Sergio Rizzo, Corriere della Sera 25/05/2012, 25 maggio 2012
QUANTO CI COSTA ESPORTARE I RIFIUTI NELL’ITALIA SENZA INCENERITORI —
Al deficit monstre della nostra bilancia commerciale non manca di dare il suo piccolo contributo una vocina che nessun altro Paese ha nella contabilità di import export: la spazzatura. E lo dà, quel contributo, in maniera assolutamente originale. Perché l’immondizia è l’unica merce che si esporta pagando. E chi la «compra», oltre a incassare un bel po’ di soldi, la brucia producendo energia. Per esempio, l’Olanda: certo non il Paese europeo meno sensibile alla tutela ambientale. Che adesso importa, al modico prezzo di 109 euro la tonnellata, la spazzatura napoletana. Arriva via nave al porto di Rotterdam, dopo un viaggio di migliaia di chilometri attraverso le Colonne d’Ercole.
Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha firmato con gli olandesi un accordo per la «fornitura» di 250 mila tonnellate in due anni. La città ne produce 1.300 al giorno e la raccolta differenziata, secondo l’assessore a vicesindaco Tommaso Sodano, ex senatore rifondarolo, è al 25%. Anche se è una inezia in confronto a quello che hanno saputo fare a Salerno, dove peraltro si realizzerà anche un inceneritore, rispetto al nulla di un paio d’anni fa già ci si può leccare i baffi. Ma mentre de Magistris gonfia il petto, affermando che «Napoli nel mondo non è più immondizia», quello che non si ricicla (un migliaio di tonnellate al giorno) da qualche parte deve pure finire. Un po’ lo brucia il termodistruttore di Acerra, l’unico esistente in Campania: Regione che di spazzatura ne sforna 7.200 tonnellate ogni ventiquattr’ore. Un po’ viene distribuito in giro per l’Italia, se è vero che qualche tempo fa sono partiti anche dei treni per Trieste, diretti al locale inceneritore. E un po’, appunto, veleggia verso Rotterdam. L’intuizione di Roberto Cetera, ex dirigente delle Ferrovie in seguito licenziato dai vertici aziendali, che si era inventato il sistema dell’export in Germania della spazzatura campana togliendo così il business alla camorra, continua dunque a fare scuola. Con un indiscutibile vantaggio economico, perché costa meno mandare l’immondizia in Olanda che smaltirla nella Regione. La differenza è di circa quaranta euro la tonnellata.
Un fatto però è certo: se si deve esportare la spazzatura, allora il problema è ancora bello grosso. Tanto più che oltre ai rifiuti quotidiani ci sono sempre quei sette-otto milioni di tonnellate di «eco balle» (che di «eco» però non hanno proprio nulla) sparsi su centinaia di ettari in tutta la Regione. Per le quali è davvero difficile immaginare una destinazione diversa dall’inceneritore. Magari un altro di quelli che dovrebbero essere realizzati in Campania. Ma non a Napoli. De Magistris non lo vuole.
Per aggirare le difficoltà politiche nella realizzazione di impianti che nessuno vuole nel proprio Comune il dirigente del dipartimento per le politiche di coesione Alberto Versace aveva proposto di farli galleggianti in mezzo al mare, utilizzando come chiatte le vecchie petroliere dismesse.
Ma nemmeno questo, c’è da giurarci, farebbe cambiare idea al sindaco di Napoli. Né al suo collega di Parma Giuseppe Pizzarotti, che come lui odia gli inceneritori. «Tumorifici», li definisce il comico Beppe Grillo. E anche a Strasburgo sono convinti che quel metodo di smaltire i rifiuti debba essere prima o poi superato. Infatti il Parlamento europeo ha approvato recentemente un rapporto sulla politica ambientale comunitaria che prefigura il divieto di incenerimento. Resta solo da capire come arrivarci, a riciclare il 100%, obiettivo al quale bisogna assolutamente mirare, e che cosa si fa nel frattempo. Non soltanto a Napoli, ma anche a Parma, dove la differenziata è già al rispettabilissimo livello del 60%. Esportiamo in Olanda anche quella, di spazzatura, alimentando così il «tumorificio» dei Paesi Bassi? Per Pizzarotti magari è una soluzione…
«Abbiamo già avuto una grande vittoria senza essere neanche entrati in Comune: l’inceneritore non si farà più», ha esultato Grillo dopo il ballottaggio che ha consegnato la città emiliana al candidato del Movimento 5 stelle. Ma per bloccare davvero quell’impianto c’è qualche problemino da superare. Il fatto è che l’inceneritore di Parma, completato all’80%, dovrebbe servire l’intero territorio provinciale e non soltanto la città. E la competenza non è del Comune, bensì della Provincia: di cui è presidente Francesco Bernazzoli, sconfitto da Pizzarotti alle elezioni. Lo scontro del ballottaggio è destinato quindi a replicarsi sull’inceneritore, aggiungendo altro pepe alla contesa. Anche il precedente sindaco Pietro Vignali aveva provato a fermare il cantiere, puntando il dito sulle carenze della concessione edilizia. La società che sta facendo l’impianto, la municipalizzata Iren di cui sono azionisti molti Comuni emiliani, fra cui Parma, ha fatto ricorso al Tar, che gli ha dato ragione. La concessione edilizia, dicono i giudici, è arrivata nel momento in cui l’inceneritore ha ottenuto l’Aia, ovvero l’Autorizzazione ambientale integrata. E il cantiere ha riaperto. Di più. La legge prevede che a regime i rifiuti vadano smaltiti nello stesso «ambito» nel quale vengono prodotti. Paradossalmente, se saltasse l’inceneritore, potrebbe essere dunque inevitabile aprire una discarica. A Parma.
