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 2012  maggio 25 Venerdì calendario

L’Ingegnere sbaglia i conti: evasi 225 milioni - Sono passati vent’anni e più ma la guerra di Segrate fa ancora vittime

L’Ingegnere sbaglia i conti: evasi 225 milioni - Sono passati vent’anni e più ma la guerra di Segrate fa ancora vittime. Da sempre il Fisco conte­sta il modo in cui il gruppo l’Espresso di Carlo De Benedetti assorbì, cessate le ostilità con il Cavaliere, il quotidiano la Repub­blica . Ora arriva, durissima, la sentenza della commissione tri­butaria regionale di Roma. Una mazzata per l’Ingegnere che do­vrà pagare la bellezza 454,7 mi­liardi di lire, ovvero 225 milioni di euro. Una cifra colossale. Il conto viene presentato ben 23 anni do­po i fatti: la guerra fra De Benedet­ti e Berlusconi per la Mondadori, la spartizione dell’impero con la mediazione del potere politico, le polemiche mai andate in soffit­ta. E poi le accuse di corruzione ri­volte al management di Fininvest con la sentenza della magistrat­u­ra di Milano che ha condannato il Biscione a pagare alla Cir dell’In­gegnere un risarcimento astrono­mico: 560 milioni di euro. Ora pe­rò s­ono le aziende di De Benedet­ti a rimanere impigliate in tutt’al­tro procedimento che ha portato a galla plusvalenze non dichiara­te per 225 milioni di imposte. Al centro della querelle le ope­razi­oni compiute da De Benedet­ti subito dopo aver raggiunto l’in­tesa con Berlusconi. È il percorso tortuoso seguito dai tecnici del­l’ Espresso a sollevare i sospetti de­gli 007 del Fisco. La prima mossa a finire nel mirino è la fusione per incorporazione dell’editoriale la Repubblica nella Cartiera di Asco­li. Per realizzarla vengono chia­mati in causa tre soggetti: l’edito­riale la Repubblica , la Cartiera di Ascoli e l’editoriale l’Espresso ,tut­ti parte della galassia Cir. Perché viene messo in moto questo mec­canismo? La risposta dei giudici tributari è tranchant : «Dagli atti emerge con sufficiente chiarezza che tale operazione non era assistita da valide ragioni economiche». E al­lora? «E allora- si legge nel verdet­to­se ne deve dedurre che la stes­sa non aveva altro scopo se non quello di ottenere un risparmio di imposta integrando così gli estremi della fattispecie elusiva di cui all’articolo 10 della legge 408/90, avendo le società parteci­panti alla fusione, Cartiera e Re­pubblica, esposto “fraudolente­mente“ ragioni economiche che solo in apparenza potevano giu­stificarla ». Sull’avverbio “fraudolente­mente“ i giudici si dilungano per pagine spiegando che «compito del giudice non è quello di perder­si in un’as­tratta definizione di fro­de o fraudolenza, ma di verificare in concreto, nei fatti, se l’opera­zione di fusione sottoposta al suo vaglio sia o non sia sostenuta da “valide ragioni economiche“». E le ragioni economiche per i giudi­ci non stanno in piedi. Anzi, tutti i passaggi, a cominciare dalla quo­tazione in Borsa di Repubblica , appaiono dettati da altre esigen­ze, di natura, semmai, finanzia­ria: «Le ragioni economiche offer­te in valutazione non risultano idonee, per essere anche contrad­dittorie e scarsamente convin­centi, a raggiungere quel partico­lare “grado“ di validità richiesto dalla legge» per concedere i bene­fici previsti dalla norma. Insomma, siamo davanti a plu­svalenze non dichiarate e le plu­svalenze devono essere tassate per complessivi 440.824.125.000 lire. Altri 13 miliardi e 972 milioni di lire riguardano invece il «recu­pero di costi assunti come indedu­cibili ». Di qui il totale di 454,7 mi­liardi. «La sentenza in esame - ri­batte l’avvocato Livia Salvini del gruppo Espresso- si iscrive nel filo­ne giurisprudenziale che rivendi­ca all’Agenzia delle entrate e ai giudici il potere di sindacare le scelte economiche e di strategia societaria dei contribuenti». In so­stanza, la commissione tributa­ria avrebbe bacchettato le legitti­me scelte strategiche di De Bene­detti. Per il legale dell’ Espresso la commissione si sarebbe spinta troppo in là, esercitando «un pote­re che lo stesso legislatore sta pre­vedendo di arginare nell’ambito della delega sulla riforma fiscale, prendendo atto dell’abnormità di pronunce» che azzerano i van­taggi fiscali per aziende e società. L’Espresso , che aveva vinto il match in primo grado, prova a ria­prire la partita con un ricorso in Cassazione. Intanto, si dovrà at­trezzare per pagare 225 milioni al Fisco. Un po’ meno della metà di quelli che la Fininvest è stata chia­mata a versare a De Benedetti per la corruzione di un giudice nel corso della guerra di Segrate. An­che in quel caso la contesa si è spo­stata in Cassazione. E dunque a quasi un quarto di secolo dai fatti, i guai, per gli uni e per gli altri, non sono ancora finiti. E le spese, pure quelle, salgono vertiginosamente: nelle ultime ri­ghe della sentenza la commissio­ne tributaria condanna infatti l’Espresso a pagare 500mila euro per «tutti i gradi di giudizio».