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 2012  maggio 31 Giovedì calendario

VI AVVISO CHE SONO MORTO, MA È FALSO

La settimana scorsa su Internet sono apparse centinaia di notizie sulla presunta morte di Gabriel García Márquez. Immediatamente dopo le stesse fonti riferivano che la notizia era stata data da me sul mio account Twitter. Immediatamente dopo, ancora la stesse fonti, e altre ancora, tra cui alcune autorevolissime, scoprivano che io non sono registrato su Twitter e che quindi quel mio indirizzo era falso. Se pure alcuni imbecilli che beccano la prima notizia e poi non controllano avessero continuato a moraleggiare sul mio presunto scherzo (si sa, conflitti tra scrittori) la maggior parte delle inchieste successive appurava che circolano in Internet anche altri indirizzi col mio nome senza che io ne sappia nulla.
Nulla di straordinario, voi potete registrarvi su Internet come "Leonardo da Vinci" e nessuno ci può far niente, figuratevi cosa accade con nomi di scrittori contemporanei. D’altra parte altri interventi ancora avanzavano l’ipotesi che l’autore della bufala fosse quel Tommaso De Benedetti già autore di colpi del genere, che architetta proprio per dimostrare (come pare abbia detto una volta al "Guardian") che "i Social Media sono la fonte meno verificabile del mondo". Che sia così lo si sapeva da quel dì, e l’hanno saputo i poveretti che, essendosi invaghiti per corrispondenza di una fanciulla che si diceva bellissima, hanno poi scoperto che si trattava di un anziano pensionato delle dogane affetto da Herpes Zoster. E gli unici che possono poi controllare davvero "de tactu" sono i pedofili, quando riescono ad agganciare un minorenne più credulo degli altri.
È vita questa? No, e mi ricordo di un avvenimento alla fine degli anni Sessanta quando qualcuno (in tempi in cui non esistevano né e-mail né fax) aveva mandato per lettera un articolo al "Corriere della sera" a firma Pier Paolo Pasolini, e l’articolo era stato pubblicato. Scandalo, era un falso e una burla, Pasolini non ne sapeva niente. La prima reazione era stata di terrore: come avrebbe fatto da quel momento ogni giornale a essere sicuro che l’articolo che riceveva, se non era consegnato di persona, fosse davvero di colui che lo firmava? Ma all’epoca avevo scritto un articolo in cui dicevo che non ci si doveva preoccupare. La società, anche se accetta l’idea che esistano bugiardi e falsari, si basa sul mutuo accordo per cui in generale chi parla dice la verità. Altrimenti non potremmo prendere un dato treno per Roma perché l’orario ferroviario ci avrebbe mentito, quando si chiamassero i vigili del fuoco per un incendio quelli non verrebbero perché sospetterebbero uno scherzo, quando entriamo in una banca potrebbe trattarsi di un luogo fittizio opportunamente mascherato (come la sala corse del film "La stangata"), se chiamiamo un medico si potrebbe presentare un laureato in Albania, e potrebbe darsi che avesse mentito nostra madre quando ci ripeteva che eravamo nati dal ventre suo (per non dire della perplessità della Vergine Maria di fronte a quell’androgino con ali di cartone che le si era insinuato nella loggetta).
Invece, scrivevo, la società sa che il mutuo impegno alla verità è essenziale a tutti, e se crollasse ciascuno di noi sarebbe perduto. Ecco perché, commentavo, scherzi come quello del falso Pasolini si fanno una volta ma poi, per una sorta di istinto sociale, si smette. E così in effetti è stato. Salvo che ora con Internet si sta diffondendo una sorta di abitudine alla comunicazione sotto mentite spoglie, e gli utenti si abitueranno pian piano a non fidarsi mai. Se è vero che pullulano sui vari Twitter e Facebook i politici, di cui diffidiamo per abitudine, con l’andar del tempo anche i solitari assolutamente bisognosi di un contatto umano, sia pure virtuale, inizieranno a rendersi conto di vivere in un universo del sospetto generalizzato, dove dovresti dubitare di tutti, come un abitante di Clerville che a ogni istante immagina che sotto la maschera di plastica di una ricca ereditiera, di un famoso chirurgo, di un ecclesiastico o di un commerciante in diamanti, si celino Diabolik ed Eva Kant.