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 2012  maggio 27 Domenica calendario

Con una massa cerebrale che si riduce più o meno del cinque per cento ogni dieci anni a partire dal compimento dei sessanta, è normale che la memoria possa perdere qualche colpo, e allora non si trovano più le chiavi, si perde il cellulare, non si ricorda il nome di qualche conoscente o il suo numero di telefono

Con una massa cerebrale che si riduce più o meno del cinque per cento ogni dieci anni a partire dal compimento dei sessanta, è normale che la memoria possa perdere qualche colpo, e allora non si trovano più le chiavi, si perde il cellulare, non si ricorda il nome di qualche conoscente o il suo numero di telefono. In effetti, sebbene oggi si tenda a essere un po’ più ottimisti sul destino dei neuroni degli ultrasessantenni, a un certo punto della vita tutti si rendono conto del fatto che la memoria non è più quella di una volta. A soffrire è la memoria di lavoro, ossia la capacità di tenere a mente le informazioni che servono per svolgere il compito nel quale in quel momento si è occupati. Ma comincia a incepparsi anche la memoria episodica, quella memoria a lungo termine di eventi personali che possono essere localizzati in un preciso spazio e in un preciso tempo, per esempio il pranzo in famiglia di domenica scorsa. Anche se invece gli eventi più lontani nella propria storia autobiografica tendono a permanere più saldamente, forse anche perché mentre si fissavano erano investiti di un’elevata carica emotiva tipica dell’età giovanile. Dei cambiamenti a cui va incontro la memoria con il passare degli anni parla una recente revisione pubblicata sulla rivista Trends in Cognitive Sciences ad opera di un gruppo di ricercatori guidati da Lars Nyberg dell’Università di Umea, in Svezia. La buona notizia è che però non tutti coloro che si inoltrano nell’età avanzata hanno un decadimento della propria capacità di ricordare. Diversi studi hanno dimostrato che circa il 10 per cento degli ultrasettantenni conserva performance cognitive, memoria compresa, pressoché immodificate. Certamente alla base di questo privilegio c’è una genetica favorevole, ma conta anche la cosiddetta "riserva cerebrale", che in sostanza dipende dal livello che si era raggiunto precedentemente. Più si è fatto lavorare il cervello durante la propria vita, minore il rischio di andare incontro a una ridotta funzionalità cognitiva dovuta alla senescenza, perché in un certo senso si parte da un livello più alto, insomma, come in un serbatoio, si ha più riserva. Lo hanno dimostrato anche gli studi realizzati con la Risonanza Magnetica Funzionale, che indicano come gli ultrasessantenni con più elevate performance cognitive siano capaci di aumentare al bisogno l’attività nelle aree cerebrali che servono per l’esecuzione di un compito, compreso quello mnemonico. Dice il Alberto Oliverio, docente di Psicobiologia all’Università La Sapienza di Roma, e autore dei libri L’arte di ricordare, e Cervello (Bollati Boringhieri 2012): «La memoria ha una specie di crocevia che è l’ippocampo, un nucleo nervoso situato al di sotto della corteccia, vero e proprio snodo della memoria. Quando facciamo un’esperienza nuova, l’ippocampo la trasmette al talamo e alla corteccia dove viene depositata in reti neurali, archiviata per categorie. Similmente, se richiamiamo una memoria, si compie un cammino inverso grazie all’ippocampo. «L’ippocampo — continua Oliverio — non è però la sede della memoria ma una struttura essenziale per registrare e richiamare i ricordi. Con l’invecchiamento, l’ippocampo perde neuroni e così anche la corteccia, il che può portare a una minore efficienza nella registrazione delle nuove esperienze. I ricordi del passato, invece, non sono colpiti dai processi degenerativi, a meno che questi non siano gravi come avviene nel morbo di Alzheimer. A questo punto, però, bisogna tener conto che esistono differenze tra le memorie: quelle procedurali (ad esempio allacciarsi le scarpe, andare in bicicletta, compiere atti ripetitivi) sono molto robuste e difficilmente si disgregano col passare degli anni. Tra l’altro, sono le prime a comparire nel corso dello sviluppo. «Le memorie dichiarative, che si basano sul linguaggio, (specificare qual è il proprio indirizzo di casa o ricordarsi qual è la capitale di uno Stato europeo) sono invece più fragili: compaiono più tardivamente nel corso dello sviluppo infantile e sono anche più soggette a deficit. In gran parte — prosegue Oliverio — queste memorie dipendono dall’efficienza di circuiti nervosi di cui fanno