MICHELE BRAMBILLA, La Stampa 25/5/2012, 25 maggio 2012
“Addio al Parlamento” E la Lega ritorna al folclore - Uscita con le ossa rotte dalle elezioni amministrative e ancor più dalle inchieste sul «cerchio magico», la Lega ha fatto sapere ieri come intende rinnovarsi: lasciando il Parlamento
“Addio al Parlamento” E la Lega ritorna al folclore - Uscita con le ossa rotte dalle elezioni amministrative e ancor più dalle inchieste sul «cerchio magico», la Lega ha fatto sapere ieri come intende rinnovarsi: lasciando il Parlamento. L’ha fatto per bocca del suo nuovo leader, Roberto Maroni, che uscendo dall’assemblea di Confindustria ha annunciato iniziative «per trovare nuove e concrete risposte alla questione settentrionale», e quando gli è stato chiesto se fra queste iniziative ci fosse l’addio a Montecitorio e a Palazzo Madama, ha risposto: «Di questo discuteremo al congresso». Nessun rinnovamento sarebbe più in linea con i desiderata della cosiddetta antipolitica oggi tanto di moda. Lasciare Roma vorrebbe dire rinunciare al potere corrotto della nazione infetta, con i suoi privilegi, le sue sinecure e soprattutto i suoi soldi. E poi: quale modo migliore per ripresentarsi all’avvilito popolo leghista? Una Lega che lasciasse il Parlamento apparirebbe come autenticamente attaccata al Nord, e composta da militanti che fanno politica per fede e spirito di servizio, non certo per stipendi d’oro e vitalizi. Sarebbe poi, finalmente, la realizzazione di quel vecchio slogan mutuato da Lutero («Loss von Rom») stampato sui manifesti della Lega delle origini. La nostalgia dei tempi d’oro scalderebbe tanti cuori. Ci sono però alcuni particolari non chiariti che lasciano aperto un interrogativo, il seguente: si tratterebbe di un’autentica purificazione o di una buffonata? Ad esempio. In che modo deputati e senatori lascerebbero le Camere? Se si limitassero a non frequentarle più, risultando assenti non giustificati, non perderebbero nulla: né stipendio, né pensione. E quindi saremmo di fronte non a una nobile rinuncia, ma a un caso di assenteismo in linea con i falsi invalidi del Sud, anzi peggio. Diverso se ciascun onorevole e senatore padano presentasse una formale lettera di dimissioni. Ma in quel caso partirebbe una procedura complessa; e se anche tutte le dimissioni fossero accettate, al posto di quelli che se ne vanno dovrebbero subentrare i primi dei non eletti, cioè altri leghisti. I quali potrebbero in teoria rinunciare a loro volta. Ma siamo nella fantapolitica, perché non esiste la possibilità di dimissioni senza subentro, visto che il numero dei parlamentari è fissato dalla Costituzione e non può certo essere ridotto per iniziativa di un segretario di partito. Neanche se ex ministro dell’Interno. Altra questione dirimente. Fra meno di un anno si vota. Che cosa intenderebbe fare la Lega dopo un simile Aventino? Tre giorni fa l’eurodeputato leghista Matteo Salvini (quello che nel maggio di tre anni fa propose posti separati per milanesi e stranieri sugli autobus) ha detto che la Lega potrebbe non ripresentarsi alle elezioni politiche del 2013, puntando tutto sulle amministrazioni locali. In quel caso, la rinuncia sarebbe reale. Niente deputati e senatori stipendiati da Roma ladrona, e soprattutto niente finanziamento pubblico per il partito. Ma ieri Maroni, dopo aver detto che della questione si discuterà al congresso, ha aggiunto: «La sfida è importante e significativa, ma sono sicuro che possiamo farcela in vista delle elezioni politiche del 2013». Ecco perché l’annuncio ha tutta l’aria di una boutade propagandistica per presentarsi ai propri elettori come purificati, rigenerati dopo gli investimenti in Tanzania, le lauree in Albania e le paghette ai figli del capo. Una presa in giro, ma soprattutto un ritorno a quella Lega del folclore - il sacro suolo di Pontida, il rito dell’ampolla, i ministeri a Monza - che Maroni aveva fatto intendere di voler superare per puntare ai problemi reali del Nord.