Monica Piccini, Linkiesta 22/05/2012, 22 maggio 2012
QUARANTAMILA MEDICI ITALIANI VITTIME DI ALCOL E DROGHE
Bello e sfuggente, il dottor Gianmarco B. ha 38 anni e uno sguardo da cui già a prima vista traspare difficoltà a relazionarsi con gli altri. Quando si rivolge allo psicologo del Sert di Brescia, mostra soddisfazione per aver conseguito la laurea e la specializzazione in ortopedia e traumatologia. Il percorso da studente modello comincia a sgretolarsi dopo aver vinto un concorso ed essere stato assunto dalla Croce Rossa della sua città. La cocaina lo aiuta a sostenere l’ideale iperlavorativo. Nei momenti di pausa sniffa in studio. In questo modo, non sente la fatica e può protrarre la giornata a suo piacere. Frequenta una collega, separata con figli. La relazione diventa totalizzante e a un certo punto lei lo lascia.
Non trovando conferme nell’ex compagna, il dottore le cerca nella dipendenza. Diventa aggressivo e ben presto comincia ad assumere cocaina anche durante le ore di lavoro. Durante una visita domiciliare va fuori strada con l’auto. I Carabinieri chiamati sul posto si accorgono che c’è qualcosa di sospetto nel suo atteggiamento: dopo il test antidroga, scatta il ritiro della patente e la sospensione dall’Ordine dei Medici; solo a quel punto è costretto a chiedere aiuto. Dopo aver seguito il programma di recupero del Sert, potrà avere di nuovo la patente ed essere valutato dalla Commissione medica per riprendere l’esercizio della professione.
Come lui, il 12% di chi indossa un camice bianco in Italia trova rifugio nell’alcol e nelle droghe, un “aiutino” per far fronte al sovraccarico di lavoro, al peso emotivo, alla fatica, all’eccesiva burocratizzazione della professione e all’alto tasso di conflittualità tra colleghi. Secondo il Journal of American Medical Association, la percentuale di dottori con problemi di tossicodipendenza è simile a quella della popolazione generale, ma con conseguenze professionali ben più pesanti, dal momento che un errore in sala operatoria può essere fatale per il paziente.
In Italia l’argomento è tabù. Un esperto nel campo come Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze patologiche della Asl di Milano, dice che «sì, il problema esiste, anche se non si hanno numeri in merito». In mancanza di dati certi, «si stima che la situazione nel nostro paese sia molto simile a quella spagnola», gli fa eco la dottoressa Paola Mora, segretario generale dell’Associazione per la difesa delle professionalità mediche. È lei l’ideatrice del ’Progetto Helper’, sviluppato sull’esempio del programma di recupero “El Paime”, in funzione da ormai dieci anni dall’Ordine dei Medici di Barcellona.
In Spagna, l’assistenza ai medici affetti da tossicodipendenze avviene in ricoveri residenziali, che durano dai 3 ai 6 mesi. L’anonimato è garantito. Il costo si aggira intorno ai 3 mila euro al mese per ciascun professionista; i finanziamenti provengono per l’80 per cento direttamente dal governo e per il restante 20 per cento dall’Ordine dei Medici. In Italia il ’Progetto Helper’ è, almeno sulla carta, in attesa di partire nella Regione Piemonte. «Non che il problema delle tossicodipendenze nella professione non sia sentito», conferma il presidente nazionale dell’Ordine dei Medici, Amedeo Bianco. «Il punto è che mancano i fondi. Le misure adottate al momento sono esclusivamente centrate sulla punizione degli atti più gravi e noti». Il fattore culturale, inoltre, per cui per i camici bianchi è più difficile chiedere aiuto, ritarda la diagnosi e pone la categoria ancora più a rischio. Non è un caso che, in tutto il mondo, il tasso di suicidi tra i medici è due volte superiore a quello della popolazione generale tra gli uomini, e addirittura quattro volte tra le donne. Anche nei piani di recupero dalle dipendenze «paradossalmente - osserva ancora la dottoressa Mora - i medici si ritrovano in una situazione peggiore rispetto agli altri professionisti, perché temono che essere riconosciuti nelle strutture assistenziali apposite abbia ripercussioni sulla propria carriera».
Dall’esperienza spagnola è emerso che circa il 12% dei 165 mila camici bianchi almeno una volta soffre o ha sofferto di queste dipendenze. Si parla di circa ventimila professionisti - la metà dei medici alle prese con gli stessi problemi in Italia (oltre i 40 mila)-. La buona notizia è che la partecipazione ai programmi di recupero ottiene un successo superiore al 75% rispetto a quanto si ottiene con altre categorie trattate, dove il numero dei successi non supera il 50%. In Spagna, poi, il 72% dei medici che hanno usufruito del sostegno dopo 5 anni continua a esercitare la professione con un sicuro vantaggio per la società e per i pazienti.