E qui arriviamo a Roma. Dove nel ventunesimo secolo si crede davvero di poter risolvere ancora il problema della spazzatura con un’altra discarica: c’è qualcuno che vorrebbe addirittura metterla a 800 metri da uno dei siti archeologici, Villa Adriana, più importanti del mondo. Il sindaco Gianni Alemanno, qualche giorno fa, ha allargato le braccia. Le sue parole: «Abbiamo trovato Roma nel 2008 al 17% di raccolta differenziata, oggi siamo arrivati faticosamente al 26%, alla fine del 2012 arriveremo al 30%, nel 2013 al 40% e a fine 2014 al 50%. Continuare a parlare del 65% è fuori luogo». E se questa è la situazione nella capitale, immaginiamo che cosa può accadere altrove.
La relazione della Corte dei conti sulla gestione dei rifiuti in Sicilia descrive una situazione allucinante. Basta dire che nel 2009 le società d’ambito territoriale avevano accumulato un debito di 900 milioni. Le ragioni? «Assunzione di personale amministrativo e non operativo in assenza di ponderata pianificazione e in numero eccessivo, elevato numero di consiglieri d’amministrazione con elevate indennità, grave difficoltà nel riscuotere i crediti sia dai cittadini che dai Comuni con l’emergere di un diffuso contenzioso, modestissima percentuale di raccolta differenziata…». Valga per tutti l’esempio dell’Amia, la municipalizzata di Palermo sepolta da un macigno di 120 milioni, di cui il Tribunale nel 2010 ha chiesto l’insolvenza. A fine 2009 aveva 2.470 dipendenti: nonostante ciò, dicono i giudici contabili, si continuava ad affidare commesse a ditte esterne. Mentre sulla discarica di Bellolampo, dove finisce l’immondizia palermitana, la Corte dei conti sottolinea «l’incompatibile coincidenza in un medesimo soggetto sia della gestione che dell’affidamento del servizio di raccolta dei rifiuti destinati ad affluire in quella medesima discarica: tale coincidenza nelle due attività gestorie ha messo fuori gioco qualsiasi interesse e incentivo per la raccolta differenziata». Per non parlare del possibile «inquinamento delle falde acquifere» causato, sembra, dal percolato non smaltito, con conseguente apertura di una indagine della magistratura per disastro ambientale. Avete letto bene: inquinamento delle falde acquifere.
Non è un caso che soltanto in Italia le discariche siano così diffuse. Qui il 51% della spazzatura finisce sotto terra, contro il 38% in Europa. Dove gli inceneritori smaltiscono il 40% dell’immondizia, contro il nostro 34%. E si brucia il 22%, a fronte del 15 in Italia. In Danimarca e Olanda le discariche non esistono. In compenso, i danesi hanno 31 inceneritori, come gli svedesi. Trentuno per sette milioni di abitanti, mentre l’Italia ne ha 49 per 60 milioni di persone. In Germania sono 70, ma distruggono quattro volte il quantitativo che si brucia da noi. La Francia ne ha 130.
Uno, i francesi, ce l’hanno anche in Calabria. Si chiama Tec Veolia e sta a Gioia Tauro. Ma è un calvario. Il rapporto sulla spazzatura calabrese della commissione parlamentare presieduta da Gaetano Pecorella racconta che a causa di inadempimenti contrattuali e ritardi nei pagamenti, il governo italiano ha perso due lodi arbitrali per 70 milioni di euro e ha subito decreti ingiuntivi per 8 milioni. Arrivando alla conclusione che «il contenzioso supera il costo di un inceneritore di 120 mila tonnellate». Inutile aggiungere che la raccolta differenziata calabrese è inesistente...
Sergio Rizzo