parte neuroni che si trasmettono l’informazione grazie a un mediatore nervoso, l’acetilcolina: sono questi neuroni ad essere più danneggiati nel corso dell’invecchiamento patologico, ad esempio nell’Alzheimer. In genere, le memorie relative ai nomi e ai cognomi delle persone "zoppicano" a partire dai 50-60 anni: è un fatto normale che, se non esistono altri problemi, non deve preoccupare». Ma esistono strategie che davvero siano in grado di fortificare o preservare la memoria? Ecco alcuni consigli di Alberto Oliverio: «Più ci si impegna a mantenere una buona forma generale, anche attraverso un’attività fisica quotidiana, più il cervello risulta ben ossigenato e funzionante. Questa certamente è una delle azioni fondamentali che si possono fare per il buon funzionamento della memoria. Specialmente per le persone non più giovani, una buona memoria si conserva anche riducendo il rischio di arteriosclerosi, limitando il consumo di grassi, soprattutto di origine animale, mangiando frutta e verdura, cereali e legumi. Anche il controllo della pressione arteriosa ha un effetto protettivo nei confronti della memoria, preservando il cervello da possibili micro-infarti che all’inizio possono passare inosservati, ma che a lungo termine fanno sentire il loro effetto alterando la struttura cerebrale». «Stimolare il cervello con vari interessi è un ottimo modo per tenere attive tutte le sue funzioni, quella mnemonica compresa» prosegue l’esperto. «È soprattutto utile leggere con attenzione prendendo appunti o segnando a margine di libri e giornali i punti chiave, per poter meglio memorizzare il senso di quello che si legge. Ma servono anche l’ascolto attento della musica o fare le parole crociate o il sudoku» «Non esistono invece farmaci della memoria — puntualizza Oliverio, — e questo vale tanto per gli anziani che per i giovani che devono affrontare gli esami a scuola. Inoltre non risulta particolarmente stimolante il passivo apprendimento a memoria, senza una spiccata partecipazione emotiva o intellettuale. Se studiate una poesia, provate a farlo con una lettura espressiva ad alta voce, che coinvolga quindi più sensi e soprattutto la sfera affettiva. La stessa regola vale per lo studio, ad esempio, di un capitolo di storia o di scienze: non basta ripetere svogliatamente, per ricordare meglio bisogna "interpretare" profondamente quello che si studia, porsi domande, fare confronti, individuare scalette logiche, tracciare analogie. Solo in questo modo quello che viene studiato è posto al riparo dalla naturale selezione operata dal cervello, che tende ad abbandonare le nozioni catalogate come poco significative o inutili». *** Impressionante per chi la vede comparire improvvisamente in una persona conosciuta e in perfetta salute, l’amnesia globale transitoria colpisce di solito adulti attorno ai 50-60 anni e si manifesta con un’improvvisa amnesia di fissazione. La persona continua a fare domande del tipo "dove siamo?", "che giorno è?", "che ore sono?", ma sembra incapace di fissare le risposte che le vengono date. Appare sperduta, ed è anche impaurita, perché si rende conto di quello che le sta accadendo. Questa condizione può durare alcune ore, e in genere nel volgere di una giornata sparisce, alle volte con un completo ritorno alla normalità, alle volte lasciandosi dietro un lieve deficit di memoria. Non si sa bene quale sia la causa di questo fenomeno, ma oggi i medici ritengono che a monte ci possa essere un difetto circolatorio cerebrale, forse alcuni microtrombi nelle vene profonde del cervello. Nel 10 per cento dei casi circa, il fenomeno può ripetersi entro un anno, ed è anche necessario fare una diagnosi differenziale con altre forme elusive di amnesia, come quella che si presenta come amnesia ma in realtà è una manifestazione di tipo epilettico. Ancora più spettacolare è l’amnesia dissociativa, che consiste nell’impossibilità, che può comparire anche all’improvviso, di recuperare dalla memoria le informazioni riguardanti un certo periodo della propria vita precedente, talora l’intera vita. Intatta è invece la capacità di fissare nuove informazioni. All’amnesia può associarsi anche un allontanamento dal proprio ambiente di vita, e allora si parla di fuga dissociativa. Una variante particolare dell’amnesia dissociativa è quella che fa dimenticare completamente la propria identità, e questi sono i casi che finiscono poi per attirare anche l’attenzione dei media. Gli psichiatri ritengono che queste forme di amnesia possano essere causate da eventi traumatici dal punto di vista psicologico, ma è difficile