Massimo Franco, Corriere della Sera 25/05/2012, 25 maggio 2012
L’ESITO TRAUMATICO DI UN LUNGO CONFLITTO
Raccontano che sia l’ultima vendetta di Tarcisio Bertone, il controverso Segretario di Stato vaticano. Il «licenziamento» di Ettore Gotti Tedeschi, economista e banchiere, è il frutto marcio di uno scontro nei meandri più segreti e torbidi del potere finanziario d’Oltretevere.
Una guerra coperta, felpata, combattuta per mesi senza rotture pubbliche; ma ufficializzata ieri con un comunicato così duro da far sorgere molte domande, più che offrire risposte e spiegare in modo convincente l’accelerazione. L’impressione è che la sorte di Gotti Tedeschi sia stata segnata dalle sue perplessità sull’operazione di salvataggio dell’ospedale San Raffaele, voluta fortemente da Bertone e dalla sua cerchia; poi dalle resistenze del numero uno dello Ior di fronte al blitz natalizio che ha cambiato la legge antiriciclaggio, considerata uno dei punti fermi per spezzare la continuità col passato della banca; e infine dalle sue esplicite riserve ad avallare il ridimensionamento dell’Aif: l’Autorità di informazione finanziaria presieduta dal cardinale Attilio Nicora.
Insomma, non è stata una decisione inattesa né improvvisa. Ha l’aria di un siluramento al rallentatore, ovattato e perfido come avviene in questa stagione nelle stanze vaticane. L’epilogo arriva dopo ripetute offerte di dimissioni respinte e un lungo, graduale processo di isolamento passato attraverso lusinghe, poi avvertimenti, e alla fine vere intimidazioni. E conclusosi con una decapitazione che prende atto dell’incomunicabilità e dell’incompatibilità che regnava da mesi fra il «primo ministro» del papa e quello che ormai era il suo banchiere di riferimento solo formalmente. Il conflitto fra Gotti Tedeschi, chiamato da Benedetto XVI e dallo stesso Bertone per restituire credibilità anche internazionale allo Ior, si consuma sotto gli occhi di un’opinione pubblica già disorientata dalle faide che affiorano dalle cronache della Curia; e, almeno finora, nel silenzio dell’«appartamento» papale.
Ma qui si indovina qualcosa di più inquietante, che riguarda l’identità e il futuro della banca del Vaticano, candidata a entrare nella «white list», la «lista bianca» degli istituti di credito ritenuti virtuosi dalla comunità finanziaria internazionale. La sfiducia a Gotti Tedeschi sembrerebbe il primo passo per circoscrivere i compiti dell’Aif, creata da Benedetto XVI nel dicembre del 2010 in primo luogo per prevenire e contrastare «il riciclaggio dei proventi di attività criminose». Parallelo a quello di Gotti Tedeschi, in questi ultimi tempi si sarebbe infatti accentuato il ridimensionamento del cardinale Nicora, ritenuto non abbastanza docile alle indicazioni della Segreteria di Stato; e, riferiscono in Vaticano, obbligato ad aspettare anche giorni e giorni prima di essere ricevuto da Bertone.
Nelle ultime settimane, la situazione si era appesantita attraverso segnali inequivocabili. Riunioni convocate in segreto, tagliando fuori dalle informazioni più «sensibili» Gotti Tedeschi. Voci velenose quanto inverosimili per additare il cattolicissimo banchiere come «il corvo» che faceva filtrare sui giornali le lettere più riservate al papa: una tesi risibile ma utile a fargli arrivare il messaggio che ormai era considerato un nemico indesiderato. L’accusa non detta: essere troppo amico della Banca d’Italia e della Bce di Mario Draghi, e non abbastanza duttile. A questo contorno si sono aggiunti, nel marzo scorso, articoli «ispirati» che accusavano il banchiere di essere all’origine delle classifiche del Dipartimento di Stato Usa, secondo le quali il Vaticano è poco affidabile quanto a trasparenza finanziaria.
In quelle analisi si sosteneva che il vecchio testo della legge antiriciclaggio, quello cambiato da Gotti Tedeschi, era migliore dell’attuale; e che il banchiere si era mosso solo per lucidare la sua immagine di moralizzatore, a discapito del Vaticano: anche se non si spiega perché allora, fra Natale e Capodanno, qualcuno ci abbia rimesso le mani all’insaputa del presidente dello Ior e, pare, dello stesso Nicora. Insomma, le tracce dell’accerchiamento c’erano tutte. E di recente si sono aggiunte brusche convocazioni, rigorosamente in inglese, da parte dell’avvocato Jeffrey Lena: il californiano di Berkeley che rappresenta il Vaticano nelle cause contro i preti pedofili negli Usa; e che da tempo ha assunto un ruolo-chiave nelle vicende finanziarie della Santa Sede come difensore dell’ortodossia bertoniana nei confronti dello Ior e dell’Aif.
Tocco surreale, qualche giorno fa gli ambasciatori presso la Santa Sede sono stati invitati a visitare la banca vaticana. A spiegarne il funzionamento e il ruolo è stato il direttore generale, Paolo Cipriani, bertoniano di stretta osservanza. Alcune agenzie hanno riferito che «fra gli altri» era presente anche Gotti Tedeschi, in realtà assente. Assenza strana, anche se è più singolare che qualcuno abbia voluto fingere che ci fosse. Il banchiere è stato sfiduciato «all’unanimità», precisa un comunicato della Santa Sede, «per non avere svolto varie funzioni di primaria importanza». Eppure, si sa che Benedetto XVI ha sempre apprezzato il rigore morale e la competenza di Gotti Tedeschi: compreso il suo «pallino», non da tutti condiviso, sulla crescita demografica come uno degli strumenti per risolvere la crisi dell’Occidente.
Per il Vaticano si tratterà ora di fronteggiare un incidente con un’eco internazionale insidiosa. Forse, una delle poche consolazioni del pontefice è che dall’allevamento dell’architetto Paolo Portoghesi a Calcata, a nord di Roma, stanno arrivando asinelli e caprette maltesi per ripopolare i giardini vaticani. E sono spuntate delle cucce per gli amati gatti, riapparsi dopo un periodo in cui, a dare ascolto a certe leggende del sottosuolo papalino, venivano abbattuti da un chiacchierato monsignore amante della caccia.
Massimo Franco