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 2012  maggio 25 Venerdì calendario

«DI LORO SI RIDEVA PIU’ CHE AL CABARET: ERANO FINITI» —

«Io? Mah... Non so se io posso... Io sono un uomo di spettacolo...».
Certo che può.
«Davvero vuol sapere quando mi sono accorto che il carrozzone del Pdl stava finendo fuori strada?».
(Pier Francesco Pingitore, 77 anni, da Catanzaro, grande autore di cinema e teatro, un percorso culturale che viene da destra, considerato l’inventore del cabaret romano, tra i fondatori nel 1965 della compagnia chiamata Bagaglino — in omaggio ad Anton Giulio Bragaglia, futurista e fondatore del teatro degli Indipendenti — a differenza di molti suoi colleghi ha qualche difficoltà a parlare, esplicitamente, di politica).
Il suo Bagaglino è stato uno straordinario osservatorio.
«È durata finché, un giorno, non mi sono accorto che io, le cronache del bunga-bunga, non ero riuscito ad immaginarle. Quel giorno ho capito che la politica ci aveva superato. Era oltre. Le pagine dei giornali erano piene di soggetti, di sceneggiature per spettacoli che mai, tutti noi, avremmo pensato di poter mettere su. La satira la fai sul verosimile, giochi sul grottesco: considerata però la realtà dei fatti, noi non eravamo più competitivi».
Continui.
«Berlusconi è venuto, regolarmente, ad assistere a tutti i nostri spettacoli. Una volta mi disse: "Ma tu sul serio scrivi i testi, fai la regia, scegli gli interpreti, metti su tutto da solo? Oh, ma è esattamente quello che avrei voluto fare io!". Lo considero una persona amica, e buona, sì, anche buona. Se poi però lei mi chiede un giudizio sullo statista, sospendo il giudizio. Certo la sera che lo vidi salire al Quirinale per rassegnare le sue dimissioni, e vidi quella folla urlante e inferocita, fui contento che avesse deciso di farsi da parte. Conosco la storia, e io lo so come si comportano certi italiani: prima ti osannano, poi sono capaci di portarti a piazzale Loreto».
Quella del Bagaglino è stata etichettata come una delle forme di berlusconismo più esplicito.
«Per anni avete raccontato la favola del berlusconismo. Ma è una roba che non è mai esistita, o che, nel migliore dei casi, ha fallito».
È una battuta?
«È la verità. Dov’è l’impronta del centrodestra nelle tivù, nelle fiction, nell’informazione? C’è qualche becero che si esercita a rendere omaggio al capo. Esercizi patetici, fantozziani. Ma poi? Il centrodestra sta agonizzando per colpa sua. La verità è che, in tanti anni di governo, non è mai riuscito a sconfiggere quell’egemonia culturale che, in questo Paese, è nelle mani della sinistra. Pensi a noi del Bagaglino: noi facevamo satira bipartisan, giocavamo su Occhetto e su Ferrara, invitavamo Fini e Di Pietro, eppure eravamo beceri servi del Cavaliere. Ma quando D’Alema sale sul palco della Guzzanti, quando la satira la fanno quelli come Paolo Rossi e Dario Fo, allora è satira intelligente, che si batte per il bene del Paese».
Giudizio severo, tanta amarezza.
«La verità è che se non riesci a organizzare una classe di intellettuali, un Paese non lo governi. Vogliamo contare gli intellettuali riconducibili al centrodestra? Buttafuoco, Veneziani... E poi? No, mi dica se a lei ne vengono in mente altri. È umiliante. Certo la colpa non è tutta di Berlusconi».
A chi sta pensando?
«A tutto il gruppo dirigente che lo ha circondato. E, se posso dire, la responsabilità di quelli che venivano da An, dal Msi, con la tradizione che sappiamo, è ancora più grave. Avevano l’autorità morale ed etica per intervenire, frenare, indirizzare. Rilevo comunque che tra tutte le soubrette passate sul mio palcoscenico, da Pamela Prati a Valeria Marini, non una è poi diventata ministro. Un piccolo vanto artistico, direi».
La Yespica era la preferita dal Cavaliere.
«Non entro nel merito. Ricordo che ballò un lento struggente con Schifani. Sì, ci furono serate memorabili. Le torte in faccia a Gasparri e a La Russa appartengono alla storia del centrodestra e della televisione italiana».
(Intervista chiusa alle 15, saluti, cordialità. Poi, cinque ore più tardi, Pingitore richiama. «Abbia pazienza, ma mi è venuta qualche battuta... sa com’è l’abitudine... inserisca dove vuole. Allora: Il cabaret traccia il solco, la politica lo riempie. Com’è? E senta quest’altra: Una volta Luchino era Visconti, ora è diventato Montezemolo. Ma il copione è sempre Il Gattopardo. Forte pure questa, eh?»).
Fabrizio Roncone