tracciare una netta linea di demarcazione con comportamenti volontari e simulati, anche perché in molti casi è evidente il vantaggio sociale o relazionale generato dalla perdita di memoria. Una forma particolare di amnesia può essere considerata anche la confabulazione, una falsificazione della memoria che una persona può produrre quando si trova ad avere una grave amnesia dovuta a una patologia, e che sta cercando di nascondere. È chiamata infatti anche confabulazione da imbarazzo. Rendendosi conto di avere un vuoto nella memoria, la persona cerca di «darsi un tono» confabulando, ossia riempiendo il vuoto con scuse e parole generiche, con frasi che dicono e non dicono. Ma la confabulazione più straordinaria è quella che può colpire persone che hanno avuto un danno organico al proprio cervello, soprattutto in seguito all’abuso cronico di alcol. Gli psichiatri la chiamano confabulazione fantastica, anche se in realtà ha una connotazione alquanto drammatica. È chiamata così perché in questo caso non sono le scuse a prevalere, ma una vera e propria produzione fantastica, una fantasia che va a riempire il vuoto di memoria. Storie più o meno avventurose si susseguono nei discorsi di queste persone, come veri e propri sogni ad occhi aperti. E come per tutti i sogni, alle volte i contenuti possono farsi minacciosi, e allora la confabulazione diventa la convinzione che qualcuno trami nell’ombra e si prepari ad arrecare danno. Infine ci sono le pseudoamnesie. Quasi sempre assolutamente normali, frutto della stanchezza. Sono sorprendenti per chi le sperimenta, come accade quando si ha un déjà vu, sensazione di familiarità per un evento che viene sperimentato per la prima volta; o un jamais vu, sensazione di estraneità nel vivere un evento che dovrebbe essere già familiare. *** Al mondo si manifesta un nuovo caso di demenza ogni quattro secondi, mentre solo dieci anni fa se ne manifestava uno ogni otto secondi. E si prevede un’ulteriore tendenza all’aumento, così che le proiezioni per i prossimi anni fissano il dato a un nuovo caso ogni secondo. Lo afferma il dottor Marc Wortmann in un dossier realizzato congiuntamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’associazione Alzheimer Disease International, dedicato all’aumento dei casi di demenza, destino che aspetta un’umanità sempre più invecchiata nei Paesi occidentali, soprattutto a seguito del miglioramento delle condizioni di vita. E la perdita di memoria è una delle manifestazioni più eclatanti della demenza, anche se certamente non l’unica. Ma esistono anche altre forme di perdite della memoria conseguenti a patologie fisiche diverse dalla demenza o a patologie psichiche. Sono le amnesie, chiamate anterograde quando impediscono l’immagazzinamento di nuove informazioni, e retrograde quando rendono difficile richiamare alla mente le informazioni già immagazzinate. Una revisione delle amnesie è stata recentemente fatta da Hans Markowitsch e Angelica Staniloiu del centro di Physiological Psychology dell’Università di Bielefeld in Germania, e pubblicata sulla rivista Lancet. Tra le cause fisiche delle amnesie ci sono patologie quali gli ictus cerebrali e i tumori intracranici, le encefaliti e il sanguinamento degli aneurismi cerebrali, tutte situazioni che creano un danno al tessuto cerebrale. Ma ci sono anche amnesie dovute all’abuso di alcol o di farmaci sedativi, oltre a quelle strettamente psichiatriche, correlate ad esempio a stati di dissociazione mentale. Per il trattamento di queste condizioni, più che i farmaci, possono essere utili specifici programmi di miglioramento dell’attenzione o supporti informatici. «Molto spesso, la poca capacità di ricordare dipende dalla scarsa attenzione che dedichiamo a una particolare esperienza» spiega il professor Alberto Oliverio. «Ad esempio, molti genitori si lamentano che i figli non hanno memoria quando studiano, ma poi si scopre che i ragazzi ricordano alla perfezione la formazione presente e passata della squadra del cuore. Una delle tecniche per migliorare la memorizzazione consiste appunto nello stimolare una persona a fare più attenzione, a codificare i diversi aspetti di un’esperienza: ad esempio, guardando un’illustrazione bisogna analizzarla nei dettagli, porsi delle domande sui suoi diversi significati, sulle emozioni che suscita e così via. Nei casi di vera patologia della memoria, possono essere utili anche programmi informatizzati in cui si compie un percorso interattivo insieme al computer, che consente di procedere a un livello successivo quando migliorano attenzione e capacità di ricordare».