves di Woodhouse – in realtà è propriamente questo tipo di fidato cameriere.
In ogni caso – tanto come altissimo funzionario quanto come cameriere privato – il maggiordomo è un servitore che in un modo o nell’altro può sfidare il proprio padrone. O perché ne è più dotato e più abile, come nel caso dei maggiordomi merovingi, o perché ne conosce i segreti e le private debolezze (nessuno è un eroe per il proprio cameriere, secondo un proverbio circolante anche nell’alta cultura tedesca, ad esempio in Goethe), o perché ne è di intelligenza più pronta o di cultura più vasta, come appunto Jeeves, o infine perché, secondo Hegel, il servitore laborioso è in realtà la verità stessa dell’orgogliosa e inutile coscienza signorile.
Non collaboratore alla pari, quindi, ma al tempo stesso superiore e inferiore, non c’è da stupirsi che il maggiordomo sia una figura importante e anche, a volte, inquietante – s’intende, nelle finzioni letterarie e cinematografiche –. Non solo perché è un subordinato che controlla molto da vicino il suo signore, né solo perché è un uomo sotto il cui sguardo passano molti segreti; ma anche perché da lui si pretende che sia perfetto e impassibile, e quindi che sia al tempo stesso più che umano nell’efficienza e nella discrezione e meno che umano nella totale mancanza di emozioni private. Insomma, il maggiordomo è un uomo la cui vita è vivere per un altro, e il cui autentico vissuto è represso o inespresso, e può quindi presentarsi sotto la forma dell’anomalia o dell’infedeltà al ruolo.
Non è un caso, perciò, che in innumerevoli personaggi di romanzi e di film gialli, il maggiordomo abbia quasi proverbialmente il ruolo del ‘colpevole’, cioè di colui che dietro un’apparente normalità impeccabile nasconde una tara – che è, al tempo stesso, il suo delitto e ciò che lo rende umano, cioè non una maschera ma reale, e pertanto imperfetto –. E non è neppure un caso, pertanto, che la presenza di un maggiordomo – nientemeno che del papa – in uno scandalo curiale aggiunga un tocco di colore, e una pennellata di ulteriore romanzesco interesse, a quello che già di per sé sembra appartenere a un preciso genere letterario: i misteri del Vaticano. Un giallo nel giallo, insomma. Anche se questa volta non è letteratura, ed anzi è tutto vero.
(26 maggio 2012)